"Dove c'è divisione ed estraneità, la Pentecoste porta unità e comprensione"

L’omelia di Benedetto XVI in occasione della solennità liturgica

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 27 maggio 2012 (ZENIT.org) – La solennità della Pentecoste costituisce “il battesimo della Chiesa” a cui imprime la sua “forma iniziale” e la “spinta per la sua missione”. Lo ha detto stamattina papa Benedetto XVI all’inizio dell’omelia, in occasione della Santa Messa di Pentecoste nella Basilica di San Pietro.

La Pentecoste, ha spiegato il Papa, è innanzitutto “la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana”. Un dato significativo in un mondo che, a dispetto dell’impressionante sviluppo dei mezzi di comunicazione, vede una comprensione e una comunione tra le persone “spesso superficiale e difficoltosa”.

Il dialogo tra le generazioni, ha proseguito il Pontefice, “si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione”, mentre gli esseri umani diventano sempre più “aggressivi” e “scontrosi”. La comprensione reciproca, dunque, diventa impegnativa e si preferisce “rimanere nel proprio io, nei propri interessi”.

Com’è possibile, allora, uscire da questo quadro antropologico così sconfortante? Il Santo Padre ha citato in proposito l’episodio biblico della Torre di Babele (cfr. Gen 11,1-9). “È la descrizione di un regno – ha spiegato – in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio”.

Nella corsa forsennata all’edificazione di quest’opera, gli uomini improvvisamente si resero conto che stavano “costruendo l’uno contro l’altro”. La presunzione di “essere come Dio” li pone davanti al “pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme”.

L’epoca attuale, del resto, rispecchia fortemente lo spirito di Babele: l’uomo pretende, “con il progresso della scienza e della tecnica” di manipolare la natura e, in particolare la natura umana, arrivando a diventare lui stesso fabbricatore di esseri viventi.

Anche il progresso dei mezzi di comunicazione mostra dei risvolti fallimentari, al punto che “paradossalmente, ci capiamo sempre meno”. Al contrario, si ha la sensazione di “un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco”, che ci fa percepire “perfino pericolosi l’un l’altro”.

La risposta a tutti questi disastri antropologici, prodotti di un presunto progresso scientifico e tecnologico, risiede nel “dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare”.

Quando cinquanta giorni dopo la Resurrezione, un vento impetuoso arrivò quasi a travolgere gli Apostoli, la fiamma dello Spirito Santo si depose su di loro: si trattava di “un fuoco divino, un fuoco d’amore capace di trasformare”.

“La paura scomparve – ha commentato il Papa – il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione”.

È quindi lo Spirito Santo, la chiave per la Chiesa come “luogo dell’unità e della comunione nella Verità”. È il dono dello Spirito che permette ai cristiani di non rimanere “chiusi nel proprio «io»”, ma di orientarsi “verso il tutto”.

Lo Spirito Santo, inoltre, “ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla”: una conoscenza possibile “solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore”.

È qui che riscontra la differenza tra Babele e la Pentecoste: “Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce”, ha osservato Benedetto XVI.

La contrapposizione tra queste due realtà viene messa in rilievo anche da San Paolo (cfr. Gal 5,16) che individuava da un lato le “opere della carne”, ovvero i “peccati di egoismo e di violenza, come inimicizia, discordia, gelosia, dissensi”, che impediscono di “vivere in modo veramente umano e cristiano, nell’amore”, dall’altro il “frutto dello Spirito”, che è “amore, gioia, pace” (Gal 5,22).

Concludendo l’omelia, il Papa ha sottolineato la presenza orante di Maria con gli Apostoli nel Cenacolo, nell’attesa del dono dello Spirito Santo: “Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus!»”.

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ZENIT Staff

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