La crisi economica può rappresentare, nell’Unione europea, un’importante occasione per rafforzare il sistema di cooperazione e dare vita ad una nuova architettura istituzionale. La costruzione di una democrazia sovranazionale europea appare oggi prioritaria nel contesto di una globalizzazione che nel prossimo futuro lascerà poca voce in capitolo ai singoli Stati del vecchio continente.
Però non possiamo nascondere il pericolo che abbiamo dinanzi: un’architettura dell’Europa tesa sempre più ad imboccare una strada “post-democratica” e “burocratica” che cerca di risolvere i crescenti problemi economici dei singoli stati attraverso la tecnocrazia. Solo avviandosi verso un’Europa più federale e democratica, il vecchio continente potrà scrivere il futuro non sull’acqua ma sui libri di storia.
Ad alimentare la crisi politica dell’Europa esiste un crescente “euroscetticismo ibrido”, che si è espresso nelle recenti consultazioni sia in Italia, Ungheria, Francia, Gran Bretagna, Grecia e a Cipro. La sua radice è diversa da paese a paese. Difatti una cosa è il nazionalismo, un’altra e il populismo, un’altra ancora è l’antisemitismo ufficiale del governo in Ungheria che è andato ben oltre il livello tollerabile nell’Unione europea. Preoccupante è il caso della Grecia perché incide sulla carne viva delle persone generando un risentimento che durerà anni: declassamento della Grecia a paese emergente, crescita della povertà assoluta, aumento della mortalità infantile, chiusura della televisione pubblica, il fenomeno del partito neonazista Alba Dorata.
L’euroscetticismo della Gran Bretagna è invece dipendente dal suo stretto legame con gli Stati Uniti e dalla sua cultura anglosassone isolazionista. Italia, Portogallo, Spagna e Cipro formano, per altri motivi, casi particolari tra le nazioni del Sud Europa duramente toccate dalla crisi del debito.
E’ indubbio che la crisi del debito sovrano, aggravata dalla crisi bancaria e dal cattivo funzionamento delle Istituzioni europee, ha scatenato i partiti populisti che hanno avuto facile gioco ad infiammare le sofferenze reali delle persone e hanno rinforzato il clima di scetticismo nei confronti dell’Europa in tutti i Paesi dell’Eurozona. Persino in Germania, alle prossime elezioni si presenta un partito che spinge per l’uscita dall’Unione monetaria europea.
La ragione evidente è che, da una parte, la politica di austerità specifica promossa dal governo federale tedesco pesa sulle classi sociali più deboli, ma anche sulla classe media (ben rappresentata da lobby nei parlamenti nazionali ed europei), aumentando ancor di più la disuguaglianza sociale nei Paesi interessati. D’altra parte, questa politica ha solo un effetto sospensivo, non provoca un apprezzabile miglioramento della situazione. Ancora: il populismo è alimentato anche dal fatto che i mercati finanziari continuano a produrre ricchezze notevoli, mentre i miseri bilanci statali ed europei producono povertà e sofferenze diffuse e spesso inumane.
Queste dicotomie cosi diffuse, provocano confusione, paura e perdita della speranza in un futuro migliore. Sempre di più si sta diffondendo una parabola dell’individualismo comunitario che sfocia in un nazionalismo tribale che spingono intere nazioni a ribellarsi le une contro le altre. Tutto ciò genera un clima di sofferenza e di cattiveria sociale, nascondendo il fatto che le politiche neoliberiste – che hanno provocato la crisi – continuano a essere seguite nelle cura per le scelte fondamentali.
L’insieme combinato di questi fattori, è stato più volte denunciato e può generare il rischio che l’Europa imbocchi una strada “post-democratica” e “burocratica”. A guardare i fatti che vengono da Bruxelles, i piani per un ulteriore rafforzamento del potere esecutivo europeo sono già sul tavolo. Di conseguenza i diritti di intervento dei capi di governo riuniti nel Consiglio europeo e della Commissione dovrebbero essere via via rafforzati, senza che ci si preoccupi nello stesso tempo del controllo democratico di tali poteri da parte del Parlamento europeo. Se la zona euro non sprofonda, credo che lo scenario più verosimile sarà il seguente: la tecnocrazia europea imporrà un brutale consolidamento dei bilanci nazionali.
Sorgono, a tal punto, alcune domande: quali ragioni hanno i popoli europei per non perdere fiducia nella costruzione europea? A cosa devono aggrapparsi in questo periodo di forti sofferenze? Come possono preparare il futuro d’Europa, in quanto cittadini, dal momento che le istituzioni e i gruppi dirigenti sembrano bloccati?
I responsabili principali di questa crisi sono da ricercare nei media e nella classe politica incapace di guardare il bene comune delle prossime generazioni e non le prossime elezioni (De Gasperi). I mezzi di comunicazione, in particolare, non riescono a persuadere la popolazione e ricordarsi delle numerose ragioni convincenti che, oggi più che mai, giocano a favore del progetto europeo. Non parliamo soltanto dei vantaggi economici per tutti e dell’abolizione di barbare guerre in Europa, ma soprattutto di tre ragioni recenti: il fatto che la Germania sia indissolubilmente legata all’Europa; l’auto-affermazione culturale di un continente che sta perdendo la sua importanza economica e demografica in una società globalizzata multipolare; e l’influenza che solo un’Europa unita può avere sull’agenda della politica mondiale.
Inoltre sarebbe ancora più importante che ci fosse una prospettiva costruttiva sul futuro dell’Europa. E bisognerebbe anche mettere fine alla paura dei governi di fronte ai propri popoli; dovrebbero avere il coraggio di dire la verità ai loro elettori, anziché alimentare la confusione tra un’elezione e l’altra. L’alternativa alla liquidazione dell’euro e all’abbandono di questo grande progetto si chiama “più Europa”. Ma “più Europa” significa pure un trasferimento ancora maggiore di sovranità a livello europeo, che non può avvenire senza la contemporanea creazione di una democrazia sovranazionale, anzitutto nel cuore d’Europa.