di Elisabetta Pittino
ROMA, mercoledì, 30 maggio 2012 (ZENIT.org).- La prima parte dell’intervista è stata pubblicata ieri, martedì 29 maggio.
Il tuo percorso come attrice è iniziato con un film di Tinto Brass, perché?
Quando sono andata via di casa la prima difficoltà era economica: come mantenermi. Avevo un’amica che mi ospitava, però per mantenermi ho cominciato a cercare lavoro. Era difficilissimo. Andavo nei bar e ristoranti per fare la cameriera, come tanti attori, anche famosi, fanno e hanno fatto, perché questo tipo di lavoro ha un orario che permette di fare i provini, di studiare in accademia…Nessuno poteva pensare che io fossi in grado di portare due piatti in mano perché si vedeva che venivo da una famiglia in cui non è che avessi fatto poi tanto…si vedeva che non avevo quella sveltezza, non davo credibilità sul lavoro. Quindi accettai il 1° film che mi fu proposto per necessità economica. Era un film trasgressivo dove venivo utilizzata innanzitutto come corpo e lo feci perché peccai di ingenuità. Dissi “Va bene io uso questa situazione, faccio questo film poi mi conoscono e scelgo e faccio i film che a me piacciono”. Invece non è stato così perché dopo questo film la mia carriera anziché partire si è arrestata. Il mio agente fece questo errore di valutazione, mi disse “Ma si, Claudia, fallo, poi troviamo una cosa diversa”. Poi ero circondata da persone che mi spingevano in questa direzione. In effetti il mio agente mi fece fare una cosa diversa, un film con Antonio Banderas, una grossa produzione con Germania, Cecoslovacchia, Italia, ma il film fu messo in un cassetto e chiuso a chiave. Il film, voluto dalla RAI, parlava del giovane Mussolini socialista, ma ci fu tangentopoli e il cambio di gestione della Rai, per cui chi arrivò disse “questo film…per carità!”. Rimasi con il mio film con Tinto Brass, senza riuscire più a lavorare perché fui etichettata come un’attrice di questo genere di film. Sono tornata a non lavorare per diverso tempo, finché non mi fu proposta una sostituzione in teatro in una piccola commedia che però ebbe successo. Poi arrivò una trasmissione televisiva, il Festival di S. Remo e da lì ho cominciato a scegliere quello che volevo veramente fare, cioè un certo tipo di teatro e poi la fiction televisiva.
Quando è arrivata la “svolta” della tua vita?
Arriviamo al 2000. Non ho costruito una famiglia. Ho concentrato tutte le mie energie sul lavoro. Vivevo per il mio mestiere. Lavoravo di giorno, di notte. Sono infaticabile, ho questa forza fisica che mi permette di andare anche un po’ oltre i normali ritmi di vita. Tante volte mi sono trovata a girare una trasmissione televisiva di notte, quando gli altri dormivano, perché di giorno giravo un film. Giravo la fiction, poi correvo in teatro . Questo ha voluto dire non sviluppare la mia affettività. Con i miei genitori avevo ricominciato a ricucire i rapporti, però per me non esistevano Natale, Pasqua, le feste. Lavoravo e basta. Le persone che mi sceglievo erano già occupate e quindi avevo i miei spazi, la mia libertà per fare come volevo. Nel 2000, guadagnando già tanto, avevo perfezionato il mio modo di lavorare. Ho fatto pure un percorso di crescita artistica, studiando con gli americani. Gli americani hanno un metodo di interpretazione che è speciale, più che recitare preferiscono immedesimarsi, vivere con il personaggio. Sentivo questo metodo più vicino a me, perché in realtà avevo questo grande bisogno di comunicarmi e lo facevo attraverso i film più che nella vita. I personaggi erano il mio modo di mostrare quella parte nascosta di Claudia dietro la maschera del personaggio. Ci tenevo a piangere veramente quando il personaggio piangeva, a ridere veramente…per me non era una rappresentazione, era vita, vissuta attraverso un personaggio che interpretavo. Dato che guadagnavo abbastanza potevo permettermi una coach. Cos’è una coach ? E’un supervisore che ti aiuta a costruire il personaggio sul copione dall’inizio fino a quando giri il film e ti accompagna sul set, ti controlla la recitazione, se va bene, se puoi migliorare, se le luci sono buone, insomma un supervisore del lavoro. In America i registi non curano gli attori , ma curano i movimenti di macchina, poi ci sono i coach personali degli attori che curano la recitazione. Il regista incontra i coach ai quali delega la cura degli attori. Geraldine, la mia coach, venne dall’America perché dovevo girare un film e mi disse “Voglio andare a S. Pietro” perché sapeva che era stata aperta la Porta Santa. Era il 2000, l’anno del Giubileo. L’ho accompagnata per amicizia, erano almeno 20 anni che non praticavo la chiesa. In realtà è stato quello un appuntamento che ha generato una reazione a catena per cui io sono arrivata all’incontro con Dio forte.
Di quel giorno in cui ho attraversato la Porta Santa e sono arrivata in Basilica non ricordo niente, però alla donna che collaborava a casa mia, persona di estrema fiducia del mio nucleo affettivo, dissi “Devi andare anche tu”. Quindi qualcosa dovevo avere registrato.
Vado in Puglia a girare il film e cominciano i primi problemi. Innanzitutto il Signore ha messo in discussione le mie sicurezze nel mondo del lavoro. Mi sono trovata in difficoltà perché dovevo girare una scena in cui rispondevo al telefono e mi dicevano che l’uomo che amavo era in coma. In questo primo piano dovevo mostrare tutto l’amore che avevo per quest’uomo, ma anche tutto il dolore per una notizia del genere. Per vivere una scena del genere nel cinema americano si sostituisce il proprio copione, la propria parte, con il proprio vissuto del passato. Prendo nel mio passato una scena dolorosa e sostituisco le parole che ascolto al telefono e quelle che dico con una scena del mio vissuto. Siccome vado a toccare una ferita del mio cuore, quella sanguina e io piango oppure ho comunque una reazione autentica di dolore. Quel giorno facevo la mia sostituzione, l’emozione partiva, ma non usciva, si bloccava. Il primo ciak è andato a vuoto, il secondo pure. Comincio ad innervosirmi perché non rispondo ai miei comandi. Normalmente mi riusciva bene, anzi in quel film ho pianto tantissimo, mi veniva naturale anche quando non serviva. In quel momento di autentico amore, di dolore profondo, non usciva niente ed ero in difficoltà. Arriva Geraldine, io mi aspettavo che mi dicesse “cambiamo ferita, forse quella che abbiamo scelto oggi non funziona” e invece mi dice una cosa che mi stronca “Claudia se non c’è verità nella tua vita come ci può essere nel tuo mestiere”. Lei sapeva che in amore non ero fedele e si rendeva conto di come vivevo. “Come pretendi di provare un’emozione autentica in un film se il tuo cuore è diviso, se non sei fedele in amore come puoi provare un sentimento autentico in un film, il cuore è lo stesso” mi diceva. Io ho capito, oggi, che quel tappo che avvertivo sul cuore era il mio peccato. Quando il Signore dice “toglierò quel cuore di pietra e ti darò un cuore di carne”, ecco il mio peccato stava indurendo il mio cuore, mi impediva di comunicare amore, lo stava spegnendo. Il Signore all’inizio mi ha messo davanti ai miei peccati, alla mia miseria. Non avrei mai potuto incontrare la misericordia di Dio, il suo perdono, il suo abbraccio, se prima non diventavo consapevole dei miei peccati. Mi ha risvegliato la coscienza che si era addormentata. Perché tu ad un certo punto finisci per vivere seguendo i tuoi personali istinti, i tuoi desideri e non sai più cosa è bene e cosa è male. Fai quello che senti di fare, perché tanto lo fanno tutti, sei anche giustificato da questo. Io personalmente ho avuto un’esperienza forte perché mi sono scontrata con il maligno. Sono arrivata veramente nell’abisso.
In che senso?
Vengo da una generazione new age. La new age era una forma di cultura che sarebbe entrata nel mondo della cultura, della musica, nel mondo…
si andava nelle librerie e si compravano testi, cd musicali per rilassarsi. Io utilizzavo la musica new age per concentrarmi, per lavorare. Ho cominciato ad avere dei problemi con questa musica: quando chiudevo il tappetino e mi mettevo a fare la mia meditazione trascendentale, c’erano delle scintille, elettricità. Un giorno ho visto addirittura volare dei fogli dentro la stanza, muoversi. Mi spaventai tremendamente fino a che si è manifestata un’entità, uno spirito, con una voce e ha cominciato a scambiare delle parole con me, a comunicare. Ho studiato un documento della Chiesa sulla new age , che ha voluto Papa Benedetto XVI, in cui si parla di contaminazioni con lo spiritismo. Nella new age c’è una contaminazione con l’occultismo. Questa voce all’inizio si è manifestata come una voce amica. Questa è una testimonianza che faccio per aprire gli occhi alle persone, per metterle davanti alla realtà. Ho scoperto che questo spirito era il maligno quando un giorno ho risposto al telefono alla mia agente. La mia agente la pensava diversamente da me su una scelta lavorativa. Io ho risposto usando un po’ la forza, il potere, ero un po’ arrogante, avevo successo, portavo un sacco di soldi in agenzia, ero forse l’attrice più forte che avevano al momento. Esercitavo un forte potere sulla mia agente sebbene fosse più grande di me, avesse più esperienza. Quando tornai nella mia stanza questa voce mi disse che la telefonata non era andata bene perché non avevo odiato. Io risposi, naturalmente, senza pensare, “Ma io sono fatta per amare”. Questa è una cosa che mi ha fatto conoscere me stessa perché di fronte al male ho scoperto di appartenere al bene. Ho sentito la distanza dal male che si è rivelato con la parola odio. Anche se provenivo da grandi peccati, da una vita dissoluta, ero in peccato mortale, soprattutto avevo molto sporcato l’amore , sentivo di desiderare amore e di voler dare amore, di appartenere all’amore. Il maligno non parla con voce suadente, ordina perché è abituato a schiavizzare , quando io risposi “Io sono fatta per amare” si è arrabbiato e ha detto che era la morte e che era venuto per uccidermi. Mi ha fisicamente aggredita, mi ha preso dalle gambe, una gamba e l’altra separatamente e mi ha bloccata; ha cominciato a salirmi sulle gambe, come delle spire che avvolgevano e intanto stritolavano il corpo e salivano lentamente, lentamente perché questa è la morte più drammatica, la morte lenta. In quel momento io ero terrorizzata perché ho capito che non era un film, non era uno scherzo. Mi trovavo davanti a qualcosa di più grande di me. Per la prima volta nella mia vita ho capito che né i soldi, né gli amici importanti potevano aiutarmi. Ero a un punto serio della mia vita e in quel momento ho fatto come faceva mia nonna perché mi è venuto naturale: “Signore aiutami”. Da pochi giorni un amico mi aveva regalato un crocifisso, perché non avevo crocifissi in casa. Ho afferrato questo crocifisso solo perché negli anni ’70 ero andata al cinema a vedere L’esorcista e mi sono ricordata che il sacerdote aveva la croce in mano… ho cominciato a dire il Padre Nostro, stringendo tra le mani questa croce e camminando perché tentavo di fermare questa forza che saliva. Quando la preghiera è diventata un grido dell’anima a Dio, il Signore mi ha liberata. Ho sentito che questa forza improvvisamente è sparita e una grande pace mi avvolgeva. Mi sono ricordata il Padre Nostro, perché mia nonna diceva il rosario. Quando questa forza è sparita mi sono guardata nella stanza per vedere da dove mi era arrivato l’aiuto, ma come non ho visto l’entità, l’ho avvertita fisicamente con il dolore fisico, così non ho visto Dio. Però quella pace, quella liberazione mi parlava di Dio. Mi sono fermata proprio perché sentivo fisicamente una trasformazione. Quando ero spaventata avevo il respiro corto ed ero tutta irrigidita perché ero terrorizzata, come sono stata liberata ho sentito che si scioglieva qualcosa dentro di me. Ho sentito proprio che lo Spirito Santo scongela il cuore , lo dilata e ti da una grande dolcezza che prima non avevi. Mi sentivo pacificata dentro cioè non c’erano rumori, mi sentivo a posto, dentro c’era silenzio.
(La terza ed ultima parte dell’intervista verrà pubblicata domani, giovedì 31 maggio)