Riprendiamo di seguito il testo dell’intervento tenuto questa mattina dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, all’apertura del Laboratorio nazionale “La Chiesa per la scuola”, prima tappa di un percorso di sensibilizzazione sulle tematiche della scuola (statale e paritaria) e della formazione professionale promosso dalla CEI. L’evento si svolge fino a domani presso l’Ergife Palace Hotel a Roma.

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LA  CHIESA  PER  LA  SCUOLA

Il Convegno di riflessione, confronto e preghiera a cui diamo inizio rappresenta la prima tappa di un importante itinerario di analisi e progettualità sui temi dell’educazione e della scuola, che culminerà in un incontro conclusivo il prossimo anno a Roma. La scuola va valorizzata, rinnovata e sostenuta, e noi siamo persuasi che solo una società che le dà il giusto valore, promuovendola e sostenendola, può guardare con fiducia al futuro. La Chiesa è per la scuola, perché interessata ad una formazione integrale e armonica dell’individuo. Essa, che ha come compito specifico l’annuncio del Vangelo e la crescita dei credenti verso la pienezza della grazia, è al tempo stesso «intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia»[1],e per questo fa sua la questione delicata e fondamentale dell’educazione. 

La sfida educativa

Il tema dell’educazione acquisisce oggi un’importanza decisiva, tanto maggiore quanto più è in continua evoluzione il contesto sociale ed economico nel quale siamo inseriti. La globalizzazione, con i suoi ritmi frenetici e la competitività esasperata, impone di non trascurare l’aggiornamento, la formazione e l’innovazione, aspetti tra loro inscindibilmente legati. Una società che non investa energie economiche e umane nella scuola, nella formazione e nell’innovazione, finisce per subordinare l’uomo al lavoro e al denaro, come appare in modo drammatico nella finanziarizzazione dell’economia e nella conseguente subordinazione del lavoro alla finanza, elemento che interpella fortemente l’ambito educativo.

Il contesto culturale nel quale siamo inseriti è spesso segnato da uno scetticismo e un individualismo che sfaldano i presupposti stessi dell’educazione, finendo per ridurla a mera trasmissione di conoscenze e capacità tecniche. Il relativismo, di cui il nostro contesto sociale è permeato, rende invalido ogni giudizio di valore, ritenuto inevitabilmente parziale e soggettivo. E così, consegnando il singolo alla assoluta autonomia senza riferimenti valoriali oggettivi che la orientano sul paino etico e sociale, il relativismo sottrae l’individuo alla preziosità dei legami e lo confina in se stesso, prigioniero della propria libertà incondizionata. Questi presupposti, sovente accettati acriticamente quasi fossero autoevidenti e indiscutibili in un contesto pluralistico e democratico, fanno venir meno il concetto stesso di autorità, che di educazione che è iniziazione alla realtà intera, umile assenso dell’intelligenza prima che governo o manipolazione. Ora, una generazione che abdica al compito di offrire una chiara lettura della realtà, rinuncia di fatto a educare, e abbandona alla solitudine i più giovani che, anche senza saperlo esprimere, chiedono di essere accompagnati e di avere davanti a sé esempi credibili e autorevoli.

L’emergenza educativa che stiamo attraversando non è determinata da un singolo problema, che possa essere superato attraverso iniziative o un singoli provvedimenti. Più in generale, la nostra è una società che stenta a educare perché per molto tempo si è sentita  paga del benessere raggiunto e dello sviluppo conseguito;  perché si è pensata autonoma dalle sue radici e dai suoi valori più alti. È necessario quindi che la società nel suo insieme, tanto più in un contesto in cui l’educazione è sempre più concepita come trasmissione di saperi volti a uno sviluppo esclusivamente tecnico, impari a concepirsi come una comunità che educa, che forma persone e le accompagna nella vita. Si può far questo solo se l’educazione è trasmissione dell’immenso patrimonio valoriale e culturale della tradizione, all’interno di un nuovo contesto e di nuovi linguaggi. Questa sfida educativa è accolta dai Vescovi italiani dedicando un intero decennio – quello attuale – proprio a questo tema. In questa luce, i problemi dell’educazione e della scuola vengono colti come occasione e necessità per un loro ripensamento e rinnovamento.

La scuola per un’educazione integrale unitaria

All’interno di questo contesto generale va considerata la realtà della scuola che, pur se non va ritenuta la sola agenzia educativa, pena il suo isolamento e la delega a essa di ogni responsabilità formativa, è tuttavia un irrinunciabile soggetto educativo, in quanto interamente dedicato a essa. Sono numerose, oggi, le carenze che presenta l’istituzione scolastica, che spesso non riesce a fare sintesi tra le varie nozioni che fornisce, finendo per separare «le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità»[2].Una «scuola-supermarket»[3], che propone conoscenze quasi fossero prodotti di uguale valore tra i quali scegliere, diviene incapace di indicare i fini che conferiscono significato ai mezzi proposti.

La frammentarietà di questo scenario deve essere contrastata con un’educazione che offra una visione alta della vita e valorizzi tutte le dimensioni della persona, non solo gli aspetti tecnici e scientifici, né solo quelli emotivi, ma «l’uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l’uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà»[4]. Provoca seriamente la nostra riflessione quanto scrive J. Maritain nel suo testo “Pour une philosophie del l’education” (1959): “E’ il male metafisico che (…) si fa sentire nelle profondità dello spirito e che tocca più impietosamente i giovani, perché non sono ancora abituati a mentire a se stessi. Voglio dire il vuoto, il nulla completo di ogni valore assoluto e di ogni fede nella verità nella quale la gioventù è posta dall’intellighenzia al potere e da una educazione scolastica e universitaria che in generale ( malgrado molte eccezioni individuali) tradisce allegramente la sua missione essenziale. La gioventù contemporanea è stata sistematicamente privata di ogni ragione di vita. E questo è un crimine spirituale”.

Lo smarrimento avvertito dalla scuola è causato anche dall’insufficiente sostegno delle istituzioni, come mostrano non da ultimo i tagli al personale e ai fondi stanziati per le attività  e la strumentazione. Da qui il disagio vissuto da tanta parte degli insegnanti, spesso scoraggiati e disillusi perché scarsamente valorizzati e non pienamente riconosciuti nel loro importante e delicato compito formativo.

«Molte delle difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo sono riconducibili al fatto che le diverse generazioni vivono spesso in mondi separati ed estranei»[5]. Ciò determina una più faticosa comunicazione tra educandi e educati, oltre a un rapporto più difficoltoso e frammentario con le famiglie, primo soggetto della formazione dei figli. Fondamentale è il rapporto tra famiglia e scuola. La famiglia, spesso smarrita di fronte alle nuove sfide e meno attrezzata ad assumersi vere responsabilità educative, chiede sempre di più alla scuola, demandando ad essa in termini sia quantitativi che qualitativi. La scuola svolge così, pur senza averne i mezzi adeguati, un ruolo di supplenza e di sostegno nei confronti della famiglia, in una sorta di vera sussidiarietà. Si avverte, in generale, il forte bisogno di una presa di responsabilità più forte, da parte delle famiglie, davanti all’educazione dei figli: esse devono svolgere appieno il loro compito di formazione e orientamento, dando vita a un’autentica autono mia, nel rispetto del quadro scolastico istituzionale. Lo Stato, da parte sua, deve incentivare tale assunzione di responsabilità e favorire una sana autonomia, come previsto dalla stessa Costituzione.

Il diritto alla libertà educativa

La Costituzione italiana, infatti, riconosce alla famiglia il dovere e il diritto di educare e istruire i figli secondo una linea educativa liberamente scelta. Tale libertà educativa si concretizza, sul piano sociale, nella possibilità data a enti e privati «di istituire scuole ed istituti di educazione» (art.33), e l’opera sociale di queste scuole, aggiunge il testo costituzionale, deve essere favorita dalle istituzioni statali «sulla base del principio di sussidiarietà» (art.118).Il sostegno che lo Stato dichiara di voler offrire alle scuole comprende sia l’ambito finanziario, esplicitato nell’intenzione di favorire le loro attività, sia quello dell’autonomia. Ad esse la legge deve assicurare piena libertà, e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art.33).L’effettiva parità tra scuole statali e scuole paritarie è di fondamentale importanza e va richiamato oggi, in un contesto che spesso riconosce solo il valore delle prime.

Purtroppo, l’auspicata realizzazione dell’autonomia secondo una piena sussidiarietà è spesso ostacolata dai numerosi vincoli e dalle complessità burocratiche vigenti nel nostro sistema. Una sussidiarietà adeguatamente realizzata, invece, quale frutto compiuto dell’autonomia e della libertà educativa, consentirebbe un maggior grado di personalizzazione e di soggettivizzazione delle proposte educative e didattiche. Quanto più gli interventi educativi saranno attuati da chi è sul territorio e più vicino alle situazioni concrete, tanto più risponderanno alle necessità reali e alle vere esigenze delle persone. Il carattere pubblico della scuola non implica, è urgente ribadirlo, livellamento e omologazione di tutte le scuole a un medesimo modello. Certamente vi devono essere parametri comuni, quelli stabiliti dallo Stato, ma all’interno di questi è salutare che si sviluppino progetti, sensibilità e iniziative particolari senza giocare al ribasso, e senza indulgere a tendenze il cui scopo è piuttosto quello di suggestionare piuttosto che educare veramente. Ciò non nega le direttive comuni, ma costituisce un apporto di fantasia e di creatività necessario al rispetto e alla valorizzazione delle diversità. L’autonomia dovrebbe permettere alle scuole di svolgere sempre meglio il proprio ruolo di servizio pubblico, mantenendosi al disopra di una pura concorrenzialità mercantile. Spesso la conflittualità tra scuola pubblica e scuola privata affonda le radici proprio «in una visione distorta del pubblico, che lo identifica con lo Stato e dimentica che esso è, piuttosto, riferito alla dimensione politica come tale, ben più ampia dell’orizzonte statale, perché radicata nell’orientamento dell’intera società civile, nel suo complesso, al bene comune»[6]. La dimensione pubblica va dunque riconosciuta partire da questo orientamento e non dalla titolarità di un’iniziativa da parte dello Stato.

Il carattere pubblico delle scuole paritarie è affermato dal Parlamento italiano con la legge numero 62 del 2000 che, rifacendosi al principio costituzionale sulla libertà educativa ora richiamato, sancisce che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Tale affermazione ha una rilevanza sostanziale, in quanto riconosce il carattere pubblico delle scuole paritarie, termine con cui definisce tutte «le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali che, a partire dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione e sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie»[7]. Alle scuole paritarie, continua la legge, «è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico».Questi principi sono fatti propri dal Decreto del Ministro Moratti del 2005[8],che ne stabilisce l’applicazione fissando le condizioni per l’attribuzione dei fondi.

Malgrado questi positivi riconoscimenti e disposizioni, permangono svariate difficoltà applicative della legge summenzionata, quali l’incertezza della disponibilità finanziaria, la lentezza nell’erogazione dei fondi, l’eccesso di prescrizioni e di controlli burocratici, l’assenza di uffici ministeriali con specifiche competenze sulle scuole paritarie. La parità tra le scuole statali e non deve divenire effettiva, per evitare dannose conflittualità e far sì che tra esse si stabilisca un rapporto realmente costruttivo. «Il confronto e la collaborazione a pari titolo tra istituti pubblici, statali e non statali, possono contribuire efficacemente a rendere più agile e dinamico l’intero sistema scolastico, per rispondere meglio all’attuale domanda formativa»[9]e facilitare la scelta educativa delle famiglie.

Il sostegno economico alle scuole paritarie

Dobbiamo purtroppo riscontrare che, a fronte del conclamato diritto alla scelta educativa, nel nostro Paese non è dato un effettivo e concreto riconoscimento sul piano economico alle scuole paritarie, nonostante le  disposizioni in questa direzione della stessa Comunità Europea. Fin dal 1984,una risoluzione del Parlamento Europeo ha stabilito che «il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario, e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti» (art.1,9). Questo richiamo europeo al sostegno di tutti gli istituti pubblici deve far riflette quella parte della nostra società che si oppone al finanziamento delle numerose scuole paritarie, che forniscono i loro servizi a tante famiglie sul territorio nazionale. Questa posizione si fonda su una malintesa concezione del pubblico, come abbiamo rilevato poco fa, oltre che spesso su una presa di posizione nei confronti della Chiesa, ritenuta oggetto di privilegi che sottraggono energie alle risorse comuni; le scuole cattoliche, infatti, rappresentano il 70% delle scuole paritarie. Simili posizioni non considerano il contributo sociale delle numerose scuole gestite da enti ecclesiastici o non statali, oltre al risparmio economico – e non lo spreco di risorse – che esse portano alla collettività.

Troviamo un esempio emblematico e attuale nella città di Bologna, dove i cittadini, tra poco più di venti giorni, saranno chiamati a esprimersi attraverso un referendum consultivo sull’opportunità di eliminare le convenzioni comunali con le scuole paritarie di ogni ordine e grado. I promotori della consultazione si appellano, come sovente accade, all’articolo 33 della Costituzione, secondo il quale il diritto di istituire scuole e istituti di educazione da parte di enti e privati deve avvenire «senza oneri per lo Stato». A questa presa di posizione si deve replicare, come stanno facendo importanti esponenti e associazioni, che nel caso delle scuole paritarie non si tratta di un onere nei confronti dello Stato in quanto, sebbene esso contribuisca economicamente al loro sostentamento, è ben di più quanto esse fanno risparmiare alla collettività rispetto a quanto ricevono da essa. Non si tratta dunque in alcun modo di un onere, e per questo risulta pretestuoso il riferimento all’articolo in questione.

Dati e statistiche confermano quanto abbiamo affermato. Le scuole paritarie rappresentano il 24% delle scuole italiane; la maggioranza sono scuole dell’infanzia, che raccolgono spesso bambini per i quali non c’è posto nelle strutture statali, e scuole primarie. Educano circa il 10% della popolazione scolastica, ma ricevono dallo St ato solo l’1% della quota stanziata per gli istituti. Inoltre è noto a tutti che, mentre il costo medio annuo per ogni alunno della scuola statale si aggira sui 7 mila euro, l’erario ne stanzia per ogni alunno delle scuole paritarie appena 500. Moltiplicando le cifre, risulta che le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro l’anno[10].

Il sostegno effettivo, e non solo di principio, che viene giustamente rivendicato per tutte le scuole paritarie, comunali, di ispirazione cattolica o di altri enti, si basa sul fatto che esse si adoperano per fornire un servizio a chi altrimenti non potrebbe averlo, o a chi sceglie consapevolmente l’orientamento educativo da offrire ai propri figli. Una vera soggettivizzazione del tessuto sociale passa da una maggiore valorizzazione dell’autonomia e da un adeguato sostegno a essa. Mi auguro che questi dati, e le considerazioni che serenamente ne conseguono, siano oggetto di una riflessione attenta e concreta al fine di far meglio conoscere alla pubblica opinione la realtà e non vecchi pregiudizi di tipo ideologico che, in Europa, resistono ostinati solo nel nostro Paese. E’ il gioco la libertà dei genitori circa l’educazione dei propri figli. Straordinaria e affascinante avventura! Essi, i figli, dopo essere stati generati nel corpo hanno il diritto e chiedono di essere generati nello spirito.

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NOTE

[1] Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et Spes, n.1.

[2] Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del vangelo, n.13.

[3] Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, La sfida educativa, Laterza, Roma-Bari 2009, pp.63-65.

[4] Gaudium et Spes, n.3.

[5] Educare alla vita buona del vangelo, n.12.

[6] La sfida educativa, 65.

[7] Legge 62,2/2000.

[8] Decreto Ministeriale del 11 febbraio 2005, n.27.

[9] Educare alla vita buona del vangelo, n.48.

[10] Fonte dei dati: MIUR, La scuola in cifre 2009-2010.