di Luca Marcolivio
ROMA, lunedì, 18 giugno 2012 (ZENIT.org) – La prima parte dell’intervista alla presidente del Fiuggi Family Festival, Antonella Bevere, è stata pubblica ieri, domenica 17 giugno.
Che valore aggiunto porta il Festival alle famiglie, alle associazioni, alle case di distribuzione?
Bevere: Prima di tutto la possibilità di incontrarsi, di parlarsi, di conoscersi praticamente di persona. Inoltre le famiglie e le Associazioni possono vedere gratuitamente prodotti recenti, molti dei quali non ancora nelle sale, scegliendo tra un enorme numero di proiezioni per tutti i gusti con contenuti ottimi, qualità altissima, estremamente godibili da tutti. Inoltre, tra le attività culturali abbiamo pensato ad una tavola rotonda tra istituzioni (abbiamo invitato il Ministro Ornaghi e il Dipartimento della Gioventù), amministratori delle più importanti case di distribuzione cinematografica (WarnerBros, Medusa, Rai Cinema, Disney, Fox… per citarne alcune) e responsabili di Associazioni Familiari per cercare di capire insieme cosa stia succedendo alla cultura cinematografica, perché sia così difficile per una famiglia andare al cinema, se sia conveniente farlo, non solo dal punto di vista economico ma anche dei contenuti, e come possa essere agevolata. I film buoni, da non perdere, sono tanti, (al festival si avrà, come dicevo, ampia possibilità di scelta): perché allora il botteghino piange? È solo a causa della ristrettezza economica delle famiglie? La mia personale opinione – posso sbagliarmi naturalmente – è che si sia perso il valore del cinema come momento sociale, di svago prima di tutto ma con un innegabile valore culturale e artistico, strettamente legato alle sue origini teatrali. Riducendo il cinema a momento individuale, commerciale, isolandolo in centri commerciali, bellissimi ma in qualche modo “alienanti” (cioè tesi a fornire una realtà fittizia non aggregante), non si fa altro che spingere verso l’uso individuale (e talora illegale) dei prodotti cinematografici. In altre parole, lontano dal teatro, dai concerti, dalle esibizioni di danza anche il cinema rimane esanime. Non penso certo ad abolire i centri commerciali, che peraltro frequento con grande gusto, ma eventualmente di dotarli di altre strutture oltre ai Multisala: di teatri prima di tutto, di sale-concerti e altro. Fidandosi del desiderio di socializzare di ciascuno di noi e con una politica tesa a facilitare l’accessibilità all’ingresso per le persone e soprattutto per le famiglie, immagino che nel tempo ci sia solo da guadagnarci.
La vostra sfida è anche quella di riconciliare i valori della famiglia con un mondo, quello dello spettacolo e del cinema, che spesso trasmette messaggi negativi per la famiglia stessa…
Bevere: Spesso anche il bene fa notizia e può essere raccontato in una storia. Ad esempio a Venezia nel 2011 abbiamo premiato un film cinese A Simple Life di Ann Hui che racconta proprio questo, una storia semplice fatta di cose piccole e quotidiane eppure in grado di costruire la grandezza infinita di una vita. Ma non è detto che non si debbano raccontare situazioni difficili, problemi o tragedie, sulle quali naturalmente è più interessante costruire una storia e destare l’interesse del pubblico. Il dramma esiste nella vita di ciascuno, può e talora deve essere raccontato: quando si trasmettono messaggi negativi? Quando si viola o si nega la dignità dell’uomo, di ciascun uomo, sia esso un bambino, una donna, un malfattore o un personaggio famoso, quando volontariamente si distorce la verità volontariamente per creare preconcetti, quando si insegna a non credere in ciò che costa proprio perché vale (i valori, appunto). Si fa un danno alla famiglia, quando si diffama l’uomo che comunque, volendo o meno, in essa è incardinato.
I personaggi illustri del mondo dello spettacolo che ogni anno sono ospiti del FFF, escono cambiati dall’impatto con la vostra proposta? Si accorgono che il vostro progetto ha una natura molto più formativa che non commerciale?
Bevere: Nella conoscenza e nell’amicizia che fortunatamente abbiamo sempre potuto stabilire con i nostri ospiti, il cambiamento in termini di arricchimento è reciproco e su basi senz’altro non commerciali. La possibilità di esprimere di ciò che si ha dentro, delle proprie motivazioni profonde, di presentare la propria umanità, in modo informale ma ricco di contenuti attraverso i propri specifici talenti e di trovare condivisione da parte del pubblico è estremamente positiva per tutti. Tra tutti voglio ricordare Gennaro Nunziante, il regista di Checco Zalone, che l’anno scorso, proprio in qualità di presidente di giuria, faceva notare come nel nostro Festival il lato glamour dell’evento veniva sostituito da un lato umano profondo che facilitava i rapporti (anche ciò vuol dire che – ahimè – i giurati non percepiscono retribuzione alcuna per il loro lavoro!). Ricordo sempre un suo suggerimento dato pubblicamente durante la cerimonia conclusiva del Festival quando, con l’umorismo e la simpatia che lo contraddistinguono, disse di smetterla di scegliere sempre film drammatici in cui sembra che la famiglia debba solo soffrire: sorrisi franchi e risate liberatorie sono più vere e spesso aiutano di più!