CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 13 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento pronunciato il 10 novembre dall’Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla plenaria, sull’item 49: cultura della pace.
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Presidente,
innanzitutto la mia delegazione desidera congratularsi con il Segretario Generale per il suo rapporto, che evidenzia le attività svolte da organismi chiave delle Nazioni Unite impegnati nel campo del dialogo interreligioso e interculturale.
La questione della religione e il contributo delle religioni alla pace e allo sviluppo sono riemersi nelle Nazioni Uniti negli ultimi anni perché sono divenuti urgenti e ineludibili nell’opinione del mondo. Un secolo e mezzo fa, all’inizio della rivoluzione industriale, la religione era descritta come «l’oppio dei popoli». Oggi, nel contesto della globalizzazione, è sempre più considerata la «vitamina dei poveri».
Il contributo unico delle religioni e il dialogo e la cooperazione fra di esse fanno parte della loro raison d’être che consiste nel servire la dimensione spirituale e trascendente della natura umana. Parimenti tendono a elevare lo spirito, a tutelare la vita, a conferire forza ai deboli, a tradurre ideali in azione, a purificare le istituzioni, a contribuire a sanare le ineguaglianze economiche e non economiche, a ispirare i loro responsabili ad andare oltre il normale senso del dovere, a permettere alle persone di ottenere una realizzazione maggiore del loro potenziale naturale e a contrastare situazioni di conflitto attraverso la riconciliazione, i processi di ricostruzione post-conflitto e la guarigione di memorie segnate dall’ingiustizia.
È ben noto che nel corso della storia individui e leader hanno manipolato le religioni. Parimenti, movimenti ideologici e nazionalistici hanno colto le differenze religiose come un’opportunità per ottenere sostegno per le loro cause. Di recente, la manipolazione e il cattivo uso della religione a scopi politici hanno sollevato dibattiti e prodotto deliberazioni alle Nazioni Unite su questo tema, inserendolo nel contesto dei diritti umani.
Infatti, il dibattito nelle Nazioni Unite sul ruolo delle religioni si svolge già da un po’ di tempo ormai e la necessità di una visione coerente di questo fenomeno e di un approccio adatto a esso è profondamente sentita. La mia delegazione vorrebbe offrire alcune considerazioni sulla questione al fine di contribuire a un’interazione appropriata ed efficace della religione e delle religioni con gli obiettivi e le attività delle Nazioni Unite.
Il dialogo interreligioso o fra diverse fedi, volto a studiare i fondamenti teologici e spirituali delle differenti religioni in vista di una comprensione e di una cooperazione reciproche, sta diventando sempre più un imperativo, una convinzione e uno sforzo concreto fra molte religioni.
Sono lieto di ricordare qui il ruolo guida assunto dalla Chiesa cattolica, circa quarant’anni fa, nel rivolgersi alle altre tradizioni religiose, con la promulgazione del documento conciliare Nostra Aetate. Oggi, molte denominazioni cristiane e altre religioni sono impegnate nel dialogo con programmi propri e in tal modo hanno continuato a fare progressi nella maggiore comprensione reciproca. A questo proposito, la Santa Sede ha realizzato una serie di iniziative per promuovere il dialogo fra denominazioni cristiane, con credenti ebrei, buddisti e hindu. Più di quaranta anni fa è stato creato un Consiglio per il Dialogo Interreligioso e più di recente è stata presa un’iniziativa, la prima del suo genere, con i rappresentanti del 138 firmatari musulmani del documento Una Parola Comune tra Noi e Voi. Questo impegno mira a promuovere maggiore rispetto, comprensione e cooperazione fra credenti di varie denominazioni, a incoraggiare lo studio delle religioni e a promuovere la formazione di persone che si dedichino al dialogo.
Questo tipo di dialogo teologico e spirituale richiede che sia condotto da e fra credenti e adotti una metodologia appropriata. Nello stesso tempo, offre una premessa e una base indispensabili per quella cultura di dialogo e di cooperazione molto più ampia che varie istituzioni accademiche, politiche, economiche e internazionali hanno avviato negli scorsi decenni.
Recenti eventi sociali e politici hanno rinnovato l’impegno delle Nazioni Unite a integrare le loro riflessioni e la loro azione volte all’affermazione di una cultura di rispetto con una sollecitudine specifica per la comprensione interreligiosa. I protagonisti di questo dialogo sono Stati membri nella loro interazione con la società civile. Il loro approccio e la loro metodologia scaturiscono dalla missione e dallo scopo stessi delle Nazioni Unite.
Tuttavia, avendo in mente lo spirito e la lettera della Carta delle Nazioni Unite nonché degli strumenti giuridici più importanti, è giusto affermare che la responsabilità specifica e primaria delle Nazioni Unite vis-à-vis la religione consiste nel discutere, spiegare e aiutare gli Stati a garantire pienamente, a tutti i livelli, la realizzazione del diritto alla libertà religiosa, come affermato nei pertinenti documenti delle Nazioni Unite, che includono il pieno rispetto e la promozione non solo della fondamentale libertà di coscienza, ma anche della libertà di espressione e di pratica della religione di ognuno, senza restrizioni.
Infatti, l’obiettivo e lo scopo definitivi delle Nazioni Unite nella ricerca della comprensione e della cooperazione interreligiose è quello di riuscire a impegnare gli Stati nonché tutti i segmenti della società umana a riconoscere, rispettare e promuovere la dignità e i diritti di ogni persona e di ogni comunità nel mondo.
Grazie, Presidente.
[Traduzione del testo originale in inglese a cura de “L’Osservatore Romano”]