ROMA, martedì, 20 marzo 2012 (ZENIT.org) - ACS-Italia, con alcuni membri della sede internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha visitato nei giorni scorsi l’arcidiocesi di Patna, capitale del Bihar.

La diocesi è stata creata nel 1919, elevata ad arcidiocesi nel 1999 e monsignor William D’Souza, gesuita come i suoi quattro predecessori, ne è arcivescovo dal 2007.

La percentuale dei cattolici non raggiunge lo 0,3%, ma i 63 sacerdoti diocesani, i 210 religiosi e le 542 religiose compiono la loro preziosa opera per tutti gli abitanti. Ognuna delle 35 parrocchie ha una scuola e un dormitorio e per i bambini poveri che vivono nelle baracche o nei villaggi vengono organizzati corsi di educazione non formale.

La Chiesa cattolica in Bihar rappresenta una ricchezza immensa non solo per i fedeli locali, ma per tutta la popolazione indiana soprattutto riguardo a temi come educazione, formazione, centri di cura, pastorale, assistenza sociale, rispetto dell’ambiente. Il piccolo stato dell’India nord orientale è uno dei più poveri della federazione, nonché il terzo più popoloso.

La Chiesa, inoltre, è molto attiva nel miglioramento della condizione femminile, attraverso programmi d’istruzione ed un sistema di micro-credito articolato in oltre 1600 gruppi di auto aiuto.

«In Bihar solo il 37% delle donne è alfabetizzato – spiega monsignor D’Souza ad ACS – ed è per questo che la nostra società è dominata dagli uomini». Un figlio maschio significa un’entrata sicura, mentre una femmina apparterrà presto alla famiglia del marito.

La dote che il padre della sposa dovrà pagare è poi direttamente proporzionale al grado d’istruzione della ragazza e molti genitori poveri preferiscono non far studiare le figlie e risparmiare così sulla dote. «Nelle nostre scuole però – continua l’arcivescovo – le bambine sono importanti quanto i maschi ed hanno lo stesso diritto ad essere educate».

L’istruzione favorisce anche i rapporti interreligiosi in uno stato in cui la maggioranza induista (82%) convive con la comunità musulmana (17,5%) e le minuscole minoranze buddista, sikh, cattolica e giainista. «A scuola non esistono religioni differenti, diversa estrazione sociale o caste, ma solo bambini. Così si pongono le basi per una futura generazione all’insegna del rispetto verso gli altri e dell’amore per il prossimo: è così che nasce il dialogo interreligioso».

Attraverso gli studenti la Chiesa cerca di rafforzare l’autostima dei senza casta, i dalit,  che - esclusi dal sistema sociale induista - con il cristianesimo hanno scoperto la propria dignità di esseri umani. «La nostra azione è particolarmente focalizzata su donne e dalit. Vogliamo formare una nuova società fondata sui valori del Vangelo: amore, uguaglianza e dignità umana».

I senza casta, chiamati anche spregiativamente «mangiatori di ratti», rappresentano circa il 70% della comunità cattolica, seguiti da un 15% di tribali e da un 10% dei cosiddetti cristiani di Bettiah, la cui fede ha radici antiche di oltre 250 anni. Uniti nella Chiesa i tre gruppi hanno però tradizioni e costumi differenti e parlano lingue diverse. «Tra le nostre preoccupazioni principali – aggiunge il presule gesuita – vi è quella di rafforzare la coesione tra i fedeli».

Il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre all’arcidiocesi di Patna è costante e si esprime attraverso le intenzioni di messe ai sacerdoti diocesani, interventi di costruzione e ristrutturazione, sostegno alla formazione di catechisti, sacerdoti, religiosi e religiose. La Fondazione ha inoltre finanziato la pubblicazione in hindi di Bibbie, Bibbie del Fanciullo e del piccolo catechismo «Io credo».

«I benefattori sono i partner della nostra missione» afferma l’arcivescovo che, quando era vescovo della vicina Buxar, chiese ai bambini della diocesi di recitare tre Ave Maria al giorno per i benefattori. Una tradizione adesso rispettata anche a Patna e a cui è stata aggiunta un’ora di adorazione settimanale. «E’ l’unico modo che abbiamo per ripagare l’aiuto che riceviamo ed esprimere la nostra immensa gratitudine».