Card. Bagnasco: non “confessionali” le scelte dei credenti in politica

Lectio magistralis alla summer school della fondazione Magna Carta

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ROMA, domenica, 4 settembre 2011 (ZENIT.org).- Le prese di posizione dei credenti in ambito pubblico su temi sensibili riguardanti la visione etica cristiana non sono frutto di scelte confessionali ma poggiano sulla ragione e mirano alla difesa dell’uomo. E’ quanto ha detto questa domenica sera il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI, nella lectio magistralis svolta a Frascati alla summer school promossa dalla fondazione Magna Carta e dall’associazione Italia Protagonista.

“Si potrebbe pensare – ha dichiarato il porporato – che nell’epoca del pluralismo culturale sia arrogante giudicare gli eventi della storia con la verità del Vangelo, che sia un atteggiamento di intellettuale fondamentalismo, specialmente in politica. Ci si chiede se la verità morale, legata a una scelta religiosa, possa ispirare l’ordinamento civile valido per tutti”.

Per il porporato, “se è gravemente ingiusto tradurre in termini di ordinamento pubblico certe scelte esclusivamente etico-religiose, è scorretto ridurre ogni posizione assunta dai credenti a scelta ‘confessionale’ e quindi individuale e privata”.

Infatti, al giorno d’oggi, ha affermato il Cardinale Bagnasco, c’è chi “vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni sua parola viene giudicata come un’ingerenza nelle questioni pubbliche e politiche. Vorrebbe che rimanesse in sacrestia. La preghiera – si pensa – in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti”.

Forse “si vorrebbe che l’annuncio di Cristo fosse un messaggio spiritualista talmente celeste da non disturbare la terra, ma così non può essere, perché il cristianesimo è la religione dell’Incarnazione” ed è aperto “a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza”.

“E’ singolare, però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza – ha aggiunto il Presidente della CEI –. I Pastori, poi, si vorrebbe che tacessero salvo che dicano cose gradite alla cultura che appare dominante perché ha potere di parola; in caso diverso, spesso si grida all’ingerenza”.

“Francamente – ha ammesso il Cardinale – , mi sembra che si usino due pesi e due misure”. Ma il punto centrale è “il dovere della Chiesa a dire ciò che deve perché l’umano non scompaia dal mondo, e perché la società non diventi dei forti e dei furbi, cioè disumana”.

Così “certi valori – come nel campo della vita e della famiglia, della concezione della persona, della libertà e dello Stato – anche se sono illuminati dalla fede, sono anzitutto bagaglio della buona ragione” e per questo sono detti “non negoziabili”.

“Si dice – ha continuato – che la politica è l’arte della mediazione: è vero per molte cose, e speriamo che si raggiungano sempre le mediazioni migliori, ma vi sono dei principi primi che qualunque mediazione distrugge”.

Allo stesso tempo, la visione etica legata alla fede cristiana “non è qualcosa di esclusivamente cristiano in senso particolaristico, ma piuttosto la sintesi delle grandi intuizioni etiche del genere umano. Essa non è un onere pesante riservato ai cristiani, bensì la difesa dell’uomo contro il tentativo di pervenire alla sua eliminazione”.

Per questo “la morale è la liberazione dell’uomo e la fede cristiana è l’avamposto della libertà umana”.

In realtà, ha concluso, “ci sono valori per i quali vale la pena di morire, poiché una vita comprata a prezzo di tali valori poggia sul tradimento delle ragioni del vivere, ed è pertanto una vita annichilita nella sua stessa sorgente. E dove non c’è nulla per cui valga la pena di morire, là è difficile anche vivere”.

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ZENIT Staff

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