Dalle discoteche al "RapGesùCristico" (Prima parte)

Luca Maffi DJ: storia di una conversione

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Luca ha una voce serena, parla con naturalezza della sua vita, di come è stata stravolta dall’incontro con l’amore di Gesù. Lavorava come deejay nelle discoteche, la musica era un “rumore” per cercare di far tacere i problemi che fermentavano nel profondo. Ferite generate da un’infanzia difficile: il divorzio dei genitori, la violenza sessuale da parte di un laico consacrato. Gesù lo salva. Con il balsamo della Sua misericordia guarisce le piaghe dell’anima e lo riporta a nuova vita.

Oggi Luca Maffi ha 28 anni, una moglie e un figlio. La musica è ancora presente nella sua vita, però in modo del tutto diverso. Tre anni fa nasce RapGesùCristico, progetto musicale di nuova evangelizzazione in cui il dj originario di Brescia, insieme al suo braccio destro Federica Catta, usa l’hip hop con un obiettivo preciso: lanciare un seme, dire che c’è un’alternativa. Pur senza voler giudicare le scelte altrui, Luca utilizza quella che tradizionalmente è una musica di protesta per scuotere i giovani che si buttano via tra alcol, sesso, droga. “Vogliamo andare in controtendenza – racconta a ZENIT – utilizzando gli stessi strumenti (musica e nuove tecnologie della comunicazione, ndr) che la società utilizza per divulgare altri messaggi”.

RapGesùCristico è una scelta di vita, anche se la scelta principale, per il deejay, resta la famiglia. “Quando mi guardo indietro – dice – quello che mi ha sconvolto è stato l’amore di Cristo. Tutto ciò che è successo dopo è stata una conseguenza” dell’aver “riconosciuto in Lui una fonte d’amore”.

Per comprendere meglio questa testimonianza di fede volgiamo anche noi il nostro sguardo indietro e ripercorriamo, insieme a Luca, le tappe principali della sua storia di conversione.

Nel mondo dello spettacolo. A 14 anni l’insieme di problemi che Luca si trascina dall’infanzia lo porta a costruirsi una nuova vita. Così racconta a ZENIT del suo ingresso nel mondo dello spettacolo: “Comincio a fare recitazione, a lavorare nei locali notturni come deejay, come presentatore in radio e tv locali. Insomma, tutto ciò che mi poteva far sentire qualcuno andava bene per nascondere il Luca reale”. Arriva, però, il momento in cui i problemi tenuti nascosti saltano fuori, grazie anche ad amici e conoscenti che aveva iniziato a frequentare.

Se Tu esisti, mi devi dare dimostrazione adesso. Nel giorno di Pentecoste del 2008 alcune persone lo portano nella piccola chiesa di San Luca, a Brescia, durante un’adorazione eucaristica. “Mi sono trovato davanti all’eucarestia e in quel momento ho detto a Gesù: «Tu non esisti »”. Alla vista dei giovani intorno che cantavano ed erano felici, Luca ha iniziato a dire tra sé, scherzosamente: «Se Tu esisti, mi devi dare dimostrazione adesso». “Dopo che ho pensato in me questa frase – continua – ho iniziato a piangere come un bambino”. È andata avanti così, per i due-tre giorni successivi, con un pianto che lo faceva sentire pian piano più leggero. Questo è stato il colpo di fulmine con Gesù, ma poi Luca riprende la vita di sempre. Intanto, le richieste di lavoro nel mondo dello spettacolo iniziano lentamente a diminuire e con esse si sgretolano le certezze economiche. Subentra la solitudine.

Ti do un mese di tempo. Luca ricorda che, conclusa la sua storia con una ragazza, alla fine dell’anno si ritrova completamente solo, senza nessuno intorno. A quel punto la paura della solitudine gli fa decidere di andare al Villaggio Paolo VI, una casa di spiritualità in Gaver a Bagolino, in provincia di Brescia, dove era stato l’estate prima. Nei mesi precedenti si era riavvicinato a Gesù, forse in modo un po’ inconscio, mentre l’avvicinamento alla Chiesa era per lui ancora un tabù. Una volta arrivato alla casa, però, si domanda perché si trovasse lì, cosa ci fosse andato a fare.

“Sta di fatto che – racconta a ZENIT – il 27 dicembre, alle otto di sera, entro nella cappella e faccio una cosa poco ortodossa. Apro il tabernacolo, guardo negli occhi l’eucarestia e Gli dico: «Ti do un mese di tempo per farmi capire ciò che vuoi dalla mia vita alla fine dell’anno». Lui si è fatto aspettare fino all’ultimo, perché in quel mese ne sono successe davvero di tutti i colori: lo sconforto, il non riuscire in nulla, neppure a livello lavorativo, nei rapporti con le persone. È stato proprio un mese difficile e continuavo a dire dentro di me: «Ma arriverai? Ti ho dato tempo un mese, perché non ti fai sentire?»”. Era la preghiera con cui Luca aveva iniziato a chiedere aiuto a Gesù.

La risposta e nuove domande. Esattamente un mese dopo, Luca viene invitato a fare una testimonianza sulla vita notturna dei giovani per parlare della sua esperienza e di quell’inizio di riavvicinamento a Cristo. “Lì – racconta – incontro una ragazza che oggi è mia moglie. Penso che Gesù, più chiaro di così su cosa volesse dalla mia vita, non poteva essere. Mi ha parlato molto chiaramente”.

Preso dalla gioia dell’incontro con la figura di don Dino Foglio, fondatore del Villaggio Paolo VI, Luca inizia a farsi delle domande e a chiedersi: “Se quest’uomo ha dato la sua vita per questa casa, è stato uno dei fautori del Rinnovamento nello Spirito in Italia, qualcosa ci deve essere”.

Così, continua, “a conferma che quando Gesù arriva non toglie nulla”, anzi, mette a frutto i doni che ha dato per realizzare qualcosa di buono, il deejay bresciano decide di tornare sui suoi passi musicali e riprende da dove aveva iniziato: la musica hip hop. Scrive il brano Dimmi dove sei, dedicato al fondatore del Villaggio Paolo VI. La canzone è registrata in una cantina, senza soldi, ma con l’aiuto di tante persone vengono stampati i primi dischi e il padre di Luca paga l’iscrizione alla SIAE. “Alla fine – dice – ci siamo resi conto che, sì, era una canzone dedicata a don Dino, però era un po’ un inno all’amore, a quello che Dio stava facendo in me e che ha fatto in questa casa”. È il 2010, sono passati due anni dall’inizio della conversione.

[La seconda parte dell’intervista a Luca Maffi sarà pubblicata domani, mercoledì 12 giugno]

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Laura Guadalupi

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