“La dignità del lavoro e dell’economia chiede un salto di qualità”

Si è aperto a Castel Gandolfo il convegno delle Acli su “Il lavoro scomposto”

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di Chiara Santomiero

ROMA, giovedì, 1° settembre 2011 (ZENIT.org).- “In Italia tra il 2008 e il 2010 il tasso di occupazione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni è sceso di oltre 5 punti percentuali. Prima della crisi quasi il 31% dei giovani con contratto temporaneo passavano l’anno successivo a un lavoro a tempo indeterminato. Due anni dopo, nel 2010, tale percentuale è scesa a poco più del 22%”. E’ partita da una lettura di dati drammatici sull’occupazione la relazione del presidente delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), Andrea Olivero, in apertura dei lavori del convegno “Il lavoro scomposto. Verso una nuova civiltà dei diritti, della solidarietà e della partecipazione” iniziato il 1° settembre al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo.

Davanti ai grandi cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro negli ultimi decenni – dalla globalizzazione alla finanziarizzazione del mercato, dalle nuove tecnologie alla società della conoscenza, dalla Rete ai nuovi soggetti – le Acli, nate nel 1944 per promuovere il lavoro e i lavoratori, dedicano il consueto incontro di studi annuale a come affrontare tali cambiamenti e i problemi della rappresentanza del mondo del lavoro che essi comportano.

I giovani, secondo Olivero, dagli “indignados” di Spagna e Grecia ai “tumultuosi” che hanno sconvolto l’Inghilterra, “sono la ‘cattiva coscienza’ di un modello di sviluppo avvitato su se stesso, incapace di visione e di innovazione”. La questione generazionale, infatti “trova proprio nel lavoro, nel lavoro che non c’è, nel lavoro precario, nel cattivo lavoro la sua sfida più difficile”.

Il lavoro difficile

Eloquenti i dati forniti dall’Iref, l’istituto di ricerca delle Acli: in Italia quasi un lavoratore su quattro – il 23% – ha un’occupazione non standard, cioè non a orario pieno e non a tempo indeterminato. A tempo parziale è soprattutto il lavoro femminile: 1 milione e 800 mila part timers. Tra i lavoratori atipici, i giovani rappresentano il 39%. A livello europeo l’Italia fa parte del gruppo di paesi nei quali i disoccupati di lunga durata, cioè da almeno 24 mesi, superano il 45% del totale dei disoccupati. Non si tratta solo del Mezzogiorno: nel Nord-Est dal 2002 al 2007 la disoccupazione di lunga durata è passata dal 17 al 31,4% (nel 2008 è scesa al 29%).

“Parenti stretti” dei disoccupati di lungo corso – affermano i ricercatori dell’Iref – sono quella quota di inattivi che vengono definiti “scoraggiati” cioè individui disponibili a lavorare ma che il lavoro hanno smesso di cercarlo perché sfiduciati rispetto alla possibilità di trovarlo davvero. Se a livello europeo questo dato oscilla intorno al 4%, in Italia è più del doppio e tra il 2009 e il 2010 è cresciuto di quasi un punto percentuale, arrivando al 10%. Tradotto in numero di persone questo significa che gli scoraggiati rappresentano 1 milione e mezzo di persone, concentrate in gran parte nelle regioni meridionali.

A 30 anni dalla Laborem exercens

“In questo contesto – ha proseguito Olivero – occorre riaffermare con coraggio, secondo le parole dette da Benedetto XVI ai giovani della Gmg di Madrid, che l’uomo deve essere al centro dell’economia, perché nella crisi economica si vede cosa accade quando un’economia solo mercantile ha dimenticato l’etica”.

“Nel trentennale della Laborem exercens che ha provocato il confronto odierno – ha spiegato Olivero – le Acli intendono riandare alla svolta che essa segnò nella vicenda della dottrina sociale della Chiesa con la definitiva affermazione del primato dell’uomo sull’economia e dunque del lavoro sul capitale”. Per dire che “le res novae

che si affacciano nel mondo del lavoro non solo ci inquietano, come tutti, ma ci provocano a riandare alla perenne novità del Vangelo e del suo messaggio di speranza. Non facile, non illusoria, non ingannevole”. “Il magistero sociale della Chiesa – ha affermato Olivero – è per le Acli la via storica e concreta per vivere questa novità, non riducibile a nessuno schema ideologico”.

Per i giovani e le famiglie

Tre gli obiettivi indicati dal presidente delle Acli per combattere la crisi economica e “riuscire a generare fiducia nel futuro”: dare continuità al “modello italiano di welfare”, correggendolo ma senza smantellarlo; aprire nuovi spazi per i giovani nell’accesso al lavoro; garantire una più equa distribuzione della ricchezza nel Paese – oggi la differenza tra lo stipendio medio di un dirigente e la paga di un operaio è di 356 euro al giorno –, sostenendo in particolare le famiglie e i redditi da lavoro”.

In particolare le Acli propongono, sulla scia del recente accordo firmato dalle parti sociali e da diversi soggetti del mondo delle imprese su “Azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro” che “prenda finalmente corpo una nuova visione del diritto e delle politiche associate al lavoro che punti all’obiettivo di una crescita economica sostenibile, che tenga conto della famiglia, della cura di bambini e anziani”.

“Le Acli – ha affermato Olivero –, in stretta sinergia con il Forum delle Associazioni familiari, si battono quindi per maggiore flessibilità e garanzie nelle astensioni facoltative dei genitori, nell’introduzione di forme di orario di lavoro flessibile e family friendly, di sostegno fiscale alle imprese che favoriscono l’occupazione femminile, di diminuzione dei costi per i servizi di cura attraverso l’adozione del voucher universale”. Si tratta di “aspetti parziali, ma utili nel loro insieme per cambiare le concrete condizioni di vita delle famiglie italiane”.

Promuovere il lavoro

“La dignità del lavoro e dell’economiaha ribadito il presidente delle Acli ai 500 partecipanti al convegno di Castel Gandolfo, rappresentanti di oltre 986 mila iscritti appartenenti a 8.100 strutture territoriali – chiede un salto di qualità, culturale e politico, che parta dall’analisi di quel che c’è, da un realismo virtuoso e capace di visione”.

Allora promuovere il lavoro e stare accanto ai lavoratori “quelli che vivono la precarietà, la mancanza del lavoro, l’esperienza dell’erosione del suo senso”, combattere la povertà “da lavoro”, colmare l’assenza di un progetto di vita, ricomporre, infine, il lavoro come esperienza integralmente umana: “questo – ha concluso Olivero – è il dovere e l’impegno a cui ci chiama il nostro tempo”.

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ZENIT Staff

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