«Può avere un senso chiarire a questo uomo moderno la sua particolare situazione religiosa definendola rispetto a situazioni anteriori? Forse fino a un certo limite, ed io ho anche affrontato questa fatica in Die Gottesfrage des heutigen Menschen», così lo stesso Hans Urs von Balthasar descrive retrospettivamente la sua opera che appare per la prima volta in italiano con il titolo La domanda di Dio dell’uomo contemporaneo. Il piccolo volume di Balthasar, la cui prima edizione tedesca risale al 1956, costituisce un ripensamento e un completamento di un altro lavoro (passato alla storia come progressista!), ovvero, Abbattere i bastioni.

Prima di dedicarsi alla svolta estetica che apre la sua famosa trilogia (Gloria, Teodrammatica , Teo-logica), Balthasar ha voluto offrire un ultimo contributo a sondare la situazione religiosa dell’uomo contemporaneo e a rilevare la mancanza contemporanea di orecchio musicale in campo religioso. Nondimeno, sarebbe troppo semplicistico e indegno del genio balthasariano, rinchiudere l’opera sotto lo slogan antropologico, come se fosse l’opera che chiude la fase pre-critica o – se si preferisce – pre-estetica, del teologo di Basilea. Il respiro del Balthasar della Trilogia si sente già in queste pagine.

Seppure lo stesso Balthasar abbia ritenuto il presente tentativo come una «delusione», tanto da non inserirlo nel piano ufficiale della sua Opera omnia, il volume ha avuto una positiva accoglienza da parte di teologi importanti. Ricordiamo, a mo’d’esempio Joseph Ratzinger, il quale elogia nel saggio di Balthasar la miscela di filosofia della storia e filosofia della religione, e accetta la diagnosi della perdita di un orientamento cosmologico della religione naturale a favore di una svolta antropologica verso la dimensione secolarizzata del mondo e la riscoperta, a essa collegata, della dimensione personale e della trascendenza di Dio, nella sua pura divinità.

Scienza e religione

La prima parte del libro prende atto del mondo moderno segnato dalla scienza sperimentale, il quale è comunque alla ricerca di «una visione del mondo, di una filosofia e di una religione, poiché esso cerca il proprio senso» (27). La modernità apre l’uomo a una percezione più cosciente dell’ambiente circostante, basta guardare la produzione artistica per vedere come pian piano la natura inizia ad essere sempre più presente negli affreschi, nella letteratura, ecc.

L’antropologia diventa gradualmente la scienza universale. Ma la svolta antropologica ci obbliga a constatare – al di là dell’ingenuità dei suoi albori in Feuerbach – che l’uomo, se possiede una chiave del senso delle cose, non la porta in sé tramite idee bell’e pronte, ma «avvicinandosi alle cose e portando loro la propria luce spirituale, come lo strumento dell’interpretazione universale del senso» (50).

Balthasar avverte dal pericolo di resa incondizionata all’avanzare della scienza e della tecnica e invita profeticamente – molto prima della rivoluzione informatica, virtuale, e web 2.0! – a «non seppellire le fonti della contemplazione» (73) per non soccombere allo strapotere dell’attività tecnica, cinica e senz’anima.

Senza cedere a stereotipati pessimismi e fatalismi, Balthasar ci invita a riflettere sulla relativa facilità di collegarsi direttamente con Dio tramite un paesaggio naturale, dove si può «leggere senza fatica il manoscritto del Creatore» e le nostre città di oggi, dove è in generale visibile solo «la firma dell’uomo». «Cemento e vetro non parlano di Dio, ma rimandano soltanto all’uomo che si glorifica in essi. Le città non sono trascendenti, e perciò esse non conducono alla trascendenza» (76).

Riflettendo sulla religiosità dell’uomo contemporaneo, Balthasar si sofferma con un tocco di ironia sul discorso di Paolo all’areopago di Atene, e osserva che, molto probabilmente, se questo discorso dovesse essere pronunciato alle orecchie dell’uomo di oggi, la contraddizione non scoppierebbe quando Paolo inizia a parlare della risurrezione, ma molto prima: all’inizio del discorso, quando l’oratore fa la dichiarazione di intenti parlando di esperienza religiosa in collegamento con l’evento cristiano.

La novità «antica»

Nella seconda parte del libro, la proposta di Balthasar può essere riassunta in un duplice movimento: recupero dell’apofatismo e il sacramento del fratello. L’invito metodologico – e anche stilistico – è quello di prendere atto, non solo della situazione dell’uomo di oggi, ma anche del dono con cui si vuole andargli incontro (132).

Il passaggio verso la carne del cristianesimo, deve prendere atto innanzitutto della situazione paradossale che viene riassunta nella Postfazione da Pierangelo Sequeri così: «L’oscuramento della Parola è diventato paradossalmente simmetrico al suo spreco routinario e sofisticato». Parliamo troppo facilmente e troppo banalmente di Dio. I nostri grandi concetti sono al tempo stesso troppo e troppo poco. Da qui, il primo movimento deve essere quello di un recupero cosciente del necessario apofatismo, il quale non è mutismo ma ascolto della Parola che trascende le parole e ingloba il silenzio adorante. Questa Parola-Altro spinge il Narciso religioso di oggi oltre i confini del proprio io, verso l’incontro affascinante e tremendo con il Trascendente. L’apofatismo è un invito a riconoscere che «Dio non è Mysterium fascinosum soltanto relativamente e per la nostra esistenza terrena: lo è assolutamente e per sempre» (134).

Il secondo movimento è un invito a riconoscere Dio nella concretezza del suo attributo specificamente cristiano: Dio è amore. L’amore è un sacramento di incontro. «È sufficiente che il cristiano ami il fratello insieme con Cristo; allora egli lo amerà guardando al Padre, ma non potrà farlo diversamente che vedendo risplendere – in virtù dell’amore – nel volto velato e sfigurato del fratello l’immagine originaria di ogni uomo sfigurato» (168). Sequeri spiega che questo sacramento del fratello va intenso in due sensi: l’altro da amare è colui per il quale Cristo è morto. E, d’altro canto, l’amore del fratello è il risvolto indissolubile e discriminante dell’amore proclamato per Dio.

Questi due volti della fede – il volto apofatico del silenzio che adora la Parola e quello della realtà pratica e sacramentale dell’amore – rendono l’opera di Balthasar a più di mezzo secolo dalla sua uscita un monito profetico e alquanto attuale sia per la teologia sia per la prassi cristiana.

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