NEW YORK, mercoledì, 28 settembre 2011 (ZENIT.org).- L'intervento militare dell'ONU in qualche Paese nel caso in cui si verifichi una crisi umanitaria deve aver luogo dopo che si sono esaurite le altre vie, e deve avere una durata limitata.
Lo ha affermato questo martedì il segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Dominique Mamberti, durante il suo intervento alla 66ª Assemblea Generale dell'ONU, le cui sessioni di dibattito generale sono in svolgimento a New York.
Monsignor Mamberti ha affermato che dal punto di vista della Santa Sede l'ONU deve chiedersi in cosa consista la “responsabilità di difendere” i membri più deboli della “famiglia delle Nazioni”.
Il presule ha sottolineato l'esistenza di “emergenze umanitarie gravi e drammatiche”, come quella che si sta verificando nel Corno d'Africa, e ha rinnovato a questo riguardo l'appello della Santa Sede ad “amplificare e sostenere le politiche umanitarie in quelle zone e a influire concretamente sulle varie cause che ne aumentano la vulnerabilità”.
“Queste emergenze umanitarie portano a sottolineare la necessità di trovare forme innovative per mettere in pratica il principio della responsabilità di difendere, alla cui base ci sono il riconoscimento dell'unità della famiglia umana e l'attenzione per la dignità innata di ogni uomo e di ogni donna”, ha sottolineato.
Ad ogni modo, ha avvertito del rischio che il principio di intervento associato a questa responsabilità di difendere “possa essere invocato in certe circostanze come un motivo comodo per utilizzare la forza militare”.
L'uso della forza militare in conformità alle regole delle Nazioni Unite “dovrebbe essere una soluzione limitata nel tempo, una misura di vera urgenza che dovrebbe essere accompagnata e seguita da un concreto impegno di pacificazione”, ha segnalato.
Responsabilità di difendere
Il principio di intervento, ha affermato monsignor Mamberti, “si riferisce alla responsabilità della comunità internazionale di intervenire nelle situazioni in cui i Governi non possono più da soli o non vogliono più compiere il primo dovere che spetta loro, difendere le proprie popolazioni contro violazioni gravi dei diritti umani, come anche dalle conseguenze delle crisi umanitarie”.
“Se gli Stati non sono più in grado di garantire questa protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali”, ha sottolineato.
Per questo, ha avvertito il presule, è necessario “che ci sia una ricerca più profonda dei mezzi per prevenire e gestire i conflitti, esplorando tutte le vie diplomatiche possibili attraverso il negoziato e il dialogo costruttivo e prestando attenzione e incoraggiamento ai più deboli segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione da parte delle parti coinvolte”.
La responsabilità di difendere, inoltre, “deve essere intesa non solo in termini di intervento militare, che dovrebbe essere sempre l'ultima risorsa”, ha aggiunto.
La comunità internazionale ha il dovere di “essere unita di fronte alla crisi” e di “creare le istanze per negoziati corretti e sinceri, per sostenere la forza morale del diritto, per cercare il bene comune e per esortare i Governi, la società civile e l'opinione pubblica a trovare le cause e a offrire soluzioni alle crisi di ogni tipo”.
Ciò deve avvenire “in stretta collaborazione e solidarietà con le popolazioni colpite e mettendo al di sopra di tutto l'integrità e la sicurezza di tutti i cittadini”, ha affermato il presule.
In questo senso, monsignor Mamberti ha voluto ricordare “la lunga storia, in genere di successo, delle operazioni di mantenimento della pace (peacekeeping) e le iniziative più recenti di costruzione della pace (peacebuilding)”.
Queste iniziative, ha aggiunto, “possono offrire esperienze preziose per concepire modelli per mettere in atto la responsabilità di difendere, nel pieno rispetto del diritto internazionale e degli interessi legittimi di tutte le parti coinvolte”.</p>