di Salvatore Cernuzio

ROMA, venerdì, 30 marzo 2012 (ZENIT.org) – Si è concluso ieri, giovedì 29 marzo, la stagione 2012 dei Dialoghi in cattedrale, i colloqui di riflessione culturale e spirituale nella Basilica di San Giovanni in Laterano, iniziati il 1° marzo di questo anno.

Al centro dei tre appuntamenti di marzo, il tema dell’educazione, affrontato ieri sera da una prospettiva diversa: quella del male. La proposta educativa di fronte al male è stato, infatti, oggetto delle riflessioni dei due illustri ospiti: Vittorino Andreoli, scrittore e psichiatra membro della World Psychiatric Association e il cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, intervenuto su La parola del Padre e la testimonianza di Gesù.

“Possiamo educare, oggi, al senso del bene e del male?”, ha chiesto ai presenti il porporato, all’inizio del suo discorso, giustificando la domanda con il fatto che si ha oggi la “percezione di un cambiamento della mentalità, del modo spontaneo e non riflesso con cui guardiamo alle cose”.

Oggi, infatti, a differenza di quanto succedeva qualche secolo fa - quando era normale credere in Dio - per un europeo la non-credenza o l’indifferenza religiosa sono opzioni assolutamente naturali. “Affermare di non credere – ha osservato il cardinale - diventa, ora, quasi un requisito per gli accademici e i politici”, il che porta a vivere in “un’ampia zona grigia", che rende complicato “avere un senso vivo della differenza tra bene e male”.

Tale cambiamento non tocca solo la sfera della fede, ma anche quella dell’etica e dell’educazione, ha infatti sottolineato Betori, ricordando le parole del Santo Padre nella lettera Sul compito urgente dell’educazione inviata nel 2008 alla Diocesi e alla città di Roma.

Scriveva il Papa: «Nell’educazione sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, della bontà della vita».

Diventa difficile allora, spiegava Benedetto XVI, «trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita»

“Parlare di verità e di errore, di bene e di male – ha aggiunto l’Arcivescovo - significa essere in grado di scegliere in base a un criterio chiaro e radicale”. Un criterio oggi indebolito, dal momento che “a essere messa in questione non è la differenza tra bene e male in sé, ma la sua radicalità e l’oggettività che lo rende condivisibile”.

In altre parole, ha spiegato: “Si difende il diritto alla vita degli animali, il che può essere un bene, se è un segno d’amore per le creature di Dio. Ma se a questa ‘sensibilità’ si accosta il ‘diritto’ di abortire o di uccidere i neonati, far cioè morire altri esseri umani, dovremo pur chiederci quale sia il criterio di bene e di male cui si attiene certa cultura diffusa”.

Secondo il cardinale, c’è un intero percorso di risposta alla situazione attuale, che parte dall’Europa del XVIII secolo, epoca in cui a causa di figure come Voltaire e Rousseau, si è professato un netto rifiuto del cristianesimo, del cattolicesimo in particolare.

Ai due pensatori francesi, ha affermato il cardinale, “possiamo ricondurre una delle fonti della difficoltà contemporanea a parlare di bene e di male”, in quanto “non è sparita la differenza, ma il criterio universale che permetta di stabilire con sicurezza cosa è bene e cosa è male”.

Il risultato è che nella nostra cultura “crimini di varia natura suscitano orrore, ma non c’è altrettanta sensibilità nei confronti della persecuzione dei cristiani, per cui si spendono poche, rapide parole e a volte nemmeno si prega”. Questi fenomeni indicano che le nostre reazioni non sono guidate dall’amore per il bene: “Posso provare orrore per molte cose, ma questo non significa che scelgo il bene – ha spiegato Betori - L’orrore infatti non ha a che fare né con il senso del peccato, né con la capacità di riconoscere il male”.

In questo contesto, è impossibile credere “in un ordine amorevole” e l’unico freno alla distruzione, secondo il porporato, “sembra quello della paura della legge”.

Gesù Cristo interviene, però, a dare una soluzione “inedita” a questo problema: “Egli non cancella il male, non fa finta che non esista, ma ci invita a non pensare solo ad esso. Se desideriamo il bene, se amiamo, possiamo guardare il male e sottrarci alla sua seduzione”.

Di fronte alle paure dell’uomo, “continuamente alimentate dai seminatori di terrore nei media”, dunque, la Chiesa ci invita a “porre le nostre speranze in Dio, perché solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; che può risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite", e soprattutto che "ci stimola all’amore”, unica “proposta educativa” efficace per rispondere al male.