1) La spiritualità umana
Piaget, Vygotskij, Bruner, Freud hanno focalizzato le loro indagini sull’essere umano inteso come unità psicosomatica, consentendo alla ricerca pedagogica di elaborare validi progetti educativi e di sperimentare nuovi metodi che hanno favorito la crescita intellettiva e affettiva delle giovani generazioni. Tali progetti e metodi sono però assolutamente inefficaci per aiutare i giovani (e gli adulti) a rispondere alle domande esistenziali di fondo che ogni essere umano si pone: “Chi sono io? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? Che cosa ci sarà dopo questa vita?”[1].
Queste domande, in modo irriflesso, sono già presenti nel bambino piccolo che pone agli adulti dei quesiti (rimossi dalla cultura egemone) circa l’origine della vita e il destino umano dopo la morte.
Spesso i genitori e gli insegnanti rispondono svalorizzando l’importanza di tali questioni. Questa svalorizzazione forse nasconde il tentativo degli adulti di non affrontare tematiche che mettono in crisi un equilibrio esistenziale, raggiunto faticosamente vivendo in modo pragmatico-edonistico e non interrogandosi su una domanda alla quale non si riesce a dare una risposta: “Qual è il senso della vita?”, o, detto altrimenti, “perché vivi?”.
La domanda sul senso della vita è, in senso stretto, fondamentale per la vita di ogni uomo, poiché dalla risposta che ognuno dà ad essa dipende la scelta di uno stile di esistenza piuttosto che un altro.
Ad esempio, se un uomo vive per lavorare la sua esistenza sarà connotata dall’accumulo di beni materiali e da possibili successi professionali; egli rischia, però, di naufragare tragicamente quando affronterà un’ eventuale sofferenza (malattia, lutto etc.) inattesa e imprevedibile. Di fronte alla stessa sofferenza colui che vive per Dio e per il prossimo, come San Francesco di Assisi, sarà capace di accogliere quella croce e di elevare a Dio il Cantico delle creature.
La questione del senso della vita è quindi ciò che vi è di più concreto e essenziale per l’esistenza di ogni uomo e la pedagogia, come riflessione sull’educazione, non può esimersi dall’affrontare tale questione, ma deve offrire dei progetti e dei metodi educativi che aiutino soprattutto le giovani generazioni a scoprire il senso della vita e a impegnarsi a raggiungere gli scopi che si prefiggono.
La pedagogia se vuole rispondere criticamente alla domanda di senso che nasce dal profondo di ogni uomo (bambino o adulto) deve fondare la sua riflessione sulla base di un’antropologia integrale, che consideri l’essere umano in tutta la sua interezza e verità, senza ridurlo alle sole dimensioni psico-somatiche.
Questa riduzione è operata oggi dalla maggior parte dei filosofi e pedagogisti contemporanei, che non riconoscono nell’uomo l’esistenza dell’anima spirituale. Ad esempio, il famoso pedagogista Gardner, sulla scia del materialismo ottocentesco, afferma: “Io sono un materialista; credo che tutto ciò che avviene nella mente sia prodotto del cervello”[2].
Un autore che può aiutare la pedagogia a costituirsi come disciplina umanistica in senso forte è Viktor Frankl, che ha indagato non soltanto le dimensioni psico-fisiche ma anche quelle spirituali dell’essere umano.
Le scuole di Piaget, Vygotsky e Bruner hanno analizzato la razionalità umana e la scuola di Freud l’affettività.
Le scuole cognitivistiche e psicoanalitiche affermano modelli antropologici sostanzialmente riduttivi, perché non presentano l’ essere umano nella sua totalità.
Lo psichiatra austriaco Viktor Frankl ha elaborato, sulla base dei suoi studi e della sua ricca esperienza clinica e umana, un’antropologia integrale che considera l’essere dell’uomo come totalità fisico-psichico-spirituale.
Frankl scopre chi è l’uomo durante la sua esperienza maturata nei campi di concentramento nazisti. In tale contesto di sofferenza vede realizzarsi nella vita di alcuni detenuti un motto di Friedrich Nietzsche: “Chi ha un perché per vivere, sopporta quasi ogni come”[3].
“Ha un perché per vivere” colui che ha scoperto un senso della vita, poiché, “la vita umana – scrive lo psichiatra – ha sempre, in tutte le circostanze, un significato, che […] comprende anche sofferenze, morte, miseria e malattie mortali”[4].
Frankl prende coscienza che riescono a sopportare i dolori e il degrado morale solo quei detenuti che vivono la propria esistenza con lo scopo di realizzare un compito.
Secondo lo psichiatra il senso della vita è sempre personale ed è connesso al compito che il singolo essere umano si prefigge di adempiere. Scrive in proposito: “Vivere, in ultima analisi, non significa altro che avere la responsabilità di rispondere esattamente ai problemi vitali, di adempiere i compiti che la vita pone a ogni singolo, di far fronte alle esigenze dell’ora.
Questa esigenza, e con essa il significato della vita, muta da uomo a uomo, di attimo in attimo. Non è dunque mai possibile precisare il senso della vita umana in generale, non possiamo mai rispondere in generale a chi domanda quale sia il senso dell’esistenza”[5].
L’uomo ricerca un senso, in funzione del quale vivere, perché è presente in lui una dimensione di cui non è consapevole, che lo spinge verso questa ricerca. Questa dimensione inconscia è definita dallo psichiatra “inconscio spirituale”[6].
L’esperienza maturata da Frankl nei campi di concentramento e, soprattutto, nella sua attività psichiatrica a contatto con le espressioni più profonde dell’angoscia esistenziale, evidenzia la presenza di una dimensione profonda dell’essere umano di carattere spirituale, e, in quanto tale, orientata alla ricerca del senso della vita. Questa dimensione spirituale è essenzialmente inconscia. Afferma infatti lo psichiatra che la “persona profonda spirituale è obbligatoriamente inconscia, e non solo facoltativamente. In altre parole: nelle sue profondità, “nel fondo”, lo spirituale è necessariamente, perché essenzialmente, inconscio”[7].
Frankl non nega l’esistenza dell’inconscio pulsionale scoperto da Freud, ma sostiene che “lo stesso inconscio risulta articolato in inconscio impulsivo e inconscio spirituale”[8], e afferma che, mentre il confine tra conscio e inconscio è sfumato, la delimitazione tra inconscio impulsivo e spirituale è chiara e definita. Scrive in proposito: “Mentre il confine tra conscio e inconscio ci appare così “permeabile”, si rivela che il confine tra [inconscio] spirituale ed impulsivo viene tracciato in forma netta e categorica”[9].
Lo psichiatra austriaco concorda con Medard Boss nel sostenere che “l’impulso e lo spirito sono considerati fenomeni incommensurabili”[10]. Lo “specifico” dell’uomo, ciò che lo distingue dagli animali, è la sua spiritualità, la quale è caratterizzata dalla libertà e dalla (connessa) responsabilità.
(La seconda parte segue sabato 22 di giugno)
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NOTE
[1] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, n.1.
[2] H.Gardner, Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente, Feltrinelli, Roma 2000, p.79.
[3] V. Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, Milano 1998, p.129.
[4] Ibidem, p.138.
[5] Ibidem, pp.130-131.
[6] Cfr. V. Frankl, Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Brescia 1990, III ed., pp.25-35.
[7] Ibidem, p.34
[8] Ibidem, p.25.
[9] Ibidem, p.27.
[10] Ibidem.