La violenza omicida degli uomini nei confronti delle donne è un fatto di vaste proporzioni; solo in Italia nel 2005 si sono contati ottantaquattro casi e ben centoventi nel 2012. Tuttavia in pochi ricordano l’elenco dei novantadue casi di «maschicidio» o i casi di omicidio di donne da parte di altre donne.
Come mai? Il drammatico e doveroso computo degli esecrabili casi di «femminicidio» non dovrebbe oscurare la riflessione su una violenza che appare generalizzata, per una comprensione più oggettiva e autentica della crisi che colpisce la nostra società a ogni livello. Lo sostiene il giornalista d’inchiesta Pier Giorgio Liverani, già direttore di Avvenire, in un suo studio che appare sul n. 627 del mensile Studi Cattolici (maggio 2013).
Concentrandosi nell’analisi più specifica del «femminicidio», il notista, che è anche membro del Movimento per la vita, si chiede, poi, se i doverosi sforzi per la tutela della donna non siano oggi minacciati da un pericolo sotterraneo. Meglio «donne» o«cittadine»? Prendendo spunto dall’affermazione della giornalista blogger Sarah el Sirgany, Liverani sposta allora l’attenzione sul dramma del «femmicidio», cioè l’ostinata, reiterata e sottaciuta «uccisione non fisica ma ideologica, antropologica, dell’idea stessa di Donna», intesa, cioè, non come «mera femmina», prodotto casuale e sindacabile di un cieco processo biologico, ma come domina, Signora del Creato.
A lei appartiene una dignità del tutto particolare che certe mode femministe o il contraddittorio «diritto al figlio/diritto di abortire» e le teorie sul gender oggi stanno più o meno consapevolmente negando. La preferenza per l’essere «cittadina», ostentata con orgoglio, insinua nella società un indifferentismo che, negando la specificità connaturale dell’essere Donna, ne ferisce la dignità, ne limita la grandezza e nega la sua alta vocazione. «I cittadini, infatti, – chiosa Liverani – non hanno sesso e perciò, se tali fossero, le donne rischierebbero di valere soltanto quanto gli uomini».