di Monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense
ROMA, domenica, 24 giugno 2012 (ZENIT.org).- Se vi sono attività, che devono restare costitutivamente libere, queste sono l’insegnamento e l’apprendimento.
La persona umana ha l’obbligo morale di ricercare la verità liberamente, per libera convinzione interiore. La libertà di apprendimento è a fondamento di ogni convivenza civile. Limitarla o manipolarla significa sopprimere i valori.
In sintesi, ricordo quanto affermava don Sturzo nel 1947: «La libertà in un paese è una e indivisibile. Non si meraviglino amici e avversari se io ripeto qui quel che in pubblico e in privato vado scrivendo e dicendo a tutti: finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gl’Italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie, perché il cittadino non ha respirato da bambino e da giovanetto e da giovane che l’aria di una scuola non libera, dove l’insegnante (vesta o no la divisa militare come ai tempi fascisti) è anche lui un salariato, servo dello Stato, che deve ubbidire alle leggi che sono annullate dai regolamenti, e ai regolamenti che vengono modificati dalle circolari, e alle circolari che sono sospese con lettere di autorità…, mentre pesa su di lui lo spettro della carriera che ad ogni passo è resa incerta da nuovi e improvvisi provvedimenti. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati alla nobile funzione di educatori, non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale».1
In questo modo, don Sturzo ci indica un programma di educazione, anche nell’ambito accademico, che qui ci interessa.
L’ambiente educativo dell’università
Partiamo da un’osservazione elementare di pedagogia: è l’ambiente stesso che educa o diseduca; è l’ambiente stesso che suscita il senso dell’appartenenza o del rifiuto.
Di qui l’importanza basilare di curare l’ambiente, a cominciare dalla sua pulizia e dal suo decoro, per giungere alla proprietà e all’efficienza di tutti i mezzi e i sussidi a disposizione. Perché, alla fine di tutto, occorre realizzare un ambiente capace di comunicare ciò che vogliamo trasmettere, promuovendo senza cedimenti quella cultura della qualità, che deve caratterizzare lo stile della vita accademica ordinaria. Torneremo sulla questione più avanti, nel quarto paragrafo di questo contributo.
Da parte sua, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2012 – significativamente intitolato: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace” – il Papa scrive tra l’altro: “Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli”.
Il punto di appoggio di simili ambienti sono le relazioni educative. Solamente all’interno di tali relazioni può avvenire la crescita delle persone.
3.1. La relazione docente-studente è educativa quando è finalizzata effettivamente alla realizzazione del giovane. Una relazione tra persone porta sempre allo sviluppo delle persone che interagiscono, quando si svolge all’interno di un habitat di valori che provengono dall’interiorità, dalla coscienza degli attori della relazione. Nel caso specifico di una relazione educativa, nel significato profondo del termine, l’habitat di valori è finalizzato appunto alla realizzazione del giovane.
Evidentemente vi è un apporto di realizzazione anche per l’educatore. Tuttavia l’educatore è tale solo nella misura in cui accompagna il giovane nella sua realizzazione. Tale accompagnamento consiste nel discernere e nell’aiutare la vocazione del giovane.
Dal punto di vista cristiano si tratta di una vocazione trascendente: è il piano della salvezza di Dio che si compie nel giovane, mentre l’educatore, accompagnando il giovane, realizza se stesso.
In definitiva, l’educatore deve aiutare il giovane a scoprire le proprie attitudini, a individuare le sue aspirazioni, in vista della realizzazione di esse. Mai l’educatore deve imporre i propri schemi alla crescita del giovane. Quando il giovane scopre che l’educatore vuole il suo bene, gli corrisponde con impegno e amore, perché constata che l’educatore è al suo fianco per questo.
Questa relazione, fondata non su fragili emozioni, ma sull’amore umano e cristiano profondi, è una relazione effettivamente educativa, e sta alla base di un ambiente educativo come l’università.
Don Bosco chiamava «amorevolezza» questa fondamentale relazione educativa.
3.2. Anche le relazioni tra gli studenti devono essere costruite sul riconoscimento reciproco dei doni di Dio in ognuno di loro, nell’onorare tali doni, nell’amore, nella solidarietà, nell’aiuto reciproco.
Bisogna avere il coraggio e l’energia di (far) uscire da comportamenti, che si configurano come espressioni di invidia, di superficialità, di uno scherzo che porta al misconoscimento dell’altro: il giovane educa il giovane.
3.3. L’organizzazione dell’ambiente deve essere centrata su questa tipologia di relazioni, tenendo presente che quanto si dice dei giovani vale anche per le relazioni tra gli educatori. Essi devono stimarsi, collaborare, riunendosi pure spesso, per far emergere gli aspetti eventualmente negativi e positivi dell’andamento accademico, per sviluppare questi e superare quelli.
L’università è ambiente educativo quando tutte le attività che si svolgono in essa sono così ordinate. Il docente è un vero educatore quando cerca la realizzazione dei giovani secondo la loro vocazione; ed è educatore cristiano quando li guida a scoprire la vocazione per la quale Dio li ha voluti, come persone in relazione originaria con Lui, che li ha creati.
(La prima parte è stata pubblicata sabato 23 giugno; la terza e quarta parte saranno pubblicate rispettivamente lunedì 25 e martedì 26 giugno)
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NOTE
1 L. Sturzo, Scritti storico-politici (1926-1949), in Opera omnia, terza serie, Edizioni Cinque Lune, Roma 1984, 5, pp. 213-223.