Prima della veglia di preghiera monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, ha presentato le 150 diverse realtà ecclesiali convenute in piazza san Pietro e nelle zone adiacenti.
“Vengono da ogni parte del mondo e attestano il grande dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa in questi cinquant’anni dall’inizio del Concilio”, ha aggiunto mons. Fisichella.
Tante e accorate le testimonianze di persone del Cammino Neocatecumenale, del Rinnovamento nello Spirito, del Movimento dei Focolari, delle Cellule parrocchiali di animazione, di Nuovi orizzonti, di Comunione e Liberazione e di Sant’Egidio.
Alla fine della Veglia anche Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, ha ringraziato il Papa per il sostegno che ha dato alla difesa della vita fin dal concepimento e alla raccolta di firma europea “Uno di noi”.
Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze del governo pakistano, ucciso da estremisti islamici a 43 anni, ha raccontato che nel suo Paese “i cristiani sono una piccola minoranza, molto povera. … Molte volte i cristiani sono soggetti a discriminazioni, e anche violenze. … Ma, come discepoli di Gesù, vogliamo essere uomini di pace, in dialogo con i nostri fratelli musulmani e delle altre religioni. Vogliamo testimoniare con l’amore e la misericordia la nostra fede in Gesù. E’ stata questa la testimonianza del mio fratello più giovane, Shahbaz Bhatti, che ha dato tutta la sua vita per il Vangelo”.
Parlando di suo fratello, Paul ha raccontato che “nonostante le minacce, è stato fedele alla sua missione di essere vicino ai poveri, di testimoniare l’amore di Gesù nella società violenta del Pakistan, e le sue parole e i suoi gesti hanno dato coraggio ai cristiani pakistani”.
Paul ha concluso dicendo: “ora tanti hanno raccolto la sua testimonianza e vogliono continuare a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici”.
Lo scrittore e giornalista irlandese John Waters, per decenni lontano dalla fede ha spiegato che per lungo tempo ha creduto che Dio fosse incompatibile con la sua ricerca della libertà.
Grazie all’aiuto di alcuni amici Waters ha imparato che “il desiderio della grandezza di Dio non era un concetto astratto, ma un fatto al centro della mia struttura e della mia natura … conoscere Cristo è conoscere me stesso, capire come sono fatto e diventare libero”.
In mezzo alla folla festante, è giunto alle 17,30 papa Francesco, il quale dopo aver visitato con la jeep i vari settori della piazza e di Via della conciliazione è salito sul Sagrato per rispondere a braccio a quattro domande che gli sono state rivolte dai presenti.
Come riportato fedelmente dalla Radio Vaticana, alla prima domanda “Come ha potuto raggiungere Lei nella Sua vita la certezza sulla fede?”, il Papa ha risposto: “Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio dalla mia nonna, no? E’ bellissimo, quello! Il primo annuncio in casa, con la famiglia. E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e tante nonne, nella trasmissione della fede. Noi non troviamo la fede un po’ nell’astratto, no: sempre è una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, ti da la fede, ti da il primo annuncio… E questa esperienza della fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono … ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! …. Voi parlavate della fragilità della fede: come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità, è curioso, eh?, è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, ma lo sappiamo. Ma Lui è più forte!”.
La seconda domanda è stata ”Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi?” ed il Papa ha risposto: “Dirò tre parole soltanto. Primo: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose, pure, ma senza Gesù, non andiamo, la cosa non va. La seconda parola è la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto, e questo è collegato con quello che ho detto prima, sentirsi guardati. Quando Lui ci guarda, ci da forza. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. E terzo, la testimonianza”.
Molto impegnativa la terza domanda: “Come possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? Quale contributo possiamo dare per affrontare la grave crisi di oggi?
A questa il Papa ha risposto in maniera articolata. Ha raccontato, citando un rabbino del 12° secolo, la storia della costruzione della Torre di Babele “Quando cadeva una torre era una tragedia nazionale, veniva punito l’operaio, perché i mattoni erano preziosi, ma se cadeva l’operaio non succedeva niente”.
Ed ha aggiunto: “se cadono gli investimenti, le banche, questa è una tragedia, se invece le famiglie stanno male, non hanno da mangiare, allora questo non fa niente”.
“Ed è questa – ha sottolineato il Papa – la nostra crisi di oggi”. In questo senso “la Chiesa povera per i poveri va contro una simile mentalità”.
“La Chiesa – ha continuato – non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è quello. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione”.
Ha quindi messo in guardia i fedeli “siate furbi perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo, e una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficienza”. Ha ripetuto che “quando la Chiesa diventa chiusa si ammala, come una stanza che rimane chiusa e dove l’aria è viziata” ed ha affermato: “preferisco mille volte una Chiesa incidentata, che subisce degli incidenti, piuttosto che una Chiesa malata per chiusura”.
Secondo papa Francesco, c’è bisogno di andare incontro agli altri praticando la cultura dell’incontro e dell’amicizia, contrastando la “cultura dello scarto”, quella che emargina i deboli, gli anziani e i bambini.
Il Vescovo di Roma ha invitato tutti ad “andare incontro a chi non la pensa come noi, perché tutti sono figli di Dio, senza negoziare la nostra presenza”.
Ha definito uno “scandalo” il fatto che la morte di un barbone per il freddo, o bambini che non hanno da mangiare non facciano notizia.
Ha concluso sottolineando che “non dobbiamo essere cristiani inamidati, come persone che prendono il tè: dobbiamo essere cristiani coraggiosi, andare incontro a quelli che sono la carne di Cristo”.
All’ultima domanda “Confessare la fede: tanti nostri fratelli soffrono a causa di essa. Vorrei fare di più: ma che cosa?”. Il Papa ha risposto invitando i fedeli ad avere il coraggio di affidarsi a Dio, con pazienza e sopportazione. A questo proposito ha parlato dei martiri moderni “Loro soffrono, e ci sono più martiri oggi, che nei primi secoli della Chiesa. Più martiri. Fratelli e sorelle nostri. Soffrono. Ma il martirio non è mai una sconfitta: il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. E anche noi, questa esperienza ci deve portare a promuovere la libertà religiosa, per tutti, per tutti: ogni uomo e ogni donna deve essere libero nella sua confessione religiosa, qualsiasi sia”.
In conclusione, mentre la piazza gridava “Francesco, Francesco” il Papa ha detto di non gridare più Francesco, ma “Gesù, Gesù”. ”Mai più Francesco, gridate Gesù”, ha ribadito il Pontefice.