Il Concilio Vaticano II e la libertà religiosa

Il prof. Philippe Chenaux racconta la storia e l’importanza della Dichiarazione “Dignitatis humanae”

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di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 4 maggio 2012 (ZENIT.org).- Secondo Philippe Chenaux, Direttore dal Centro studi sul Concilio Vaticano della Pontificia Università Lateranense, la dichiarazione Dignitatis humanae (DH) sulla libertà religiosa, è documento di portata storica “uno dei grandi documenti del Concilio”.

Intervenendo il 3 maggio al ciclo di conferenze organizzato dal Centro Studi e Ricerche sul Concilio Vaticano II della Lateranense in collaborazione con il Centre Culturel Saint Louis de France sul tema “Rileggere il Concilio. Storici e teologi a confronto” il docente di Storia della Chiesa Moderna e Contemporanea ha raccontato del travaglio di questa dichiarazione e di come i padri Conciliari pur partendo da posizioni differenti e in alcuni casi contrapposte arrivarono a votare a larga maggioranza la Dignitatis humanae.

La dichiarazione sulla libertà religiosa era considerata da Papa Paolo VI come uno dei grandi documenti del Concilio non tanto per la sua estensione (si tratta di uno dei testi più brevi), e nemmeno per la forma (è una semplice dichiarazione), quanto piuttosto per il suo contenuto.

Per il prof. Chenaux la DH “risolveva due dei problemi più difficili con cui la Chiesa si misurava da almeno due secoli: il problema dei rapporti tra libertà e verità, sul piano teorico o teologico, e quello dei rapporti tra Chiesa e Stato moderno, sul piano politico-ecclesiastico”.

Il dibattito sulla libertà religiosa è stato controverso perché “nonostante la Chiesa avesse costantemente affermato la libertà dell’atto di fede”, cioè “nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà”, c’era da superare l’eredità dell’alleanza istituzionale dei poteri spirituali e temporali, dell’intolleranza religiosa conseguente alla riforma e controriforma e una certa intransigenza durante il XIX secolo.

Il docente della Lateranense ha spiegato che “La tesi intransigente dello Stato cattolico era rimasta la tesi ufficiale della Chiesa almeno fino alla fine del pontificato di Pio XII” quando . “L’esperienza dolorosa dei totalitarismi (comunismo, nazismo, fascismo) aveva contribuito ad una riscoperta da parte del magistero della Chiesa dell’eminente dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali”.

Nei radiomessaggi nel periodo di guerra Natale 1942, e Natale 1944, Pio XII aveva sottolineato la dignità della persona umana e l’importanza di una sana democrazia.

Per Chenaux già prima della Seconda Guerra Mondiale la Chiesa non riusciva più a conformare i poteri statali al riconoscimento di Dio e della Chiesa. Nei Patti lateranensi con l’Italia fascista (1929); il Reichskonkordat con la Germania nazista (1933), e il Concordato con la Spagna franchista nel ’53, la Chiesa adottò una politica di difendere il “male minore” al fine di garantire la libertà della Chiesa, del clero, dei cattolici e dei cittadini tutti.

Al Concilio le due posizioni, quella più ortodossa e l’altra che apriva al mondo tenendo conto del cambiamento dei tempi, si confrontarono, al punto che l’elaborazione della DH “è stata fino all’ultimo laboriosa e tormentata”.

Chenaux racconta che ancora nel maggio del ’64 “Il dibattito tra sostenitori ed avversari del testo (della DH) fu molto aspro”. I vescovi nord-americani e anche molti vescovi dell’Europa dell’Est (in modo particolare i polacchi) “affermarono la necessità di riconoscere un diritto fondato sulla natura della persona umana. I secondi, cioè gli avversari, espressero la convinzione che non si poteva separare la libertà religiosa dalla verità e dai suoi diritti”.

Nel dibattito intervenne anche l’allora arcivescovo di Cracovia, mons. Karol Wojtyla, che propose di preparare due dichiarazioni: “una rivolta ai cristiani non cattolici con uno spirito ecumenico, per dire che la verità cristiana rende liberi, ed un’altra ai governi, una dichiarazione ad extra che serviva gli interessi della Chiesa nei paesi comunisti”.

Nel dicembre 1964, su richiesta del pontefice Paolo VI, fu consultato anche il filosofo Jacques Maritain il quale nel promemoria fatto consegnare al papa nel marzo 1965, rammentava con vigore che “la libertà religiosa deve essere proclamata e mantenuta come uno dei diritti fondamentali della persona umana”.

Accadde così che il 7 dicembre 1965, con 2308 placet e 70 non placet, la dichiarazione DH fu approvata e promulgata da Paolo VI.

La DH afferma “Questo concilio dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa, questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la coscienza né sia impedito entro debiti limiti ad agire in conformità ad essa, privatamente, pubblicamente, da solo o associato ad altri”.

Il gesuita Joseph Leclerc, professore di ecclesiologia all’Institut catholique di Parigi e autore di una opera sulla storia della tolleranza nell’età moderna, scrisse sulla rivista Etudes nell’aprile 1966, che si trattava di “un avvenimento straordinario” nella storia dei Concili.

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ZENIT Staff

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