di Antonio Gaspari
ROMA, sabato, 24 settembre 2011 (ZENIT.org).- Si è svolto questo sabato presso il Convento San Francesco di Firenze, la giornata di studio “I Francescani e l’Unità d’Italia”
L’incontro, che ha suscitato un certo interesse, è stato organizzato dalla Provincia Toscana di S. Francesco Stimmatizzato dei Frati Minori e dalla Scuola Superiore Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma.
Nonostante le tante pubblicazioni e giornate di studio organizzate in occasione del 150° dell’Unità d’Italia infatti, si sa molto poco del contributo degli ordini religiosi al processo che realizzò la fondazione dello Stato italiano.
Ragioni diverse hanno impedito finora un vero e proprio approfondimento storico e limitato la pubblicazione di testi relativi a questa parte così interessante dell’Unità d’Italia.
Per cercare di comprendere l’importanza e la profondità di questo contributo, ZENIT ha intervistato il professor Mario Tosti del Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione Università degli Studi di Perugia, nonché primo relatore alla giornata di studi.
Quale fu il contributo dei religiosi all’Unità d’Italia?
Tosti: La storiografia liberale risorgimentale ha più volte sottolineato il contributo del clero e dei religiosi alle battaglie risorgimentali; ha, per esempio, riferito in modo dettagliato dei religiosi che nel Meridione appoggiarono l’impresa di Garibaldi, oppure di quei preti e frati che si misero alla testa delle insurrezioni contro il vecchio regime. Senza sottovalutare l’adesione alle idee liberali manifestate all’interno di alcuni ordini, in particolare Scolopi e Barnabiti, in realtà si tratta di una posizione che intendeva esaltare il contributo dei singoli, la cui posizione spesso era piuttosto la conseguenza del disordine dei tempi, per far emergere e deprecare la posizione della gerarchia, schierata invece in modo compatto non contro l’Unità ma piuttosto contro la Rivoluzione, erede dello spirito dell’Ottantanove.
Come si comportarono i religiosi di fronte alla legge Rattazzi che abolì i loro ordini, che espropriò i conventi, sfrattando sacerdoti e consacrati.
Tosti: La vicenda delle soppressioni degli ordini religiosi, con le sgradevoli conseguenze e le code di soprusi e sopraffazioni ha pesato notevolmente sul giudizio della storiografia religiosa nei confronti del processo di unificazione nazionale; del resto è sufficiente prendere in mano i molti volumi pubblicati da parte degli storici ed eruditi dei vari ordini e congregazioni per verificare il disappunto, le lamentazioni, per una requisizione che andava a profanare chiese e chiostri e che disperdeva un patrimonio di cultura e di storia che aveva contribuito a costruire il profilo urbanistico, il tessuto economico, insomma l’identità stessa delle città. Alcuni abbandonarono la vita consacrata, altri preferirono scegliere la via delle missioni estere; comunque, dopo l’ iniziale sbandamento, i vertici degli ordini religiosi invitarono gli stessi a ricostituire le compagnie, presentandosi alle aste e ricomperando i conventi, oppure affittando locali per continuare a vivere comunitariamente. Quasi subito iniziò una ripresa e una riorganizzazione, spesso con l’aiuto determinante della popolazione, che in alcuni casi protestò vivacemente per la profanazione di chiese e conventi.
Nonostante le ingiustizie e le vessazioni, i religiosi al sud e al mord continuarono a svolgere opere di carità con assistenza ai malati, ai poveri, ai bambini, alle donne, è vero?
Tosti: Certamente. La ripresa anche negli anni immediatamente successivi alla soppressione fu notevole, con differenze notevoli tra nord e sud; nel nord, della Penisola, data l’interpretazione moderata delle leggi soppressive, si ha un riassestamento degli istituti religiosi già esistenti e un deciso sviluppo di quelli di recente fondazione;al sud, invece, si registra una marcata flessione nei primi due decenni dopo l’unità. La tendenza alla crescita degli istituti di fondazione ottocentesca è da vedere tra l’altro come il risultato di una risposta a una domanda sociale e religiosa, poiché se è vero che nell’Ottocento si aggrava e si rende più profondo il distacco tra Chiesa e mondo moderno, tra Chiesa e vita, si deve sottolineare che è proprio sul terreno dell’assistenza che tale frattura viene in parte superata. La carità cristiana si trovò da una parte a tutelare alcuni vecchi bisogni assoluti che le nuove forme di sicurezza sociale erano portate a trascurare, mentre dall’altra la sua capillare organizzazione la metteva continuamente in contatto con le nuove povertà prodotte dal progresso. In questo ambito si collocano le grandi opere della fine del secolo XIX, realizzate per avviare e sostenere i giovani nei mestieri e nelle fabbriche e per soccorrere gli esclusi e gli abbandonati dalla società lavorativa e progredita: dai malati cronici agli emigranti, dai disoccupati, alle donne schiacciate da una società lavorativa maschilista e sfruttatrice.
Perché il nascente Stato italiano si accanì così ferocemente contro i religiosi?
Tosti: La legge del 7 luglio1866 era una norma che toglieva agli «ordini… corporazioni… congregazioni religiose regolari e secolari… conservatori e ritiri» ogni riconoscimento dello Stato, attribuiva ai loro membri la pienezza dei diritti civili e politici, devolveva allo Stato tutti i beni degli enti «soppressi»; assegnava ai religiosi e alle religiose di voti solenni che ne facessero richiesta una pensione, diversa secondo l’età e la natura dell’istituto. Appare chiaro l’intento non di colpire la religione, che anzi restava un elemento fondante dell’identità della nuova nazione, ma il nuovo Stato aveva bisogno di denaro e questa fu una delle vie privilegiate per riempire le casse. Si riteneva poi che i beni della manomorta condizionassero la vita dello stato economicamente e politicamente. Questa era stata comunque la strada seguita dalle borghesie europee in ascesa a partire dalla metà del Settecento con le politiche giurisdizionaliste e giuseppiniste dei sovrani illuminati, fu anche la strada della Rivoluzione francese e sarà la strada italiana. Sarebbe poi troppo lungo in questa sede approfondire gli aspetti finanziari e agrari delle cosiddette leggi eversive come anche valutare l’incidenza di tali provvedimenti nelle dinamiche socio-economiche connesse alla formazione dei patrimoni all’interno delle città italiane.