Pubblichiamo di seguito l’intervento tenuto ieri sera dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, alla tappa ambrosiana di “10 Piazze per 10 Comandamenti”, l’iniziativa promossa dal Rinnovamento nello Spirito Santo in occasione del 40.mo anniversario della sua nascita in Italia.
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1. «Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha ordinato… non farai opera alcuna né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tue bue…» (Dt 5,12-14). Al popolo ebraico il Signore comanda di santificare la festa e precisa che questo comando ci impone il dovere di “riposare”. Cosa significa?
2. Anoi uomini e donne del Terzo Millennio una simile indicazione appare strana. Non viene spontaneo comandare ad un altro di riposare, caso mai gli si raccomanda di lavorare! Eppure qui è in gioco qualcosa che riguarda in profondità l’esperienza umana: nessun uomo in ogni tempo e luogo può fare a meno del riposo. Questo fatto ci dice che non siamo “onnipotenti”.
3. Di fronte alla pretesa di onnipotenza, il Signore ci comanda di “riposare”. La Sua parola è piena di cura per noi. Infatti il Suo comando incomincia invitandoci a far memoria: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (Es 20,8). Delle “Dieci parole” questa è l’unica che comincia con questo importante invito. Per comandarci di santificare il giorno del riposo Dio ci esorta a ricordare i doni di cui ci ha colmato, anzitutto la Sua fedele compagnia. Nella Bibbia l’invito alla memoria di Dio che ci ristora precede qualsiasi legge che Dio impone al popolo. Per indicare un dovere Dio parte dalla memoria di un beneficio ricevuto. Questo beneficio esprime una relazione di amore e una promessa di felicità. Il presente, per poter essere spalancato al futuro, deve essere ben radicato nel passato. Lo tocchiamo ogni giorno con mano nelle circostanze e nei rapporti. La fede ebraica e quella cristiana ci fanno vivere il tempo come storia, come un cammino che ha un’Origine e conduce ad una Meta. Perché? Perché siamo figli del Padre celeste e a Lui siamo diretti.
4. Che cosa dobbiamo ricordare? Cosa c’è di così essenziale per la vita degli uomini nella santificazione della festa e nel riposo per renderli addirittura oggetto di un comandamento divino?
Il riposo è, insieme agli affetti e al lavoro, uno dei pilastri della nostra vita quotidiana. Infatti il riposo non è semplicemente la fine della fatica, ma ci dà un senso di liberazione e di compimento. Non a caso il Libro della Genesi afferma che anche Dio ha riposato dopo aver creato: «Nel settimo giorno Dio portò a compimento il lavoro che aveva fatto… Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in esso aveva cessato da ogni lavoro» (Gen 2,2). E sempre nella Scrittura la parola riposo attesta l’avvenuta liberazione: «Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici» (2Sam 7,11), «Colui che divise le acque davanti a loro … li guidava al riposo» (Is 63, 12.14), «Non siete ancora giunti al luogo del riposo e del possesso che il Signore sta per darvi» (Dt 12,9); «noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo» (Eb 4,3).
Se Dio ha benedetto il giorno del riposo si capisce perché il comandamento ci ordini di santificare le feste. Nella festa si celebra la memoria della nostra creazione e quella della nostra liberazione, del nostro compimento.
La memoria che i cristiani ogni domenica partecipando alla Santa Messa fanno della Pasqua ci ricorda che Gesù ci ha voluto bene e che il Suo amore è per sempre. Obbedendo al comandamento della santificazione della festa e del riposo l’uomo proclama che la vita e il compimento della vita vengono dal Signore che ci ha salvati.
5. Il dono della salvezza non riguarda solo il singolo, ma l’intera comunità. Dio ha voluto redimerci insieme. Ecco perché il comandamento dice: «Non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso» (Dt 5,14-15). La santificazione della festa e il riposo riguardano tutte le relazioni costitutive della persona: con Dio, con gli altri e con se stessi.
6. Riposare per far spazio nella nostra vita a Dio e agli altri trasforma l’esistenza in una festa. La festa esprime il significato della vita e richiama la direzione, la meta del nostro cammino. La festa è profondamente umana. Ma, proprio perché ha a che fare con le domande ultime dell’uomo circa la vita e la morte, l’origine e il destino la festa è, in ultima istanza, religiosa. Per questa ragione tutti, credenti e non credenti, ci riconosciamo nel bisogno della festa.
7. Il Beato Giovanni Paolo IIha detto che la domenica«è la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento della prima creazione e l’inizio della “nuova creazione”» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, 31 maggio 1998). Per questo, anche oggi, come quasi duemila anni fa, noi continuiamo a dire come i martiri africani di Abitene (IV secolo d.C.) di fronte alle ingiunzioni dei giudici risposero: «Sine dominico esse non possumus», “Senza il giorno del Signore, senza il mistero del Signore, semplicemente non possiamo essere, esistere, vivere” (Acta Ss. Saturnini, Dativi et aliorum plurimorum martyrum in Africa 7, 9, 10: PL 8, 707).
8. Alla scuola della domenica ognuno di noi impara a ricevere la propria vita da Dio e dagli altri, a percorrere il cammino con Dio e con gli altri, a donare se stesso a Dio e agli altri. E in questo modo si genera l’autentica comunità. È la ragione per cui la Conferenza Episcopale Italianapropone a tutti i cittadini di Liberare la domenica per fare festa insieme. È un libero contributo dei cristiani alla vita buona della nostra società plurale.