di Luca Marcolivio
MILANO, giovedì, 31 maggio 2012 (ZENIT.org) – La famiglia “tradizionale” è davvero un retaggio del passato o, al contrario, è un elemento fondamentale per la sopravvivenza stessa della società e per il futuro delle giovani generazioni di ogni tempo?
Attorno a questo non banale interrogativo, il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha articolato una propria indagine socio-antropologica, da cui è scaturito il libro Famiglia: risorsa per la società (Il Mulino, 2011), curato dal professor Pierpaolo Donati, professore di sociologia all’Università di Bologna.
Il volume è stato presentato ieri pomeriggio nell’ambito del Congresso Internazionale Teologico Pastorale, in corso presso Fieramilanocity ed altre location dell’Incontro Mondiale delle Famiglie.
Aprendo la tavola rotonda il sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Carlos Simon Vazquez, ha sottolineato che c’è un legame inscindibile tra la famiglia e la felicità, alla quale ogni uomo anela. Inoltre, ha aggiunto il presule, la ricerca coordinata dal professor Donati confuta l’interrogativo iniziale e rivela la famiglia come obiettivo e desiderio preminente anche tra le giovani generazioni.
Il professor Donati ha spiegato che l’indagine commissionata dal Pontificio Consiglio della Famiglia, non ha avuto tanto lo scopo di “fotografare la realtà” della crisi della famiglia, né ribadire il vero o presunto arretramento della famiglia “normocostituita”, ovvero formata da un uomo e una donna uniti dal vincolo matrimoniale e con almeno due figli.
La ricerca ha messo in evidenza quanto, ancora oggi, la famiglia abbia un ruolo primario nelle aspirazioni più profonde degli italiani e quanto la famiglia “normocostituita” sia in grado di assecondare il desiderio di felicità, rispetto a situazioni familiari differenti (genitori separati o conviventi more uxorio, con un solo figlio, eccetera).
Ne è emerso che la famiglia “normocostituita” è la più “soddisfacente” e la più produttiva di “capitale umano e sociale”. Se, al contrario, ci si allontana da questo modello, la famiglia perde la sua capacità di valorizzare le persone e di generare la solidarietà.
La ricerca individua un primo gruppo di famiglie nei nuclei monogenitoriali che, per le problematiche del loro quotidiano, vengono assimilati alle persone che vivono completamente sole. In questa tipologia, possono manifestarsi grosse difficoltà nelle relazioni con l’esterno.
Vi sono poi le coppie senza figli, che soffrono di una precarietà relazionale. “Sono i figli, infatti – ha spiegato Donati – che rendono una coppia veramente tale”.
Migliore è sicuramente la condizione delle coppie con un solo figlio, le quali, però, tendono ad iperproteggere il bambino, e a chiudersi nei confronti della società.
Infine vi sono le già citate famiglie normocostituite, le più “pro-sociali” ed aperte all’esterno, oltre che le più idonee a trasmettere valori. In questo tipo di famiglie la qualità della vita è generalmente la migliore: esse sono “la fonte principale del capitale sociale”, ha commentato Donati.
Sono dunque due i fattori che rendono una famiglia “virtuosa”: a) il matrimonio; b) il numero di figli. “Il matrimonio – ha osservato il sociologo – migliora l’atteggiamento verso la società, non trattandosi semplicemente di un patto giuridico ma di un rito che mette in contatto la sfera pubblica con quella privata”.
“Più sono i figli e maggiore è la ricchezza delle relazioni – ha proseguito il sociologo -. Anche se spesso le relazioni tra fratelli non sono ottime, è meglio essere in pessimi rapporti con i propri fratelli che essere figli unici”.
È poi intervenuto il presidente del Forum Nazionale delle Famiglie, Francesco Belletti, che ha sottolineato il ruolo della famiglia come baluardo contro l’abuso del potere, un “potere dei senza potere”, a partire da San Giuseppe e la Vergine Maria che traggono in salvo il loro Figlio dalla furia assassina di Erode.
Molto spesso, inoltre, è proprio tre le famiglie che la società si rafforza per tutelare le esigenze reali della gente, come avviene, ad esempio con le associazioni di famiglie con figli portatori di handicap. Al punto che spesso si ritrovano costrette ad esercitare una “sussidiarietà al contrario”, supplendo alle mancanze dello Stato.
Per la famiglia c’è chi fa tanto ma, indubbiamente, si può fare molto di più, ha sottolineato Belletti. “Quanto poco protestiamo di fronte ai modelli negativi del cinema o della TV!”, ha commentato.
L’ultimo contributo è stato fornito dalla professoressa Giovanna Rossi, docente di Sociologia della Famiglia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha illustrato una ricerca da lei compiuta sulla conciliazione famiglia-lavoro.
Dall’indagine della prof.ssa Rossi, emerge che la domanda di conciliazione è molto forte ma sovente si risolve nell’opzione esclusiva per il lavoro, rinunciando alla famiglia o viceversa.
La scelta del full-time per un genitore e part-time per l’altro, è considerata l’ideale per le coppie con figli più piccoli, mentre man mano questi crescono, si tende a preferire il full-time per entrambi.
A fronte di tante proposte costruttive per affrontare questo problema, la strada da percorrere è però “lunga e accidentata”, ha dichiarato la studiosa.