La vera umiltà, non quella da "faccia da immaginetta"

A Santa Marta, Papa Francesco invita i cristiani a riconoscersi fragili “vasi di creta”, per poter portare e capire il mistero glorioso di Gesù Cristo

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San Paolo non avrà avuto il conto in banca, ma aveva un “curriculum di servizio” che registrava tutte le opere compiute come Apostolo di Cristo, e un “prontuario” che gli ricordava di essere fondamentalmente un peccatore. Il cristiano d’altronde è questo, ha detto Papa Francesco nella Messa di oggi a Santa Marta: uno che ha ricevuto gratuitamente il dono della salvezza di Gesù Cristo, e che lo apprezza e lo custodisce proprio perché – senza alcuna forma di “autogiustificazione” – si riconosce fragile “vaso di creta”.

L’omelia di oggi del Santo Padre è stata un vero inno all’umiltà, pronunciata davanti ad un nutrito uditorio composto dal prefetto della Congregazione per il Clero, il cardinale Mauro Piacenza, e dal segretario l’arcivescovo Celso Morga Iruzubieta, accompagnati da sacerdoti e personale del Dicastero. Oltre a loro anche il cardinale Giuseppe Bertello, il vescovo di Humahuaca in Argentina, Pedro Olmedo Rivero, e mons. Benjamin J. Almoneda, vescovo emerito di Daet nelle Filippine.

A dare la spinta alla riflessione del Papa è stata la lettura odierna della seconda Lettera di Paolo ai Corinzi, in cui l’Apostolo delle genti afferma: “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (II Cor 4, 7-15). È proprio grazie a questo rapporto “tra la grazia e la potenza di Gesù Cristo” e la limitatezza dell’essere umano peccatore che si instaura “il dialogo della salvezza”, ha osservato Papa Francesco.

Affinché esso possa durare, è necessario però che il peccatore si riconosca come tale, scevro da qualsiasi forma di “autogiustificazione”. San Paolo, infatti, “tante volte ha parlato dei suoi peccati”, “come un ritornello” ha detto il Papa. Spesso l’Apostolo ha ripetuto: “Ma, io vi dico questo: io che sono stato un inseguitore della Chiesa, ho perseguitato”.

Il punto è che – ha proseguito il Santo Padre – anche nel momento in cui Paolo torna “alla sua memoria di peccato”, non dice poi “Sono stato, ma adesso sono santo. No!”; egli “ci fa vedere la propria debolezza. Il proprio peccato. È un peccatore che accoglie Gesù Cristo. Dialoga con Gesù Cristo” ha detto il Pontefice. Paolo “riconosce pubblicamente il suo curriculum di servizio”, tutti i prodigi compiuti con Cristo, ma allo stesso tempo non nega, né nasconde il “suo prontuario” dei peccati.

È questo, ha sottolineato Bergoglio, un grande “modello di umiltà”, soprattutto per noi preti, noi sacerdoti”. “Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più, finiremo sbagliati – ha rimarcato – Non possiamo annunziare Gesù Cristo Salvatore perché nel fondo non lo sentiamo. Dobbiamo essere umili, ma con un’umiltà reale, con nome e cognome: Io sono peccatore per questo, per questo, per questo. Come fa Paolo: Ho perseguitato la Chiesa. Come fa lui, peccatori concreti”.

L’umiltà invocata dal Santo Padre è un’umiltà vera, sincera, forte, non “quella che sembra più faccia da immaginetta”. Se il sacerdote, o il cristiano in genere, non riesce “a fare a se stesso e neanche alla Chiesa questa confessione, qualcosa non va” ha affermato, perché non può “capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù”.

“Fratelli – ha ricordato pertanto il Pontefice – noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo Salvatore. La Croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo. Ma lo abbiamo in un vaso di creta”. Ha quindi esortato: “Vantiamoci anche del nostro prontuario, dei nostri peccati. E così il dialogo è cristiano e cattolico: concreto, perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta”. Il Figlio di Dio, ha proseguito, “non ci ha salvati con un’idea, con un programma intellettuale”, ma “con la concretezza della carne. Si è abbassato, fatto uomo, fatto carne fino alla fine”. E tutto questo “solo si può capire, solo si può ricevere, in vasi di creta”.

Oltre a San Paolo, un esempio di vaso fragile colmo di grazie è la Samaritana, ha detto il Papa. La donna dopo aver incontrato e parlato con il Messia, va dai suoi conterranei e racconta prima del suo peccato e poi del dialogo con il Signore. “Io credo che questa donna sia in cielo, sicuro” ha affermato il Santo Padre, perché – ha aggiunto citando Manzoni – “mai ho trovato che il Signore abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene e questo miracolo che Lui ha incominciato sicuramente lo ha finito bene in Cielo”. Dunque, ha concluso Francesco, chiediamo proprio a questa umile peccatrice Samaritana “che ci aiuti a essere vasi di creta per poter portare e capire il mistero glorioso di Gesù Cristo”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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