"Federalismo demaniale e nuovo umanesimo civile" (Prima parte)

Politiche e strumenti per la valorizzazione economica e sociale del territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili pubblici

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ROMA, giovedì, 31 maggio 2012 (ZENIT.org) – Pubblichiamo di seguito la prima parte della relazione tenuta da Valerio De Luca, presidente dell’Accademia Internazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (AISES), al workshop “Politiche e strumenti per la valorizzazione economica e sociale del territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili pubblici”, svoltosi il 24 maggio 2012 a Roma.

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Il tema dell’incontro di oggi “Politiche e strumenti per la valorizzazione economica e sociale del territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili pubblici” descrive bene il rapporto tra fini e mezzi, dove la politica e la pubblica amministrazione sono chiamate a definire le finalità di interesse generale, utilizzando anche i nuovi strumenti di tipo finanziario più appropriati ed efficienti per produrre e incrementare il valore economico e sociale dei beni di proprietà dello Stato.

In questo ambito devono essere collocata sia la legislazione assai stratificata in materia di gestione, valorizzazione, utilizzazione e dismissione dei beni immobili dello Stato, siale recenti novità normative che hanno affidato proprio all’Agenzia del Demanio un ruolo di promozione, coordinamento e supporto tecnico-specialistico nei processi di valorizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici, anche nella prospettiva del c.d. “federalismo demaniale”, di cui al D.Lgs. n. 85/2010.

L’ intervento che mi è stato affidato intende collocare le politiche e gli strumenti per la valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato nel contesto più ampio dello sviluppo economico e sociale del nostro Paese, dove il rinnovamento etico e culturale rappresenta un importante driver per il rilancio della crescita economica che è in grado di ripartire dalla riqualificazione del territorio e delle aree urbane, e cioè dalle nostre città e “piccole patrie”.

Cercherò di inquadrare queste dinamiche all’interno di tre scenari : un nuovo mondo, un nuovo capitalismo e un nuovo umanesimo.

Per fare ciò bisogna innanzitutto guardare indietro al mondo di ieri, interrogare il “senso” originario delle parole : “patrimonio”, deriva dal latino “pater” ed evoca ciò che appartiene ai nostri padri ed il loro lascito ai figli e alle generazioni future, in una concezione dei rapporti economici dove la proprietà fondiaria e quella immobiliare rappresentavano qualcosa di tangibile, solido e visibile, che ci veniva consegnata, la traditio (da dove deriva anche la parola “tradizione”) indica proprio l’atto del consegnare il bene.

Il patrimonio immobiliare rappresenta in questo affresco quasi un “monumento alla memoria” dei padri che sta lì a ricordarci la loro fatica e il loro lavoro. Non è forse un caso che in Italia la maggior parte della popolazione è proprietaria di un immobile, che spesso si tramanda da padre in figlio.

Il termine “Stato” è il participio passato del verbo “stare” e significa “ciò che sta”, che insiste su di un dato territorio delimitato dai confini e che permane immutabile nel tempo (cfr. default debito sovrano). Anche qui il termine evoca “memoria” e “tradizione” : qualcosa che ci viene consegnato, che proviene dal passato e si proietta nel futuro, una energia della durata che avvolge il nostro “stare nei luoghi” , segna la nostra identità, la cittadinanza e il senso di appartenenza ad una medesima comunità politica.

Questa visione immutabile e immobile, in cui politica, territorio ed economia sono un tutt’uno chiuso nei confini dello Stato, è disegnata come in un dipinto dal nostro codice civile nella parte dedicata ai beni.

In particolare gli artt. 822 e ss. che riguardano i beni appartenenti al demanio pubblico, che si caratterizzano per la loro inalienabilità (se non in forza di una specifica nuova legge) e per l’esercizio dell’uso pubblico, mentre i beni elencati dall’ art. 826 c.c., riguardano il patrimonio indisponibile dello Stato. In questa cornice, la politica è in grado di orientare beni e strumenti verso le finalità di interesse generale.

Dunque, lo Stato accentratore, con il suo primato dei fini suoi mezzi ed il controllo dell’economia, è soprattutto la manifestazione della sovranità territoriale che si esercita anche attraverso l’uso pubblico del suo patrimonio immobiliare, che in questa cornice rappresenta i valori e gli elementi identitari e culturali di quel mondo di ieri che oramai è al tramonto.

Oggi l’economia e la finanza hanno rotto i confini ed assunto una dimensione globale, mentre gli Stati e la politica sono rimasti territoriali e nazionali.

Questo sfasamento a doppia velocità è alla base degli squilibri e della crisi economica mondiale, dove la politica ha dimostrato tutta la sua impotenza nel ricondurre la finanza entro il recinto delle proprie regole. Ma non solo. Si è invertito anche il rapporto mezzi-fini.

Non è più lo Stato che impone le sue finalità pubbliche all’economia, ma è questa che si serve dello Stato e delle sue norme per realizzare i suoi scopi privati. La deregolamentazione di ampi settore del sistema finanziario dimostra questa tendenza.

Quasi come una nemesi storica, la crisi finanziaria ha avuto origine proprio dal settore immobiliare, e cioè dalla irrazionalità della bolla speculativa che ha infranto il mito della certezza e della solidità della proprietà immobiliare, trasformata in prodotti finanziari ad alto rischio, costruiti dalla ingegneria finanziaria che ha fatto muovere gli immobili sui “veicoli” costruiti ad hoc (Special Purpose Vehicle) dalle operazioni di cartolarizzazione dei mutui subprime.

Ma non è finita. Gli effetti perversi del contagio dal settore privato al debito pubblico stanno facendo traballare gli Stati in odore di defaulte con essi il mito della loro immutabilità e infallibilità. Migliaia di persone hanno perso il lavoro e la casa. L’Italia è in recessione ed è proprio il settore immobiliare ha subire le conseguenze più acute.

La crisi finanziaria ha, dunque, messo in questione il senso stesso delle parole “patrimonio” “proprietà immobiliare” e “Stato”, e con esse la memoria e i valori consegnati dalla tradizione dei padri. E’ allora vero che la crisi finanziaria è prima di tutto una crisi di civiltà e dei valori che ne sono alla base.

(La seconda ed ultima parte verrà pubblicata domani, venerdì 1 giugno).

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ZENIT Staff

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