Un romanzo su "Maria e i fratelli"

Carlo Alianello racconta la grandezza di Maria e Giuseppe

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di Gianandrea de Antonellis

ROMA, sabato, 12 maggio 2012 (ZENIT.org).- Lo scrittore romano, ma di origini lucane, Carlo Alianello (1901-1981) è famoso soprattutto per la trilogia “borbonica” (L’alfiere, L’eredità della priora, Soldati del Re), ma merita di essere ricordato per i suoi romanzi di carattere religioso (Il mago deluso, Maria e i fratelli, Nascita di Eva).

Soprattutto in Maria e i fratelli (1955) si esprime appieno la sua spiritualità profondamente mariana, con la riproposizione della storia di Gesù Cristo letta attraverso gli occhi di Sua Madre.

Fin dall’inizio l’autore mette l’accento sulla regalità della ascendenza di Gesù, sottolineando come sia Giuseppe che Maria provengano dalla stirpe di Davide. La nobiltà della Madonna, inoltre, si esprime attraverso il suo dignitoso comportamento, il suo distacco dai beni materiali (non così superiore si dimostra, invece, suo zio Alfeo, che pure fa di tutto per organizzare il matrimonio con Giuseppe, anch’egli del tutto distaccato).

Toccante è la descrizione della nascita del Bambino nella mangiatoia di Betlemme:

Il Re nato stava nella mangiatoia e tutti lo potevan vedere. Un fagottino di panni, una testina tonda e rossetta, come si conviene a chi è giunto alla luce da un’ora appena; e adesso dormiva. Vicino c’era la mamma; e così giovane, Dio! Quei pastori non avevano visto mai una bellezza tanto rara, che quasi non gli sarebbe parsa neppur bella, al loro modo di guardare le donne, così gracile e squisita, se non avessero inteso che per lei non c’è altro confronto che gli angeli. Le poche pastore tramezzo agli uomini nel piangevano di tenerezza e se la rimiravano rapite, stando in ginocchio sulla paglia, perché lei era al centro d’ogni luce. (Cap. I pastori, I, p. 68)

Passando, per necessità di sintesi, al momento finale della vita umana di Gesù, quello del Golgota, lo scrittore sottolinea ancora la nobiltà della Madonna:

Allora Maria attraversò decisa il cerchio dei sacerdoti e dei sinedriti e salì sul monticello, con Giovanni e Maria Maddalena che la seguirono lesti. Giacomo le andò appresso, ma si fermò sul ciglio; e c’erano anche la madre e Salome.

Il decurione s’alzò di scatto, i soldati avevano fatto un fascio delle lance e sedevano sugli scudi, fuorché l’unica sentinella che andava su e giù, e già apriva la bocca a sbraitare, ma il centurione lo fermò con un cenno.

–È la madre – spiegò.

Il sottufficiale lo guardò sbalordito e poi volse ancora gli occhi verso Maria, perché la cosa non gli pareva giusta. Come poteva essere la madre di Gesù, di quel pezzo d’uomo grande e maturo, lei, una donnina esile che va dritta come una giovinetta?

Eppure il signor centurione ha visto bene, ha ragione. Quel viso straziato, ma non sconvolto, dove il pianto non ha singhiozzi, ma lacrime sole trattenute e lasciate una per una, è un viso di mamma.

Anche il centurione guardava Maria e non aveva visto mai un dolore così accorato e così composto, una bellezza tutta pura e tutta scoperta, che non c’è altre parole per precisarla, se non quelle due: bellezza e dolore.

Ma il decurione gli interruppe il pensiero: – Codesti? – e indicava Giovanni e Maria Maddalena che erano giunti con la Vergine ai piedi della croce.

– Lasciali stare – disse il centurione. (Cap. Il segno di contraddizione, III, pp. 376-377)

La fede di Alianello è piena e sincera. E non poteva essere diversamente, per uno scrittore che si era pienamente consacrato a Maria, come egli stesso racconta nel libro autobiografico Lo scrittore o della solitudine (1970):

[…] Congregazione Mariana vuol dire unione fraterna nel nome di Maria. Nella cerimonia d’ammissione io mi son votato a Lei, come, secondo la vecchia formulazione feudale, cavaliere a Dama e Signora. Ho giurato e, se non ho sempre mantenuto il mio giuramento, non fu mai per infedeltà, ma per debolezza, così come quando il cavaliere si alleggeriva talvolta di corazza, giaco e morione; l’armatura di ferro è dura a portarsi, dura milizia è la vita degli uomini.

Però quella fede donata, quel prestato giuramento non l’ho scordato né lo dimenticherò mai per l’onore della mia Dama, neppure quando non vi saranno più né luoghi né tempi per correr quintane e nessun infedele porterà più colori avversi contro il suo azzurro manto. Resterà un nome solo, un tempo incommensurabile, un unico confine senza limiti né misure: l’eternità, dico, nel nome di Dio. (Lo scrittore o della solitudine, p. 84, cap. V)

E conclude il suo diario ancora ricordando il suo amore per la Madre di Dio:

Ora ho sempre sul mio scrittoio l’immagine della Vergine che mi conforta, anche nelle mie cadute, perché uomo sono e fragile, e, se lo spirito è intrepido, la carne è stanca e malata, non di mali corporei, ma di superbia, di sprezzo per un certo mondo che brulica di soprusi e d’inganni, di poca carità, non verso i piccoli e i bisognosi, ma verso i grandi e i superbi, anch’essi bisognosi, anch’essi miserabili, ma non abbastanza perché io riesca ad amarli, com’è dovere di cristiano. (Lo scrittore o della solitudine, p. 138, cap. VIII)

Carlo Alianello è attualmente uno scrittore ingiustamente poco considerato: sconta il fatto di essere «a metà strada tra Manzoni e Balzac», come scrissero di lui, vale a dire un grandissimo scrittore, ma in ritardo sui tempi, vissuto in un periodo che ha preferito la novità astrusa e lo sperimentalismo fine a se stesso anziché la vera bellezza. Ma il tempo permetterà di riscoprire la sua grande vena poetica.

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ZENIT Staff

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