di Padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 4 settembre 2011 (ZENIT.org).-Nel periodo di tre anni conclusosi a metà del 2009 si è registrato un significativo inasprimento delle restrizioni sulle religioni in molti Paesi. È questa la conclusione di un recente rapporto pubblicato dal Forum sulla religione e la vita pubblica, del Pew Research Center.
Lo studio prende in esame la situazione di 198 Paesi e ne da una valutazione sulla base di 33 indicatori. Le fonti d’informazione utilizzate variano da rapporti di agenzie USA, di centri di ricerca privati e di organizzazioni per i diritti umani.
Tra la metà del 2006 e la metà del 2009 le restrizioni sono aumentate in 23 Paesi. In 12 Paesi sono diminuite, mentre per il resto vi sono state scarse variazioni.
I risultati sembrerebbero peggiori a prima vista, perché alcuni Paesi che figurano aver inasprito le restrizioni hanno una popolazione molto elevata. Infatti, quasi un terzo della popolazione mondiale – più di 2,2 miliardi di persone – vivono in Paesi che hanno avuto maggiori restrizioni governative o una maggiore ostilità sociale verso la religione.
Per contro, solo circa l’1% della popolazione globale è stata interessata dalla riduzione nelle restrizioni.
I 25 Paesi più popolosi compongono circa tre quarti della popolazione mondiale. In questo gruppo, le restrizioni sono sostanzialmente aumentate in otto Paesi, mentre nessuno dei 25 Paesi ha riportato una qualche sostanziale riduzione.
In sei degli otto Paesi – Cina, Nigeria Russia, Tailandia, Regno Unito e Vietnam – il peggioramento della situazione è principalmente considerato come esito dei più alti di livelli di ostilità sociale. Mentre in Egitto e in Francia è stato principalmente conseguenza dell’azione di governo.
In Egitto – osserva il rapporto – il Governo ha continuato a tenere al bando la Fratellanza Musulmana. Allo stesso tempo, i cristiani hanno subito discriminazioni in diversi modi, tra cui le maggiori difficoltà a trovare lavoro nel settore pubblico.
Riguardo alla Francia, il rapporto cita eventi come la discussione in Parlamento sul divieto per le donne di indossare il burqa. Inoltre, vi è stata la pressione del Governo sui gruppi considerati delle sette come Scientology.
Nell’insieme vi sono stati 101 Paesi che nell’anno concluso a metà 2009 avevano usato un certo grado di forza contro gruppi religiosi o individui. L’uso della forza varia tra violenze fisiche, ad arresti e distruzione di proprietà. Si tratta di un aumento di 10 Paesi rispetto alla situazione di metà 2008.
Per quanto riguarda le azioni commesse da persone o gruppi, tra metà 2008 e metà 2009, si sono verificate ostilità in 142 Paesi. Un dato che non si discosta molto da quello dell’anno precedente. Tuttavia, le violenze perpetrate dalle folle sono aumentate bruscamente nello stesso periodo, passando da 38 a 52 Paesi.
Regioni
Suddividendo il mondo in regioni risulta che il Medio Oriente e Nord Africa è stata l’area con il maggior numero di Paesi in cui sono aumentate le restrizioni messe in atto dai governi. Secondo il rapporto, sei dei 14 Paesi in cui le restrizioni dei governi sono aumentate in modo sostanziale si collocano in Medio Oriente e Nord Africa: Algeria, Egitto, Libia, Qatar, Siria e Yemen.
Il Pew Center considera l’Egitto tra i Paesi maggiormente restrittivi, sia per le azioni del Governo, sia per l’ostilità sociale. L’altro Paese che ha fatto registrare alti livelli in entrambe le categorie è l’Indonesia.
Tuttavia, la regione maggiormente problematica in termini di ostilità sociale verso la religione è stata l’Europa. Metà dei 10 Paesi in cui è aumentata di più l’ostilità sociale sono europei: Bulgaria, Danimarca, Russia, Svezia e Regno Unito.
L’Asia si è collocata al secondo posto, grazie agli aumenti delle restrizioni in Cina, Tailandia e Vietnam. La regione con la minore restrizione sia statale che sociale è il continente americano.
Un’altra conclusione a cui giunge il rapporto riguarda la maggiore polarizzazione delle questioni riguardanti la religione. La maggior parte dei Paesi che hanno intensificato i controlli sulla religione o in cui è aumentata l’ostilità sociale, sono quelli che già facevano registrare alti livelli in precedenza. In questo senso, tra i 62 Paesi che già mostravano alti livelli di restrizione o ostilità, in 14 di essi vi sono stati sostanziali aumenti.
Lo stesso è avvenuto dall’altra parte: quasi la metà dei Paesi che hanno fatto registrare decise riduzioni avevano già dei bassi punteggi. Tra i 94 Paesi con bassi punteggi per controlli o ostilità, cinque li hanno ridotti ulteriormente, mentre solo due li hanno aumentati.
Chi sono le vittime?
Per quanto riguarda coloro che maggiormente ne subiscono le conseguenze, il rapporto rileva che sono i cristiani e i musulmani. Nei tre anni precedenti alla metà del 2009, i cristiani hanno riportato problemi il 130 Paesi, mentre i musulmani in 117 Paesi.
Alcuni gruppi più piccoli hanno fatto registrare difficoltà in proporzione al loro numero. Gli ebrei, per esempio, pur essendo meno dell’1% della popolazione mondiale, hanno riportato vessazioni in 75 Paesi.
Altri gruppi che hanno subito soprusi variano dalle fedi più antiche come i sikh e gli zoroastriani, a quelle più recenti come i bahai e i rastafariani. Queste, insieme ad altre religioni tribali e popolari, hanno riportato problemi in 84 Paesi.
Il rapporto evidenzia anche i Paesi che vietano la blasfemia, l’apostasia o la diffamazione della religione. Mentre in teoria questi divieti si pongono come una necessaria tutela della religione, nella pratica essi sono spesso usati per reprimere minoranze religiose, secondo il rapporto.
D’altra parte, il rapporto nota anche che talvolta è la religione il problema. Nei tre anni considerati, i gruppi terroristi di stampo religioso sono stati attivi almeno in 74 Paesi.
Nella metà di questi Paesi i gruppi terroristici hanno messo in atto violenze tra cui rapimenti, distruzioni di proprietà e uccisioni. Un Paese particolarmente affetto è stata la Russia, con oltre 1.100 morti conseguenti ad attentati terroristici di base religiosa nel biennio precedente alla metà del 2009.
Fondamentale
L’importanza di tutelare la libertà religiosa è stata ribadita qualche mese fa dall’arcivescovo Silvano Tomasi, rappresentante permanente della Santa Sede presso gli Uffici di Ginevra delle le Nazioni Unite.
“Al cuore dei diritti umani fondamentali vi è la libertà di religione, di coscienza e di credo: essa incide sull’identità personale e sulle scelte fondamentali, e rende possibile il godimento degli altri diritti umani”, ha detto in un discorso pronunciato il 2 marzo durante la 16° sessione ordinaria del Consiglio per i diritti umani sulla libertà religiosa.
Monsignor Tomasi ha lamentato l’aumento nei conflitti religiosi negli ultimi tempi e ha citato un rapporto pubblicato lo scorso anno dall’organizzazione privata Aiuto alla Chiesa che soffre, da cui risulta che per ogni 100 persone uccise per odio religioso, 75 sono cristiane.
Ha fatto appello ai Governi perché svolgano il loro dovere di difendere la libertà religiosa e ha sostenuto che non fare questo mina la stessa democrazia. È chiaro – ha affermato monsignor Tomasi – che questa libertà è legata alla libertà d’opinione, di espressione e di assemblea.
In conclusione ha affermato che “lo Stato ha l’obbligo etico e giuridico di sostenere e rendere applicabile il diritto alla libertà di religione o convinzione, sia perché è un diritto umano fondamentale, sia perché è suo dovere difendere i diritti dei suoi cittadini e di cercare il benessere della società”.
Una libertà troppo spesso negata o persino attivamente ostacolata da chi invece dovrebbe difenderla.