ROMA, giovedì, 8 settembre 2011 (ZENIT.org).- “Il gioco che si svolge negli oratori può essere la chiave per insegnare e praticare il Vangelo”.
Lo ha sottolineato don Marco Mori, Presidente del Forum degli Oratori Italiani (FOI), nel corso di un intervento di questo martedì al Congresso Eucaristico Nazionale che si sta svolgendo ad Ancona.
“Quando si pensa al gioco nei nostri ambienti – ha spiegato don Marco - c’è il rischio di un approccio soltanto teorico: cioè si riconosce la validità di un discorso sul gioco di stampo pedagogico, psicologico, sociologico e via dicendo, ma poi non si gioca. In pastorale non si gioca, o più precisamente il gioco è 'sopportato', a tratti banalizzato, ritenuto al massimo un riempitivo dell’azione pastorale”.
Secondo il Presidente del FOI, bisogna uscire da un’ambiguità pastorale che considera il gioco solo come una premessa.
“Invece - ha sottolineato don Marco - 'Gioco e Vangelo' dice un’altra cosa: la concretezza del gioco dentro l’annuncio del Vangelo, nella scoperta di Gesù e nella costruzione di una comunità cristiana”.
Per il presidente del FOI, “è possibile che il gioco diventi via di evangelizzazione”.
Don Marco ha precisato che il gioco non è il primo mezzo per evangelizzare, ma di certo permette “a noi e ai nostri ragazzi di scoprire di più il Signore Gesù”.
“Non se aiuta i ragazzi ad andare a Messa – ha sottolineato -, ma se li aiuta a respirare la logica del Vangelo perché da questa nasca la voglia di continuare ad alimentarsi di questa esperienza anche con altre azioni, compresi i sacramenti, allora va bene”.
Il sacerdote si è detto abbastanza convinto che il gioco possieda questa capacità e che, nella pratica, gli oratori agiscano bene in questa direzione.
Don Marco ha quindi indicato alcuni punti che fanno del gioco un grande strumento di educazione alla vita e al Vangelo.
“Il gioco è forse rimasto una delle poche attività che accomuna la gente, che fa sentire le persone realmente insieme, che permette di dimenticare differenze e distanze e di costruire una logica di rispetto comune”.
Il gioco fa riferimento a valori come la gratuità, la libertà, la totalità, la corporeità. Non si costringe nessuno a giocare, come ad ascoltare il Vangelo, ma se si vuole giocare (e ascoltare il Vangelo) bisogna mettercela tutta, a livello di testa e di muscoli, di cuore e di intelligenza.
Il gioco non produce immediatamente risultati visibili, ma può produrre beni urgenti e necessari per la vita, come l’accoglienza, la relazione, lo stare bene insieme. Permette una reale centralità dei piccoli, perché è fatto a loro misura e obbliga i grandi a mettersi in ascolto.
Per don Marco, il gioco è anche “una grande scuola educativa per l’oratorio perché permette, nella sua semplicità e immediatezza, di toccare anche gli aspetti più concreti della vita e dell’educazione: sporcarsi le mani con alcune dimensioni più prosaiche dei nostri ragazzi, come la rivalità, la competizione, la gestione delle emozioni…”
Il Presidente del FOI ha concluso il suo intervento ricorrendo a due citazioni.
La prima riguarda S. Giovanni Bosco. Nella Lettera da Roma del 10 maggio 1884 viene descritta dal Santo educatore una situazione surreale, in cui in oratorio c’è meno felicità di un tempo. Eppure ci sono molte più competenze educative, ci sono molti più ragazzi. Cosa manca? La ricreazione! Più precisamente, il fatto che gli educatori si giochino con i ragazzi non solo nei momenti di insegnamento formali, ma in quelli informali. La ricreazione appare come il luogo di ascolto e di rivelazione della ricerca sincera del bene delle anime. Lì si vede se sei educatore solo per mestiere o anche per vocazione. Chi non gioca con i suoi ragazzi non li conosce né li ama.
La seconda citazione riporta all’insegnamento di Giovanni Paolo II. Nell’udienza durante il Grande Giubileo del 2000 alla FIFA (11 dicembre 2000), il Papa disse: “Avete scelto come vostro motto 'Per il bene del gioco'. Senza dubbio il bene del gioco può essere anche una parte importante del bene del mondo!”.
“Esattamente come l’Eucaristia - ha concluso don Marco -, che è uno dei beni più preziosi che abbiamo. Ma non è mai scontata la possibilità di vedere e gustare il bene, perché va coltivata e fatta scoprire, sempre educata: anche il gioco può fare la sua parte di bene”.