Monsignor Sigalini : una vita con i giovani

A settantanni e dopo un grave incidente, più dinamico di prima

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di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 28 maggio 2012 (ZENIT.org).- Il sette giugno prossimo monsignor Domenico Sigalini vescovo della diocesi Suburbicaria di Palestrina, compirà settanta anni.

Autore di diverse pubblicazioni, insegnante amatissimo, già responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza Episcopale italiana, attuale Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana, monsignor Sigalini, il 6 settembre 2011, di ritorno dal Santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, presso cui si era recato in pellegrinaggio, è scivolato ed è precipitato in un dirupo.

Ricoverato al Policlinico Agostino Gemelli di Roma è stato dimesso il 28 ottobre 2011, ed ora sembra più dinamico di prima.

ZENIT lo ha intervistato.

Un esperienza di sacerdote, Vescovo, Assistente diocesano dell’AC. Come ha vissuto queste esperienze? Quali le più impegnative? Quali insegnamenti ne ha tratto?

Mons. Domenico Sigalini: Sono sempre stato molto contento di essere prete, sia negli anni dell’università in cui ho studiato matematica, sia nella presenza da prete con gli studenti degli anni ruggenti, cioè del ’68, sia nei molti anni di insegnamento della matematica e della fisica. Essere all’Azione Cattolica è un posto privilegiato perché si collabora con i laici per la missione della chiesa, non si tocca nessun libretto di assegni, non si vive di organizzazione, ma si dialoga, si prega, si serve il Vangelo, si ama la Chiesa, si servono le istituzioni pubbliche. L’esperienza più impegnativa è stata la vita con i giovani. Ho fatto vent’anni di assistenza ai militari di leva al bar aperto dalle 18 alle 23: Non ero cappellano militare, ero piuttosto antimilitarista, ma non potevo lasciare questi giovani di 19 anni sempre arrabbiati dentro le caserme e soli. In seguito ho vissuto con i giovani dell’Azione Cattolica e infine come inventore del servizio nazionale di pastorale giovanile a livello nazionale. Una bella avventura, alla scuola di Giovanni Paolo II. Ne ho tratto soprattutto che il Signore tante parole per tutti le ha poste solo nella vita dei giovani, guai a noi se non li ascoltiamo. La Chiesa ha bisogno dei giovani, come del resto ogni società, solo che noi ora ne facciamo volentieri a meno. Da sette anni sono vescovo, una vita sempre in salita, con difficoltà inimmaginabili, ma molto bella. Sento il peso della responsabilità di fare il vero pastore, non il mercenario; di essere fedele a Dio e alla chiesa e non di proporre quello che a me piace. Dio comunque aiuta e la gente ti vuole bene.

Ci racconta un pò la storia della sua vocazione?

Mons. Domenico Sigalini: Ricordo il giorno preciso in cui, dopo aver fatto il chierichetto alla ordinazione di un prete, ho lasciato uscire tutti dalla chiesa, mi sono messo davanti al tabernacolo, dove riponiamo la Santa Eucarestia, e ho detto a Gesù: Voglio diventare prete anch’io qui, su questo presbiterio. Avevo dieci anni. 13 anni dopo il tutto si è avverato. Fui consacrato prete al mio paesello in quello stesso luogo. La decisione allora fu forte, poi si sono affrontate tutte le difficoltà, che ho superato per dono di Dio. Avevo altri otto fratelli e sorelle e non era molto facile essere mantenuto in seminario. Ma Dio ha voluto così e ne sono felicissimo ancora oggi. In Seminario sono stato proprio bene. Venivo da una famiglia numerosa e stavo volentieri con tutti i miei compagni. Siamo diventati preti in 32 quel lontano anno 1966 a Brescia.

Quanto l’insegnamento dei suoi genitori ha influito snella sua vita?

Mons. Domenico Sigalini: Moltissimo. Mamma e papà erano molto credenti, convinti e praticanti. Era una fede non troppo ragionata, aiutata ad essere concreta con tanto buon senso e stima della vita, tanta semplice preghiera e abbandono nelle mani di Dio. Spesso non c’era disponibilità di denaro per mantenere tutti, ma non c’è mai stata disperazione, ma affidamento a Dio. Il papà era un pittore, suonava la chitarra e il mandolino, cantava musica operistica e popolare, era brillante e molto umorista; sempre però saggio e credente. Mi raccontava le parabole più belle di Gesù. Me le ha fatte godere. La mamma sempre al lavoro e sempre vigile sui nostri comportamenti. Una vita da campo scuola tutto l’anno. Ci teneva in riga, perché eravamo molto monelli, ma ci voleva un gran bene e la vedevamo affidarsi a Dio dopo tutto il lavoro che faceva.

Lei ha subito di recente un grave incidente, ha rischiato di perdere la vita. A che cosa ha pensato?

Mons. Domenico Sigalini: Sono stato in coma farmacologico per quasi venti giorni, con cui mi hanno evitato di pensare, di capire e di soffrire. Poi quando hanno smesso di darmi morfina ho fatto una gran fatica a capire. Provavo una ribellione interna, rabbia. Quante volte mi sono domandato: perché? Come ho fatto? Che cosa ho fatto di male? Ho pianto non poco da solo nella notte. Poi la consapevolezza e la conoscenza di tante persone che pregavano per me, che mi volevano vivo, il dialogo schietto con Gesù, da cui sempre mi sono sentito amato, mi hanno dato la serenità e la pace. Ho iniziato la convalescenza, la sopportazione naturale dei dolori, la sperimentazione della cura qualificata di tutti, l’assistenza generosa delle sorelle e dei fratelli, degli amici e dei miei preti, della mia gente, dell’Azione Cattolica. Ogni giorno trovo gente che si meraviglia della mia guarigione e mi dice quanto ha pregato per me. Mi sento miracolato e grato a Dio per questa nuova chiamata alla vita. Esige una risposta non banale e scontata. Il Papa mi ha detto: si vede che Dio aveva bisogno di te. Questa frase mi ha caricato di responsabilità e ha troncato tute le mie lamentele e commiserazioni.

Il mondo è pieno di problemi, l’uomo moderno è in crisi, gli idoli stanno crollando. In che modo la Chiesa e l’insegnamento cristiano possono offrire soluzioni?

Mons. Domenico Sigalini: E’ proprio vero che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per troppi anni, soprattutto in questi ultimi trenta, in un clima di onnipotenza, di sopravvalutazione del nostro essere, delle nostre possibilità. Questo ci ha portato dal punto di vista economico a strafare e a vivere di debiti, sperando che automaticamente si appianassero, portandoci a un delirio di onnipotenza che ha intaccato soprattutto il nostro spirito. La vita è limitata e ci hanno fatto credere che la si può prolungare all’eternità, le risorse materiali sono contate e ci hanno fatto credere che possiamo anche scialarle, la solidarietà tra persone è inutile perchè ci deve pensare lo stato e ora lo stato dichiara che non può più assolvere gli impegni fondamentali della salute, della educazione e sembra che siamo abbandonati. Abbiamo vissuto con la consapevolezza che lo stato è una sicurezza, è onnipotente, invece vediamo che rischia la bancarotta; la persona umana è una creatura e ci hanno fatto credere che siamo noi la legge del bene e del male. Abbiamo cancellato dalla nostra esperienza tutto quanto sa di responsabilità, invece tutti, prima o poi dobbiamo fare i conti con la sofferenza.

Il mondo giovanile è quello che ne patisce di più perché non ha esperienza di mondi diversi, di vita bella e felice acquisita con i propri sforzi, con i propri sacrifici e con le proprie energie. Un giovane deve mettere in conto nella sua vita non solo le veline della Tv o i palestrati del Grande Fratello, ma anche la difficile e costante ricerca di un lavoro, le difficoltà della convivenza umana, le sale di un ospedale dove ti accolgono con grande professionalità, ti aiutano a trovare un senso alla sofferenza, ti curano, si spendono per attivarti sempre come persona di fronte a qualsiasi esito può avere la malattia. Il Dio cristiano è un Dio Crocifisso, che nella sofferenza della Croce ha dimostrato un amore che ha cambiato e sta cambiando il mondo. La proposta dell’amo
re in tutto, della solidarietà, dell’aiuto vicendevole, non dell’assolutizzazione del denaro, non della ricerca del proprio interesse, ci salverà da questa assurda crisi di onnipotenza. La felicità che sta scritta nella nostra vita, nel nostro DNA, sta nel dono, non nel tornaconto. A questo ci dobbiamo convertire tutti, Chiesa compresa, stato e politici pure, istituzioni e manager ancora di più.

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ZENIT Staff

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