di Luca Marcolivio
ROMA, venerdì, 25 maggio 2012 (ZENIT.org) – A 267 anni dalla sua fondazione, il Santuario del Divino Amore è ancora il principale luogo di devozione mariana a Roma.
Tutto inizia nel 1740, quando, nella campagna lungo la via Ardeatina, un contadino viene assalito da una torma di cani rabbiosi. Il poveruomo, rivolgendo lo sguardo su un’icona della Vergine Maria, posta sulla torre di un castello poco distante, supplica la Madonna di essere risparmiato da morte certa. Viene esaudito: improvvisamente i cani si danno alla fuga, cambiando direzione.
Come ringraziamento per quel miracolo, cinque anni dopo, nel 1745, viene eretto il Santuario del Divino Amore, cui si affiancherà, nel 1999, il nuovo Santuario, consacrato dal beato Giovanni Paolo II.
Tacciato da taluni come l’emblema di un cristianesimo popolare, “ultradevozionale” ed ormai vetusto (il culto alla Madonna, le processioni, gli ex voto) il santuario del Divino Amore rappresenta, in realtà, un luogo di manifestazione di una fede sempre fresca e vivace, frequentato da tutte le generazioni.
Per conoscere più da vicino questa gioiello della Roma cristiana moderna, ZENIT ha incontrato monsignor Pasquale Silla, un’intera vita sacerdotale spesa per il Santuario del Divino Amore, del quale è rettore dal 1974.
Siamo alla fine del mese mariano: cosa rappresenta questo momento dell’anno per il Divino Amore?
Mons. Silla: Il mese di maggio coincide sempre con il tempo pasquale, quindi con la primavera atmosferica e spirituale. Il mese mariano è ben incastonato nel suo tempo liturgico e non finisce con il 31 maggio, ma si dispiega anche nel mese successivo: lo dimostra l’affluenza dei pellegrini che desiderano vivere un’esperienza mariana, qui al Divino Amore, nel rinnovamento della vita, nella partecipazione ai sacramenti e, soprattutto, ad alcune pratiche di devozione autenticamente mariana come la processione notturna. Per noi è importante aiutare la gente a passare dalla semplice devozione ad una fede più matura.
La Madonna del Divino Amore indica il rapporto privilegiato che intercorre tra lo Spirito Santo e Maria, entrambi espressione della Chiesa dopo l’Ascensione: quando Gesù ascende al Cielo, si sottrae allo sguardo dei suoi ma non sparisce (“Io sono con voi, tutti i giorni fino alla fine del mondo” Mt 28,20). Il suo stare tutti i giorni con noi è un’esperienza che si acquisisce giorno per giorno. Dove possiamo incontrare, amare, servire Gesù? È la Madonna che ci indica il rapporto invisibile ma tangibile con suo figlio. C’è una bellissima icona russa che raffigura l’Ascensione di Gesù al Cielo: in basso gli Apostoli, disposti circolarmente, attoniti per l’elevazione del Maestro; in mezzo a loro Maria, statica, quasi ieratica, ad indicare quel centro al di sopra del quale c’è Gesù e da cui gli Apostoli devono ripartire. Infatti, a partire dalla Pentecoste, gli Apostoli stessi non rimangono più fermi ma sono in qualche modo “agitati” dal vento dello Spirito Santo. Questa immagine mi riporta alla mente il funerale di Giovanni Paolo II, con il vento che sfogliava la parola di Dio e che agitava le casule rosse dei cardinali, intenti ad aspergere con acqua benedetta la bara del papa. Era l’immagine di una Chiesa ancora scossa dal vento dello Spirito Santo, proiettata verso il futuro, in cammino per il mondo. E il papa, dalla finestra del Cielo, sorrideva e si compiaceva…
Tra pochi giorni, il 4 giugno si celebrerà l’anniversario dell’affidamento dei romani alla Madonna del Divino Amore, per la salvezza dalla guerra. Cosa rappresenta questa ricorrenza per i romani di oggi?
Mons. Silla: Celebriamo questa data per ringraziare il Signore ma anche per tenere vivo nel popolo romano il ricordo di questo evento storico. Quando nel 1999 consacrò il nuovo Santuario, Giovanni Paolo II disse: “oggi sciogliamo parzialmente il voto fatto dai romani”. Quel parzialmente mi generò una certa angoscia: cos’è che non avevamo fatto? Il Papa aveva ragione, perché il voto comprendeva certamente il nuovo Santuario ed una nuova opera di carità (la casa degli anziani, sorta vicino al nuovo santuario) ma soprattutto prevedeva il rinnovamento della vita cristiana, da parte di tutti i romani: un impegno che vale per tutti, anche per chi non ha fatto il voto. Nessuno di noi è perfettamente conforme al disegno di Dio e tutti noi abbiamo bisogno di “restauri spirituali”, togliendo le incrostazioni e mettendo in luce la bellezza del dono primordiale del battesimo che deve esplodere nella nostra vita cristiana.
Qual è il valore del santuario per la Pace?
Mons. Silla: La vera pace viene da Cristo (“Vi dò la mia pace, non come ve dà il mondo, io la do a voi” Gv 14,27). Il Santuario ci fa capire che dobbiamo essere provocatori delle nostre coscienze: cosa faccio io per la Pace? La so accogliere da Cristo, perché si radichi nella mia coscienza e nella mia vita? Ovviamente la Pace va accolta con i mezzi privilegiati della confessione e dell’eucaristia: questo dono che il Signore gratuitamente mi offre, devo saperlo offrire agli altri con una vita serena, pacificata, sradicando ogni risentimento, odio o rancore. Quando mi rapporto con gli altri, quello che ho dentro deve trasparire all’esterno. Il Santuario, quindi, deve lavorare per la Pace, in primo luogo con la preghiera, poi con iniziative di carattere culturale o caritativo. La pace si traduce anche nell’aiuto ai bisognosi: all’inizio di quest’anno, ad esempio, abbiamo aperto una struttura per i senza fissa dimora, con il contributo di volontari che aiutano trenta persone.
Il santuario del Divino Amore è profondamente legato al valore della famiglia…
Mons. Silla: Proprio così: ogni anno, infatti teniamo la Festa della Famiglia (a gennaio) e la Giornata Diocesana della Famiglia (un tempo a febbraio, più recentemente spostata a maggio).
Inoltre il santuario ospita dal 2001 le spoglie dei beati coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, grandi devoti del nostro Santuario. Fu il 13 agosto 1940 che Maria fece voto alla Madonna del Divino Amore, chiedendole di preservare i suoi figli dai pericoli mortali della guerra in corso. Fu esaudita e i figli Don Tarcisio, Padre Paolino e Madre Cecilia, rimasero illesi in tre circostanze il 13 agosto 1942 e poi il 13 agosto 1943.
Sulla tomba dei beati coniugi Beltrame e Quattrocchi, spesso vengono molte famiglie a pregare e ad ispirarsi. Quando celebriamo i matrimoni qui al Santuario, c’è l’usanza che gli sposi firmino l’atto nuziale davanti alla loro tomba. È infine tradizione che alcune famiglie della parrocchia, vengano invitate a turno, almeno una volta alla settimana a mettere un fiore ma soprattutto a pregare per tutte le altre famiglie della parrocchia.
Un certo filone della Chiesa post-conciliare ha ritenuto superato il culto di Maria, invece la storia recente dimostra che è nel segno della devozione mariana che la Chiesa si rinnova: ne è un esempio un grande papa “mariano” come Giovanni Paolo II…
Mons. Silla: Sono più che convinto che nei santuari mariani si riscontra la bellezza della Chiesa. Se interpretato correttamente, il Concilio ci dà un’indicazione straordinaria, nel titolo dell’VIII capitolo della Lumen Gentium, dedicato alla Madonna: Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Sarebbe assurdo immaginare la Chiesa senza la Madre del Signore ed altrettanto assurdo sarebbe immaginare un Cristo vero uomo, senza pensare alla figura e alla missione di sua madre. Contemplando la missione della Chiesa, il vero devoto non si limita all’emozione e alla tenerezza ma si fa accompagnare da Maria alla vera conoscenza di Cristo e alla comunione con la comunità. Maria è il modello di intima unione con Ge
sù, un’unione derivata senz’altro dalla comunità ma anche dalla collaborazione: quando sul Calvario Maria è presente e ritta davanti la Croce, la troviamo “amorosamente consenziente all’immolazione della vittima che Lei stessa aveva generato”. Maria Santissima è riuscita, attraverso il dolore profondo, a unire il suo cuore a quello di Cristo, nella volontà di offrirsi, di donarsi, si associa alla volontà oblativa del Figlio, unendosi definitivamente a Lui.
Le è mai capitato in tutti questi anni di assistere a conversioni?
Mons. Silla: Certamente. Ricordo in particolare un episodio che mi capitò poco tempo dopo la mia ordinazione sacerdotale, mentre accompagnavo un pellegrinaggio notturno verso il Divino Amore. Mi si avvicinò un signore, dicendomi di essere un generale massone e che non si confessava da moltissimi anni. La confessione durò 2-3 km di cammino. Dopo avergli dato l’assoluzione, non ho più visto quell’uomo ma ho tanta fiducia nella Grazia da immaginare che sia uscito dalle tenebre e sia entrato nella luce della Grazia, mettendosi in cammino con la Chiesa e con Cristo. Poi ho sentito tantissime storie di pellegrini che mi hanno detto: “venendo al Divino Amore ho ritrovato la fede”. La gente si converte non per ragionamenti filosofici ma grazie alla testimonianza della fede delle persone semplici, della loro bellezza interiore, primo passo per il ritorno alla confessione e a tutta la vita sacramentale.