Che cos’è crowd funding civic? La sua storia
Il concetto di Crowd fuding civic (Cc) ha una storia molto lunga. Le sue radici affondano nella nozione di “microfinanza”, secondo la quale piccole somme, quando aggregate, fanno la differenza, come ci hanno insegnato i francescani con i Monti di Pietà nel Medio Evo.
Nella storia moderna ritroviamo una esperienza di Cc negli Usa nel 1884. La Francia aveva donato agli Stati Uniti in segno di amicizia la “Statua della libertà”. L’American Commette, non aveva i soldi per realizzare il piedistallo dove poggiare l’opera. Tutta l’operazione rischiava quindi di bloccarsi per mancanza di fondi. Grazie all’iniziativa del magnate della stampa, Joseph Pulitzer, la situazione si sbloccò. Pulitzer mobilitò infatti la cittadinanza invitandola a fare una sottoscrizione economica, grazie alla quale fu possibile raccogliere la somma necessaria per la costruzione del piedistallo.
Questa iniziativa di finanziamento civile, non solo permise la realizzazione del progetto, ma responsabilizzò i cittadini che si sentirono fortemente legati al monumento proprio perché avevano contributo alla sua realizzazione.
Il Cc, dunque, favorisce la nascita di vere e proprie relazioni tra i cittadini, i corpi intermedi, la pubblica amministrazione per la cura e lo sviluppo del capitale civile del territorio. Nel corso di questi due secoli il Cc ha avuto altre esperienze, ma la parte del leone per alimentare l’economia reale, l’ha fatto sempre il sistema bancario. Si può definire quindi come una forma di finanziamento che attiva la sussidiarietà circolare, perchè parte dai cittadini, in cui l’innovatore, che ha un’idea o vuole iniziare un progetto, lo descrive sul web e fa partire una raccolta fondi.
Alla raccolta di capitale diffuso contribuiscono diversi fattori quali il capitale reputazionale, le motivazioni sociali (solidarietà), il desiderio di un premio a seguito di una donazione filantropica, la riscossione dell’interesse pagato su un prestito, il rendimento del l’investimento in azioni. Pertanto il Cc è valido sia per il mondo del profit che per quello del non profit; perché la sua missione è civilizzare l’economia. I cittadini che ritengono l’idea interessante possono contribuire versando una cifra variabile, piccola o grande, a totale discrezione dell’utente.
Una nuova primavera del Cc
Con lo scoppio della crisi finanziaria trasformatasi in crisi dell’economia reale a causa della chiusura dei finanziamenti delle banche all’economia reale, il Cc sta vivendo una nuova primavera. Se ne inizia a parlare in modo diffuso nel settembre 2011, quando Barack Obama lanciò il Jobs Act: al punto dieci, in particolare, si propose di facilitare l’accesso alla raccolta di capitali per piccole medie imprese (penalizzate dal credit crunch), affiancando i cittadini rispetto agli istituti finanziari (banche, fondi, grandi investitori privati) e, di fatto, liberalizzando il mercato del credito.
Altro elemento innovativo che sta consacrando il successo del Cc è l’effetto leva dei social media. Grazie alla capacità di facilitare l’attivazione della cittadinanza, tante piccole azioni messe insieme creano reazioni a catena virtuose e provocano effetti enormi, spesso imprevedibili, poco riconducibili alla piccola azione iniziale. Quindi il Cc sconfessa la “legge di Gresham” che afferma che “la moneta cattiva scaccia quella buona”. Anzi, con questo strumento di innovazione civile si realizza il principio che “la moneta buona scaccia quella cattiva”.
Quindi la capacità fondamentale in una campagna di Cc deve essere quella di raggiungere la comunità e le persone di riferimento, ma anche di attivare persone e comunità di cui si potrebbe ignorare l’esistenza. Taleeffetto leva è possibile realizzarlo grazie al vasto potenziale dei social media, tramite i quali, se ben adoperati hanno la capacità di rendere attivi e responsabili semplici cittadini in sostenitori e promotori, e portarli ad usare a loro volta le proprie relazioni per saltare i sei gradi di separazione che ci sono tra noi e la comunità di investitori globale. A ciò va aggiunto l’effetto “di trasmissione virale” della “buona causa”.
Un’altra innovazione che sta cambiando l’economia e la cambierà sempre di più nei prossimi anni è la “ Teoria della coda lunga” di Chris Anderson. Essa ci aiuta a capire bene come l’economia nell’epoca del web cambierà e come gli strumenti teorici dall’approccio economico neoclassico siano divenuti obsoleti. In breve, secondo questa teoria, il futuro dell’economia reale è di vendere minori quantità di un numero maggiore di prodotti. Contando su una comunità globale, anche i prodotti che hanno una domanda piuttosto limitata nell’insieme venderebbero grandi quantità. Molti modelli economici innovativi attivati attraverso i social media hanno questo stesso concetto alla base.
L’economia legata al web, permette di avere diversi vantaggi, come ad esempio il costo di magazzino e le barriere che ogni transazione deve sopportare (costi inerenti al passaggio dal produttore al negozio). Essi, con i social media, vengono drasticamente ridotti al punto di rendere abbastanza “economico” l’accesso alla “coda lunga”. Una volta che vi si accede, i modelli tradizionali “coda corta” o dovranno innovare o entreranno in crisi. Quindi con il Cc, oltre a superare il credit crunch, il costo del finanziamento si abbatte notevolmente per gli imprenditori.
I vantaggi oltre che nella tracciabilità delle spese vanno ricercate anche nel passaggio da una cultura di procurement ad una di commissioning: passare cioè da una mera esternalizzazione del finanziamento presso le istituzioni finanziarie tradizionali, ad una cultura di “sussidiarietà circolare”, in cui è la domanda ad orientare l’offerta di servizi sociali e non viceversa.
Il potere di trasformazione di questi strumenti è un’altra caratteristica del crowd funding: allo stesso modo in cui ora tutti possiamo essere in qualche modo critici cinematografici, commentatori politici, giornalisti e inventori, le barriere all’investimento cadono lasciando il mondo della finanza accessibile a tutti.
Il Cc ha una relazione molto forte con altri comportamenti fondamentali nel mondo dei social media, come la reputazione e la fiducia basate sulla conoscenza distribuita. Nel Cc quell’insieme di tanti giudizi individuali aiuta a valutare un business plan e testare un prodotto sul mercato, il tutto basato sui modelli di fiducia reciproca che sono presenti sul web. Ciò ha un capitale inestimabile per chi cerca un’analisi o un investimento nelle proprie idee o prodotti, e gioca anche su modelli di prestito che godono di tassi di interesse che le banche possono solo sognare, basati su trasparenza e legami di fiducia.
Il dibattito sul crowd funding in Europa e in Italia
Il confronto sul Cc è sempre più acceso, così come la popolarità crescente del fenomeno come meccanismo per raccogliere e condividere fondi e finanziamenti in un mondo sempre più connesso, dove la liquidità è immensa. Questa liquidità, però, non arriva all’economia reale determinando recessione patrimoniale, stagflazione, crescita delle diseguaglianze, disoccupazione, povertà assoluta ecc.
Nel Vecchio Continente il Cc sta vivendo il suo momento d’oro: nel 2012 sono stati raccolti più di 300 milioni di euro, un numero èdestinato a crescere del 50% (Fonte: European Crowd funding Network). In Italia sono attive 16 piattaforme, per un totale di 30mila progetti, di cui 9mila approvati, con una raccolta di ben 13 milioni di euro.
L’Italia sarà il primo Paese europeo ad avere una normativa sul crowd funding. La Consob ha da poco pubblicato il documento sul nuovo regolamento, previsto dal “decreto crescita bis” (18 ottobre 2012), che vuole favorire “l’accesso al pubblico risparmio da parte delle startup tramite portali on line”. Si tratta dell’equity
crowd funding, che, a differenza della versione “classica” del crowd funding che prevede il finanziamento di singoli progetti (concerti, dischi, film, documentari), mira a finanziare la nascita di nuove società e l’ampliamento di quelle esistenti.
La proposta di regolamento intende, spiega la Consob, da un lato agevolare l’attività dei gestori dei portali on line al fine di favorire la raccolta di capitali di rischio da parte delle startup innovative, e, dall’altra, fissare paletti di sicurezza che garantiscano ai piccoli risparmiatori che aderiscono alle iniziative di crowdfunding, un livello di tutela sostanzialmente equivalente a quello assicurato
La nuova normativa dovrebbe dare un impulso più deciso all’equity crowd funding. “Abbiamo quasi 1000 startup iscritte, 1500 investitori che hanno erogato dalla cifra minima prevista, 5000 euro, a un massimo di 150.000 — racconta Dario Giudici, di SiamoSoci, attiva da circa un anno — investimenti finora erogati per due milioni e mezzo di euro, che hanno permesso di finanziare il 15% dei progetti presentati”.
Tuttavia, SiamoSoci ha dovuto operare finora tenendo conto delle strettoie della legge italiana, e quindi i finanziamenti vengono erogati materialmente solo al momento della costituzione della società, presso il notaio. Mentre la nuova normativa permetterà ai finanziatori di versare direttamente online e sarà, dunque, sempre più facile far incontrare potenziali investitori e aspiranti imprenditori. Fra l’altro, il privato ha una prospettiva diversa dal fondo di venture capital, può finanziare un progetto che lo attrae per tante ragioni, non solo per avere un ritorno economico certo.
Tuttavia la legge “sviluppo” pone molti paletti: la startup deve essere innovativa, e questa caratteristica deve essere certificata da una serie di requisiti, tra cui che il fatto che la maggioranza delle azioni o delle quote sia detenuto da persone fisiche al momento della costituzione e per i successivi 24 mesi. O che le spese in ricerca e sviluppo debbano essere uguali al 20% del maggior valore tra costo e produzione, e che la società debba avere almeno un terzo dei dipendenti in possesso del dottorato di ricerca o di laurea e di un brevetto industrial.
Questo creerà un mercato finanziario interamente nuovo: da un lato ci saranno le start-up e, dall’altro, le piattaforme di raccolta che potranno essere gestite da banche, investitori autorizzati o da società inserite in un registro speciale. In mezzo? Tutti gli italiani, finanziatori potenziali, che potranno partecipare in prima persona allo sviluppo del nostro Paese, anche solo con pochi euro. Ovviamente non è tutto così facile come sembra: l’investimento in start-up è noto per essere ad alto rischio finanziario. Il regolamento della Consob punta quindi a tutelare gli investitori e stabilisce, tra le altre cose, che l’azienda che ricorre al crowd funding, sia accompagnata da un investitore professionale. Viene anche reso obbligatorio il prospetto informativo relativo all’investimento.
Che futuro potrà avere il crowdfunding in Italia? Per fattori tecnologici (come il digital divide) e culturali, non ci si aspetta di certo il boom che ha caratterizzato gli Stati Uniti. Questa ventata d’innovazione che porta alla liberalizzazione dell’accesso al credito contribuirà senz’altro a traghettare l’Italia nell’era della Finanza 2.0.
Le potenzialità ci sono tutte affinchè il Cc possa diventare un volano per l’economia, e potrebbe risollevare l’economia italiana, a patto che però da questa fase pionieristica si passi all’estensione delle imprese finanziabili, così come è avvenuto negli Stati Uniti.