Il pellegrinaggio francescano di Benedetto XVI (Seconda parte)

Dopo Pavia, Assisi e Bagnoregio, il Papa va alla Verna

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di Marcella Serafini

ROMA, domenica, 13 maggio 2012 (ZENIT.org).- In un saggio del 1930, “Un filosofo del basso Medioevo, Bonaventura”, Guardini offre un suggestivo ritratto: Bonaventura è considerato protagonista di quella corrente agostiniana che mostra tanto interesse per il cuore, per cui filosofia e teologia hanno il loro centro nell’amore. Punto di partenza per Bonaventura, anche per le sue tesi filosofiche, è l’interesse spirituale; a proposito della domanda sulla possibilità della conoscenza, Bonaventura è debitore di Agostino: la conoscenza si ha per illuminazione, pertanto la conoscenza della verità è una illuminazione interiore.

Per tale motivo in Bonaventura abbondano i riferimenti al tema della luce: l’esperienza della verità è un’esperienza di luce. Poiché l’idea è in Dio, la conoscenza è anche contatto con Dio nello spirito, è verità e valore, essere afferrati dal valore e dalla bellezza, perciò ha a che fare con l’amore; tale consapevolezza è implicita nell’espressione ‘lumen mentis’. Di conseguenza, nel pensiero bonaventuriano la conoscenza non è una sfera autonoma: ha le sue premesse negli atteggiamenti, nella vita, nell’essere e nell’agire. C’è un ordine il cui significato è insito nell’esistenza stessa e trova espressione nella gerarchia ontologica, nei gradi dell’essere e in ogni oggetto, che assume valore simbolico.

Le cose sono in relazione tra loro: tutto si muove in direzione dell’eterno, verso l’assoluto; c’è in Bonaventura una duplice tensione, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso: la pienezza della luce divina scende; reciprocamente c’è tensione del ritorno all’Uno, un eros cosmico che trova il suo culmine nella conoscenza umana. L’Itinerarium rappresenta questa tensione che conduce verso l’alto, verso Dio; la conoscenza è pertanto ascesa dello spirito: si ripete anche nell’uomo il movimento di discesa della luce e tensione al ritorno. Il movimento cosmico e quello interiore umano, quello metafisico e quello mistico, sono rappresentazione della bellezza e dell’amore.

Il Verbo, in quanto luce che illumina, fonda l’essere e la conoscenza; Egli è similitudo del Padre, ratio aeterna, lux mentis. La luce dell’anima influisce non solo nella conoscenza ma anche nella vita pratica, nel volere, decidere e desiderare. Tramite la luce, gli ideali della virtù diventano desiderabili, la decisione diventa sicura, consapevole, perché attinge a Dio.

La dottrina della redenzione affrontata da Bonaventura è una tematica che attraversa l’itinerario di Guardini. Nell’Itinerarium la Redenzione è un tutt’uno con l’Incarnazione; di questa Bonaventura mostra l’assoluta necessità, motivata in base alla caduta umana. Cristo si è fatto scala riparatrice e soccorritrice, come afferma nel Prologo, mediatore di grazia e carità che risana l’anima. Cristo, che ha creato e salvato l’uomo, santifica l’umanità; questa è la dimensione esemplare di Cristo, per cui la vita cristiana è imitazione di Cristo, diventare suoi discepoli. La via che conduce a Dio è l’amore al Crocifisso, come insegnano S.Paolo e S.Francesco.

La cristologia di Guardini è profondamente ispirata da Bonaventura: è scuola di amore che dona l’impulso ad amare in modo autentico. Cristo ha ripristinato la gerarchia intima dell’anima, cioè l’essere ordinata verso Dio, in quanto unisce celeste e terreno ed è immagine di Dio.

Stéphan Oppes, docente di Metafisica nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Stefanini (autore su cui ha già pubblicato vari studi), ha parlato sul tema “Gli studi di Luigi Stefanini su l’Itinerarium mentis in Deum”.

Nel 1926 Stefanini pubblicava una prima traduzione italiana dell’Itinerarium inserita in un volume in cui Bonaventura e Platone venivano affiancati e messi a confronto sul problema religioso e morale. L’operazione aveva una duplice finalità: da una parte corrispondeva a una scelta di ‘immagine’ che va compresa nel contesto storico e culturale del tempo; si discuteva infatti in quel periodo se in Bonaventura vi fosse filosofia o meno.

Stefanini si inserisce nel dibattito con un’operazione molto significativa: introduce il Dottor Serafico in un discorso teoretico come uno dei pensatori più significativi di tutta la scolastica. Si trattava di una iniziativa particolarmente importante per la storia della filosofia, anche perché il testo aveva un valore divulgativo. La seconda finalità, e quindi operazione significativa di Stefanini, consiste nell’accostamento di Platone e Bonaventura, quale testimonianza del riproporsi del problema religioso, evidenziato da Platone nell’Eutifrone e in alcuni passi della Repubblica.

Nel contesto culturale italiano degli anni ’20, dominato da tendenze liberali neo-hegeliane e anticristiane, l’operazione culturale e filosofica di Stefanini consisteva nel proporre l’Itinerarium come occasione per discutere problemi teoretici e morali. Per Stefanini sarebbe stato molto più facile parlare del problema di Dio (in un contesto hegeliano Dio si può ricondurre all’Assoluto), ma egli non accettò tale riduzione.

Due anni dopo Stefanini pubblicava una raccolta di scritti sul problema religioso; nell’Introduzione distingueva otto punti di riflessione; Oppes si sofferma su alcuni (l’esistenza di Dio, il tema dell’ontologismo e il mistero). Queste due opere vanno considerate nel contesto del pensiero di Stefanini e nel suo divenire: in particolare appartengono alla fase del cosiddetto “idealismo cristiano” (espressione particolarmente problematica ad avviso dei Padri di Gallarate). Secondo Stefanini la pienezza della verità è il Cristianesimo: le varie filosofie, tra cui l’Idealismo, sono espressioni parziali. La sfida che Stefanini proponeva, era il tentativo di accettare, al fine di superarlo, l’Idealismo, con l’aiuto di Platone e San Bonaventura; tale tentativo però venne censurato.

La seconda fase del pensiero di Stefanini, detta “spiritualismo cristiano”, si ricollega ad Agostino e privilegia la linea dell’interiorità. In tale contesto, quando parla di imago (e il corrispondente italiano ‘imagine’), Stefanini fa esplicito riferimento a Bonaventura, tanto che si parla di ‘imaginismo’ quale struttura portante dell’umanesimo francescano. Stefanini sceglie l’Itinerarium per riflettere sul fenomeno religioso: in Bonaventura infatti Dio è il punto di partenza, secondo il metodo del ‘pensare cristiano’, cioè della sapienza cristiana, che invita a cominciare dalla stabilitas fidei, proseguendo attraverso la capacità della ragione, per giungere alla soavità della contemplazione.

Tali sono i momenti del metodo bonaventuriano: Dio non è qualcosa cui posso arrivare con il pensiero, ma ciò da cui parto; le prove dialettiche sono soltanto exercitationes mentis; la conoscenza di Dio è originaria (conforme all’intuizione agostiniana), l’idea di Dio è l’a-priori di ogni conoscenza.

Affrontando la tematica del mistero, Bonaventura, osserva Stefanini, si ricollega alla prospettiva dei Padri anteriore alla distinzione tra filosofia e teologia operata da Tommaso d’Aquino. Stefanini parla a tale proposito, di ‘fecondità speculativa del mistero’; è quanto Bonaventura sosteneva nel Sermo IV: partire dalla stabilitas fidei, ricca di verità per il filosofo.

Non siamo più alla filosofia quale preambulum fidei come per Tommaso, ma alla concezione unitaria dei Padri; oggi dopo gli studi di Chenu è più facile ricondurre Bonaventura alle matrici teologiche monastiche e patristiche. In questa interpretazione Stefanini è avanguardista: parla di teologia che illumina i misteri dell’esistenza umana; non c’è solo pertanto u
na filosofia ancilla theologiae, ma anche una teologia ancilla philosophiae.

Per quanto riguarda il ragionamento che Bonaventura adotta per provare l’esistenza di Dio – se c’è l’ente possibile allora c’è l’ente necessario – Stefanini, pur rifiutando la logica aristotelica del sillogismo, vuol mostrare che l’esistenza di Dio ha una sua razionalità.

Parla a tale proposito di ‘ontologismo logico’, espressione alquanto insolita e pertanto da spiegare: in Bonaventura infatti non vi è alcuna traccia di ontologismo (conoscenza immediata di Dio), piuttosto il Maestro francescano distingue tra la conoscenza che di Dio possiamo avere ‘in via’ e quella in patria. Bonaventura parla a tale proposito di cointuizione, che è un intuire Dio appoggiandosi all’imago (torna il tema dell’imaginismo).

Questa tesi rappresenta una sorta di riflesso sul piano gnoseologico del Cantico delle Creature e della fraternità minoritica francescana: in compagnia di questi fratelli intuisco l’essenza di Dio; non si tratta di visione diretta né di sillogismo. Non è un classico ragionamento apodittico, cioè fondato sull’esperienza, ma un ragionamento anapodittico: se c’è il mondo, allora è chiaro che c’è Dio; ma questo – conclude Stefanini – è un ontologismo logico. Il relatore commenta: la visione dell’essere divino è la prima nell’ordine logico, ma l’ultima nell’ordine psicologico; tale il senso dell’ontologismo logico di Bonaventura.

[La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 12 maggio]

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ZENIT Staff

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