di Antonio D’Angiò
ROMA, sabato, 5 maggio 2012 (ZENIT.org) – In questi primi mesi dell’anno la città di Cassino, insieme a Norcia e Subiaco, ha organizzato importanti eventi pubblici, religiosi e di promozione culturale in onore di San Benedetto e del suo ruolo di Patrono d’Europa; momento culminante è stata l’accensione della fiaccola nell’isola di Malta.
Nello stesso periodo, per coincidenza, la casa editrice Sellerio ha riportato nelle librerie l’opera di Dante Troisi “Diario di un giudice”, scritta nel 1955, la quale vede raccontate storie giudiziarie e riflessioni personali fatte dall’allora giudice Dante Troisi nella città C., identificata in Cassino, città nella quale ha lavorato negli anni successivi al secondo conflitto mondiale.
Il legame tra questi due eventi si può trovare sia perché parte non marginale della riflessione di Troisi trova il suo apice nel confronto tra l’opera del giudice e quella del monaco. Sia perché il Troisi uomo, magistrato e letterato conserva a Cassino ancora un bel ricordo, come ci ha riferito Emilio Pistilli, direttore della rivista trimestrale “Studi Cassinati”, che da dodici anni racconta la storia di queste terre.
Le due recensioni del libro curate rispettivamente da Carlo Federico Grosso su La Stampa del 24 marzo e da Guido Vitiello sul Corriere della Sera del giorno successivo, hanno l’indubbio merito di offrire un’ampia visuale su un autore coraggioso e su un libro che, nonostante i quasi sessanta anni, ha una particolare attinenza con i nostri giorni, forse perché anche questi possono essere assimilati, per alcuni aspetti, ad anni di ricostruzione.
Dante Troisi nacque nel 1920 a Tufo in provincia di Avellino, esercitò la professione di magistrato dal 1947 al 1974, anno delle sue dimissioni, è stato autore di molti libri tra i quali “L’odore dei cattolici” del 1963 che gli valse la finale del premio Strega, “L’inquisitore dell’interno 16” (finalista del Campiello nel 1986) e quel “Diario di un giudice” che gli costò una condanna disciplinare da parte della Magistratura. Troisi morì a Roma nel 1989.
Le storie raccontate (attraverso un diario nel quale sono segnati genericamente solo i giorni della settimana), le riflessioni sulla giustizia e sulla vita privata, risentono in maniera importante di ciò che era una piccola città distrutta dalla II guerra mondiale che pian piano stava riemergendo dalle macerie; macerie non solo materiali e scorie che non potevano non irradiare comportamenti violenti.
Troisi consegna, nelle sue pagine, anche un doppio registro che Guido Vitiello ben riporta nella sua riflessione, cioè quello del ruolo del giudice che incrocia e confronta la propria azione con i monaci dell’abbazia cassinate.
Così scrive Troisi: “Siamo allo stesso modo dei monaci del convento situato sulla collina, che aspettano la gente andare a pentirsi; e come questi conoscono la città dalle voci del confessionale, così noi vediamo solo momenti della vita che ci scorre intorno”.
Nella nota conclusiva, Andrea Camilleri ricorda come lo scrittore Troisi avesse trovato attenzione e ospitalità in letterati come Mario Pannunzio ed Elio Vittorini. E ne ripercorre soprattutto la vicenda giudiziaria e i legami con figure alte della storia della giurisprudenza italiana, come Pietro Calamandrei, Alessandro Galante Garrone e Vittorio Bachelet.
Infine è narrato quell’atto, ancora più importante se riportato ai primi anni ’70, di volere dare sollievo a quei detenuti, soggetti a lunga carcerazione preventiva, tramite la libertà provvisoria, “non ritenendo che le lentezze burocratiche potessero risolversi a danno di un imputato”.
Troisi chiude, segnando una domenica; così la sua raccolta di pensieri: “E ora basta con il diario. Sono come il cattolico che segna i digiuni, le elemosine e quante ore ha portato il cilicio. Ho la vocazione a fare il giudice. Mi sono agitato per negarlo, ma in questa professione ho il migliore rifugio, la difesa più sicura”.