In che modo i politici possono promuovere il benessere nella società in una maniera che vada al di là della mera crescita economica e della stabilità?
Quest’ultima è stata la questione centrale di una conferenza intitolata Il benessere della società: la felicità come misura dell’economia? Una prospettiva culturale, ospitata ieri dalla Pontificia Università della Santa Croce, con il contributo delle ambasciate britannica e costaricana presso la Santa Sede.
L’obiettivo della conferenza è stato quello di esaminare come sia possibile per la politica misurare ed applicare i principi del benessere – o della “felicità” – in una determinata società.
Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura è stato tra i relatori, assieme a Fernando Felipe Sanchez, ambasciatore della Costa Rica presso la Santa Sede, e Nigel Baker, ambasciatore britannico presso la Santa Sede. Tra i relatori hanno inoltre figurato Saamah Abdallah, membro della Fondazione New Economics, Glenn Everett, direttore del Benessere per l’Office od National Statistics, e Roberto Serrentino, professore di Scienza delle Finanze presso l’Università E-Campus di Novedrate (Como).
A colloquio con ZENIT, l’ambasciatore Baker ha parlato degli obiettivi delle conferenza e delle sfide dell’implementazione dei principi del “benessere” nella società.
Qual è l’obiettivo della vostra conferenza?
Baker: C’è da tempo in corso un dibattito su come misurare il benessere della società e su come applicare le politiche per rendere migliore la vita della gente. Uno dei misuratori classici è stato il GDP – la misura della ricchezza economica – ma, ormai da parecchio tempo, i soggetti politici hanno riconosciuto che ciò non è sufficiente. In particolare a partire dagli anni ’70, ’80 e ’90, numerosi sono stati gli sforzi per provare a determinare dei parametri di benessere più ampi che includono fattori tangibili: l’educazione, gli aspetti ambientali, la cura dell’infanzia, il matrimonio, eccetera. Vi sono anche quelli che gli economisti chiamano “aspetti soggettivi”: come è possibile che qualcuno che dovrebbe essere più ricco e più sano, possa essere più ansioso di qualcun altro che proviene da un paese più povero, ma ha un più forte senso del benessere per sé o per la propria famiglia?
Un paio di aspetti più concreti di questo dibattito che abbiamo visto nel Regno Unito: la Fondazione New Economics, un think-tank economico che ha ideato un “indice di pianeta felice” (HPI), e il governo britannico che ha lanciato un programma nazionale per il benessere, che sta cercando di captare questo senso del benessere per gli operatori della politica.
Abbiamo pensato fosse opportuno portare questo dibattito presso la Santa Sede. Loro hanno il proprio contributo da divulgare, perché stiamo parlando di fattori che incidono sulla giustizia sociale, fattori come la fede, come la più ampia salute possibile per la società che vada al di là della pura gestione economica; sono tutti temi ai quali la Santa Sede è interessata. Abbiamo anche i nostri partner dal Costarica che, da sempre sono all’avanguardia su questo HPI.
Si tratta, in primo luogo, di una possibilità per noi di discutere l’argomento in questa sede, con il contributo del pensiero della Santa Sede e, per la Santa Sede, di contribuire con il proprio pensiero al dibattito economico, sociale e culturale.
Riguardo a questo obiettivo della politica di promuovere il benessere in un senso più profondo, non c’è il rischio per i leader politici di avere troppo controllo sulla definizione di felicità per la società?
Baker: Il rischio c’è, e – penso a chi ha criticato, ad esempio, il Programma Nazionale per il Benessere nel Regno Unito – e il pericolo è che i governi finiscano per intromettersi sempre di più nella vita della gente. Possono dire “modifica qui, modifica là, e possiamo migliorare il benessere nazionale”.
Come ogni indice, come ogni criterio di misurazione, dobbiamo stare molto attenti. Non c’è alcun dubbio, comunque, che la politica dispone di strumenti piuttosto inadeguati con cui misurare il successo dei loro provvedimenti o decidere quale politica possa essere meglio applicata per migliorare la vita della popolazione. Provare a definire come migliorare la vita della gente partendo dal punto di vista della gente stessa, è una cosa nobile e, al tempo stesso, giustificata in termini politici.
Come è possibile applicare globalmente tali principi di benessere? Il concetto di benessere in una cultura, ad esempio, può non coincidere con quello di un’altra cultura. In che modo possono essere conciliate queste differenze?
Baker: Questo è uno dei problemi che concernono, ad esempio, l’HPI che è soltanto uno dei tanti indici che misurano tale benessere. Per quale motivo i criteri che vengono applicati finiscono per portare in alto un paese come Cuba e in basso gli USA? Giustamente chi critica gli Stati Uniti dirà: “Ci sono negli Stati Uniti persone meno felici dei cubani?” (e comunque, facciamo attenzione con il concetto di “felicità”).
Quanto alla seconda domanda, lei ha ragione. Ci sono diversi criteri di applicazione. Ma questo è esattamente lo stesso argomento che chiunque può usare per criticare mezzi come il GDP. Qualcuno può essere meno in salute di un’altra persona di un altro paese, ma magari è meno ansioso. Costoro possono essere più contenti come esseri umani, perché hanno una certa situazione familiare, oppure una casa di proprietà. La persona più ricca può preoccuparsi del lavoro il giorno successivo, mentre la persona più felice può avere un rapporto diverso con il mercato del lavoro. Questi ultimi, in molti casi, sono criteri soggettivi. C’è un aspetto eminentemente culturale per il quale vale la pena veicolare questi argomenti attraverso il Pontificio Consiglio per la Cultura. Inoltre è giusto cercare di trovare dei termini di paragone, e dire che non è solo una questione di ricchezza. Non è soltanto in base al successo materiale che una vita umana può essere definita migliore o peggiore di un’altra. Vi sono molti altri criteri e forse noi, come soggetti politici, abbiamo bisogno di guardare ai problemi con più profondità, per notare i paragoni e i contrasti, e possiamo anche prendere in prestito idee e prassi virtuose da altri paesi.