KÖNIGSTEIN (Germania), venerdì, 22 luglio 2011 (ZENIT.org).- L’associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) piange la morte del Cardinale bielorusso Kazimierz Świątek, morto questo giovedì all’età di 96 anni.
Nato il 21 ottobre 1914 in una famiglia polacca di Valga (Estonia), perse il padre all’età di 6 anni, quando questi morì nel corso della guerra tra la Polonia e l’ex URSS mentre difendeva la città di Vilnius dai bolscevichi. La madre venne deportata con i figli in Siberia, tornando nel 1922. A 18 anni, Kazimierz entrò nel seminario maggiore di Pinsk, che allora era in territorio polacco, e venne ordinato sacerdote l’8 aprile 1939, poco prima dell’inizio della II Guerra Mondiale.
Nell’aprile 1941, quando era un giovane cappellano, venne arrestato dalla NKWD (predecessore della KGB) e condannato a morte. Per due mesi rimase recluso in un accampamento di Brest insieme ad altri 7.000 polacchi. Dopo l’attacco della Germania all’Unione Sovietica venne rimesso in libertà, e fino alla fine dell’occupazione tedesca lavorò come parroco a Pruzana.
Quanto il territorio venne occupato dall’Armata Rossa, Świątek sapeva che la Chiesa sarebbe stata perseguitata, ma decise di restare. Nel dicembre 1944 venne nuovamente arrestato, e nel luglio 1945 fu condannato per la sua fedeltà alla Chiesa a dieci anni di lavori forzati nei campi di Maryinsk e Workuta.
Nel 1954, dopo la morte di Stalin, recuperò la libertà e divenne parroco a Pinsk. In seguito alla caduta della Cortina di Ferro, venne nominato nel 1991 da Papa Giovanni Paolo II Arcivescovo di Minsk-Mohilev e Amministratore Apostolico di Pinsk, e nel 1994 Cardinale. Nel 2006, a 92 anni, si era ritirato.
In un’intervista rilasciata ad ACS, il Cardinale aveva ricordato il tempo in cui rimase nei gulag: “Lavoravamo con temperature fino a 40 gradi sotto zero abbattendo alberi, e dormivamo in 300 in una semlanka (una cavità nella terra) coperta in qualche modo, senza luce e senza niente. Ci dicevano che non valevamo neanche un proiettile, perché lì saremmo morti ad ogni modo, e fino a quel momento almeno potevamo lavorare”.
“Dopo tre anni, ancora vivo, mi mandarono a Workuta, dove l’inverno dura 12 mesi all’anno”.
In quell’intervista il Cardinale riferì ad ACS che quando recuperò la libertà il sacerdote più vicino viveva all’est, in Alaska. Egli stesso era l’unico sacerdote della sua Diocesi ad essere sopravvissuto alla persecuzione sovietica dei cristiani. Ufficialmente non c’erano parrocchie, e i credenti che si recavano in chiesa subivano rappresaglie. “Sì, ci chiamavano ‘la Chiesa del silenzio’, e molti in Occidente pensavano che non esistessimo più, ma noi vivevamo nelle catacombe, ed è lì che è sopravvissuta la nostra Chiesa”.
Per il Cardinale Świątek, la devastazione provocata dal comunismo nell’animo della gente è stata una prova ancor più dolorosa dei campi di lavoro. Peggiore del fatto che il 90% delle chiese bielorusse fosse stato distrutto dai sovietici era la terribile influenza dell’educazione atea.
Visto che ampie zone della sua Diocesi sono state interessate dall’incidente nucleare di Chernobyl, il porporato definiva l’influenza dell’indottrinamento comunista “Chernobyl delle anime”, e sottolineava che rianimare la vita della Chiesa nel territorio dell’ex Unione Sovietica implicava innanzitutto la “ricostruzione delle anime”.
Dopo la caduta della Cortina di Ferro chiese ad Aiuto alla Chiesa che Soffre sostegno per la realizzazione di molti progetti, tra i quali il ripristino del seminario maggiore di Pinsk e il restauro della Cattedrale di Minsk.
Il Cardinale era amico del fondatore di ACS, padre Werenfried van Straaten, anche se i due vedevano in modo diverso il necessario rinnovamento religioso: per padre Werenfried la conversione dell’Occidente materialista doveva precedere la conversione dell’Oriente devastato dal comunismo, mentre per il porporato l’Oriente avrebbe convertito l’Occidente.
Ad ogni modo, condividevano la visione della crisi spirituale dell’Occidente e della devastazione provocata dalla propaganda atea in Oriente. Rimasero amici fino alla morte di padre Werenfried, avvenuta il 31 gennaio 2003. L’anno dopo il Cardinale, che non aveva potuto partecipare al funerale dell’amico, si recò a Königstein im Taunus per visitarne la tomba.