di Robert Cheaib
ROMA, lunedì, 29 ottobre 2012 (ZENIT.org). – La nuova evangelizzazione (=NE) non può nutrirsi solo di nuovi slogan e di indisciplinato ed effervescente zelo. Il pathos isolato dello zelo non va tanto lontano, e la novità della sua evangelizzazione presto cede il passo alla fatica, alla delusione, alla noia. Lo zelo, segno di buona volontà, deve essere congiunto a un metodo, una riflessione intelligente e sensibile, un ascolto attento delle attese dell’uomo e una rivisitazione saggia, profonda e rinnovata dell’approccio evangelizzatore del Chiesa, affinché la NE non sia solo «decorativa, a somiglianza di vernice superficiale», ma punti – come già auspicava con chiaroveggenza Paolo VI – a evangelizzare «in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo».
È qui che si colloca l’interessante libro di Carmelo Dotolo e di Luciano Meddi, Evangelizzare la vita cristiana. Teologia e pratiche di nuova evangelizzazione. Nel libro pubblicato dalla Cittadella Editrice i due autori riflettono rispettivamente sul metodo e sulle pratiche della NE.
Nella prima parte del libro, «Teologia, evangelizzazione, cultura. Riflessioni di metodo», Carmelo Dotolo evidenzia il nesso sussistente tra teologia, cultura ed evangelizzazione. L’evangelizzazione è chiamata a percorrere vie di auditus e di simpatia verso la fatica dell’umanità in cammino e in fuga dalla propria umanizzazione. Il discorso focalizza l’attenzione sulla «qualità» dell’esperienza credente puntando innanzitutto a un dialogo interculturale con una finalità doppia: «evangelizzare la cultura e inculturare il vangelo» (Giovanni Paolo II).
Dotolo segnala la «decisività del metodo per una corretta interconnessione tra sapere teologico e stili di evangelizzazione». Egli invita anche a un attento ascolto delle istanze di cultura contemporanea per rendere reale e sostenibile il dialogo. Ci sono infatti «scenari nuovi» che interpellano la qualità dell’annuncio della fede ai quali non è possibile rimanere indifferenti. L’uomo e la sua storia non sono marginali nel processo di evangelizzazione ma sono «il luogo ermeneutico per una comprensione più autentica dell’originalità del Vangelo» (28). Per questo motivo, la NE deve avere l’ansia di ricreare il tessuto umano, terreno indispensabile per l’innesto della fede.
Per il nostro autore, il processo di NE deve attestarsi intorno a un paradigma preciso, attorno a cui far convergere la proposta cristiana. Questo paradigma è Gesù Cristo: «La progressiva comprensione dell’identità cristiana, modulata sul paradigma di Gesù, ha qualificato la predicazione cristiana dei primi tempi, non solo nella prospettiva di una costruzione dottrinale e istituzionale, ma anche nel contributo dato all’elaborazione di una visione della vita e del mondo culturalmente innovativa, tanto da provocare reazioni oscillanti tra l’incomprensione e il fascino» (32-33).
Differenza qualitativa
Dotolo avverte comunque che la prossimità del Vangelo alla cultura non deve oscurare «la spiazzante estraneità» della logica evangelica rispetto alla logica del mondo. È solo in questa tensione di inculturazione e giudizio profetico che si conserva la «differenza qualitativa» del Vangelo e permette che sia una sorgente fecondo nel cuore della cultura.
Il paradigma Gesù richiama una Chiesa che non si dimentichi della sua tensione verso il Regno, una Chiesa che si comprende come realtà penultima che mantiene, nella logica escatologica, una musicale tensione critico-cristico-profetica. Anche in stati di minoranza, è un appello ad essere minoranza qualitativa che sa porre segni credibili, affascinanti, in relazione all’obiettivo centrale.
La NE non deve chiudersi alle sfide attuali tra cui primeggiano: l’esigenza del dialogo interculturale, lo stile ecumenico e l’incontro interreligioso, una spiritualità che coltivi l’umanità, una responsabilità creativa per l’ambiente e la passione di una trasformazione.
La proposta di Dotolo si chiude segnalando un semplice ma importante «problema di stile» puntualizzato da Severino Dianich: «solo una fede umile è capace di evangelizzare».
Solo una comunità evangelizzata può evangelizzare
Nella seconda parte, «Compiti e pratiche di nuova evangelizzazione», Luciano Meddi si impegna a individuare dinamiche e percorsi opportuni di una corretta pratica della NE. La NE si configura come una questione di «qualità formativa della comunità» (82).
Uno dei primi impegni della pratica della NE è quello della riforma interna della comunità ecclesiale. Solo una comunità evangelizzata può evangelizzare. «Il compito missionario della Chiesa è legato alla qualità di vita della comunità per cui la NE consiste nel sostenere la fede degli adulti introducendo pastorali centrate su un nuovo equilibrio tra trasmissione e interiorizzazione» (83).
Praticare la NE richiede vari compiti e processi necessari tra cui: rinnovare la comunicazione del messaggio, imparare ad accompagnare il cammino di fede, entrare in relazione con le persone, costruire luoghi di condivisione della fede, pensare la pastorale come formazione.
Seguono anche tre grandi impegni pastorali: edificare comunità missionarie; seminare: narrare e raccontarsi di nuovo la fede; radicare: far crescere la statura di Cristo.
Oltre il formalismo religioso
La NE deve andare oltre l’abbaglio di sembianza e semantica religiosa che si trova ancora in alcuni paesi come l’Italia dove esiste tuttora una sostanziosa presenza del gergo religioso, il quale, però, non tocca l’intimo dell’esperienza personale ma è residuo di un «formalismo religioso» a sua volta frutto di una formazione inadeguata.
Non bisogna cedere neppure all’abbaglio della domanda di sacramento che raramente è accompagnata dalla volontà di conversione e di sequela. È significativo che Luciano Meddi, analizzando questo fenomeno, evidenzi che non è dovuto alla mancanza di istruzione o dottrina ma, esattamente al contrario, è dovuto a «una predicazione e catechesi solo centrata sulla dottrina. Una pastorale non impegnata a costruire il ponte tra messaggio e vita porta il credente a conservare la dottrina ma in modo formale, separata dalla vita» (93).
L’appello del teologo allora è quello di superare il paradigma che ha dominato finora, quello di «una pastorale della socializzazione religiosa (o catecumenato sociale)» per rispondere a una urgente esigenza del nostro tempo, ovvero, «una pastorale per la conversione, maturità di fede e formazione della competenza cristiana della vita» (94).
In altri termini, il compito principale della NE è superare la frattura tra esperienza religiosa ed esperienza quotidiana e sostenere il passaggio tra annuncio e conversione. Passaggio che avviene solo dentro la persona, nel suo coinvolgersi personalmente nell’esperienza credente.
Un rinnovato progetto pastorale
La crisi del cristianesimo è una crisi formativa. A tale crisi non si risponde con un aumento quantitativo dell’attuale proposta che mostra segni di cedimento, ma nel ripensare qualitativamente e stilisticamente la prassi pastorale. Con schiettezza Meddi nota che «il problema della pastorale con gli adulti non è l’assenza della domanda ma la sconcertante situazione di assenza di risposta adeguata e ancora di più che la qualità della proposta formativa è talmente bassa e carente che nella maggior parte dei casi l’incontro dell’adulto con le comunità produce un allontanamento ancora più profondo» (147).
Il richiamo allora non è quello di limitarsi a interventi settoriali ma di puntare a una ve
ro e proprio rinnovamento del progetto pastorale parrocchiale, diocesano ed ecclesiale che sappia presentare adeguatamente ai pellegrini del sacro tutta l’attrattiva di Gesù.
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