Devozione, arte culinaria, folklore. Alla 22° edizione della Festa dei popoli, svoltasi ieri a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano, migliaia di migranti hanno dimostrato che l’integrazione è possibile pur mantenendo le proprie diversità.
Organizzato dalla diocesi di Roma, l’evento – nato grazie a padri scalabriniani alcuni anni fa, quando l’immigrazione in Italia era ancora un fenomeno poco diffuso – ha avuto il titolo Un incontro che cambia.
La celebrazione della Santa Messa, avvenuta nel giorno della Solennità di Pentecoste, è stata presieduta da mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare del settore centro della diocesi di Roma, il quale ha ricordato che “la convivenza tra i popoli non è un ‘mischiarsi’ che sia comodo”. “Siamo diversi – ha aggiunto il presule – ma non una Babele” e “chi ha paura della diversità, vuol dire che non ha identità”.
Il padre scalabriniano Gaetano Saracinu, uno degli organizzatori della Festa, ha raccontato a ZENIT che all’evento erano presenti: 27 comunità per animare la liturgia eucaristica; 19 cucine etniche; 35 gruppi folkloristici; 60 stands culturali e oltre 150 etnie registrate in piazza San Giovanni in Laterano.
Il religioso ha inoltre ricordato: “Quando iniziammo, 22 anni fa, eravamo meno di trecento persone. Oggi se ne contano più di 10.000”. Per padre Saracinu, quella dei Popoli è una Festa “significativa per l’intera comunità cristiana”, perché l’immigrazione è una “parte strutturale dell’Italia”. Gli immigrati “vivono quotidianamente con il popolo italiano, hanno le loro associazioni con cui aiutano i propri paesi d’origine. In Italia, oggi, si è superata la diffidenza, e ci si è abituati all’arrivo di persone di altre culture”. Attualmente, nel nostro Paese, gli immigrati sono circa il 7,5% della popolazione totale.
Riguardo al titolo della giornata, il direttore dell’Ufficio migranti della diocesi di Roma, mons. Pierpaolo Felicolo, ha dichiarato a Zenit che “al di là del folklore, è proprio l’incontro la cosa più profonda per l’uomo di oggi. Guardando questa piazza – ha aggiunto – abbiamo un’immagine molto bella di uomini e donne che ballano, fanno festa, ma soprattutto si incontrano, e incontrarsi significa guardarsi, e se uno si guarda si avvicina l’altro, supera i timori, i dubbi, le divergenze. Parlandosi mutuamente significa capirsi meglio. Questo è il significato profondo, intenso, bello della Festa dei Popoli”.
All’evento hanno partecipato anche gruppi non religiosi, ha poi confermato mons. Felicolo, nonostante “la matrice della Festa sia profondamente cristiana” e si celebri nella Basilica madre di tutte le Chiese: San Giovanni in Laterano.
“La Festa dei Popoli – ha proseguito – è nata dall’intelligenza dei sacerdoti scalabriniani, che oggi collaborano con la comunità di Sant’Egidio, dei comboniani, dei gesuiti del centro Astaldi per i rifugiati e di tante altre realtà. È importante dare visibilità a questo lavoro con i migranti, perché esso richiede ogni giorno una pazienza silenziosa e costante a fianco ad uomini venuti da tutte le parti del mondo”.
Sull’importanza del folklore e del fatto che ognuno parli la propria lingua, il responsabile dell’ufficio diocesano ha precisato che “l’unità non è omologazione” e che “bisogna mantenere le proprie diverse identità, che, una volta che si trovano, finiscono col volersi bene, perché tutte lavorano per l’unità della Chiesa”.
Ha poi ricordato una domanda di Papa Francesco di alcune udienze fa: “Cosa fa Roma per i migranti?”. “È una bella domanda – ha dichiarato mons. Felicolo – che ci pone in discussione, ci toglie la sensazione di pensare che siamo arrivati al traguardo e ci ricorda che dobbiamo ancora muoverci per avvicinarci a tanti fratelli e sorelle”.
In particolare, tra gli obiettivi da raggiungere c’è “il riconoscimento della ricchezza della multietnicità; una buon integrazione delle seconde generazioni che possano ottenere la cittadinanza italiana; favorire le ramificazioni familiari, perché le famiglie divise sono fragili, mentre una famiglia unita è più forte”.
Infine, alla domanda su cosa significhi, nel campo dell’immigrazione, l’espressione del Santo Padre “le periferie esistenziali”, il direttore dell’ufficio per i migranti ha risposto che, per i migranti, significa “sentirsi soli”. “Questo evento della Festa dei popoli – ha concluso – è solo un segno, che non finisce qua, ma ci invita a partire verso queste periferie esistenziali, in modo che la solitudine sia sconfitta e la rete di solidarietà possa accogliere tutti”.