La meravigliosa parabola del grembo

Vangelo della XV Domenica del Tempo Ordinario

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di padre Angelo de Favero*

ROMA, venerdì, 8 luglio 2011 (ZENIT.org).- “Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti”.

Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti, a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.” (Mt 13,1-23).

In riva al mare..tanta folla..sulla spiaggia” (Mt 13,1): ecco una fotografia che oggi Matteo sembra avere scattato in una delle tante località nostrane di vacanza “in riva al mare”, non quello di Galilea, ma..tra i nostri ombrelloni.  

L’accostamento non è banale, poiché il contesto pubblico della parabola evangelica del seminatore, del seme e del terreno, per certi aspetti, non era allora molto diverso da quello di oggi: una moltitudine di folla per lo più deconcentrata, distratta e superficiale.

Certo, nel quadro di Matteo non ci sono i p.c., né le radioline, e le persone sono tutte vestite, ma, pur lontanissimi dalle mondanità menzognere dei nostri litorali, i contemporanei di Gesù sono anch’essi in una grande ignoranza, poiché non capiscono che il Signore non è il taumaturgo venuto per guarire le malattie del corpo, né il liberatore politico atteso da molti in Israele.  

Con tutta probabilità, Gesù è consapevole di questo clima confuso che lo circonda mentre sale sulla barca per parlare alla gente; vale a dire che anche per Lui, la profezia che Matteo cita da Isaia (“Udrete, sì, ma non comprenderete; guarderete, sì, ma non vedrete” – Mt 13,14), più che significare una punizione per la denunciata durezza dei cuori, riconosce il limite oggettivo ed incolpevole dei sensi umani quando sono posti a tu per tu col Mistero di Dio (il Signore spiega infatti ai discepoli: “perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” – Mt 13,13 – come a dire: non lo possono).

La gente guardava la figura di Gesù, ma come poteva “vedere” in Lui il Figlio del Padre? udiva chiaramente la sua voce forte e dolce, ma come poteva “comprendere” quel mistero del Regno di Dio che solo nel giorno di Pasqua si sarebbe manifestato con sfolgorante chiarezza?

Se non fosse venuto lo Spirito, il mondo e la Chiesa non avrebbero mai capito che la vicenda di quell’ebreo di Nazaret, crocifisso, era più che una questione di provincia, storicamente priva di interesse. Essa era, anzi, davvero incomprensibile” (H.U.V.Balthasar, Tu coroni l’anno di grazia, p. 103).

Per questo, dunque, Gesù  “parlava loro con parabole” (Mt 13,10): per introdurli nella comprensione del suo Mistero.

Lo spiega, magistralmente, Benedetto XVI:

“..ogni educatore, ogni maestro che vuole comunicare nuove conoscenze a chi lo ascolta si servirà sempre anche dell’esempio della parabola. Per mezzo dell’esempio egli avvicina al pensiero di coloro a cui si rivolge, una realtà che fino a quel momento si trova fuori del loro campo visivo. Vuole mostrare come, in una realtà che fa parte del loro campo di esperienza, traspaia qualcosa che prima non avevano ancora percepito. Mediante le similitudine, egli avvicina loro ciò che è lontano, di modo che, attraverso il ponte della parabola, giungano a ciò che fino a quel momento era loro sconosciuto. (La parabola) deve guidarci al mistero di Dio, a quella luce che i nostri occhi non riescono a sopportare e alla quale, di conseguenza, ci sottraiamo. Affinché essa diventi accessibile per noi, Egli mostra la trasparenza della luce divina nelle cose di questo mondo e nelle realtà della nostra vita quotidiana.(…) Attraverso la vita di tutti i giorni ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza. Ci trasmette una conoscenza impegnativa, che non ci porta solo e anzitutto nuove cognizioni, ma cambia la nostra vita. E’ una conoscenza che ci reca un dono: Dio è in cammino verso di te. Ma è anche una conoscenza che ci chiede qualcosa: credi e lasciati guidare dalla fede. Così la possibilità del rifiuto è molto reale: alla parabola manca la necessaria evidenza. (B. XVI, “Gesù di Nazaret”, prima parte, p. 228-9).

Veniamo allora al nostro tempo.

Il paragone del seme e del terreno da molti anni viene usato nell’insegnamento del Metodo Billings (sulla regolazione naturale della fertilità) per illustrare gli eventi della maternità, in cui il corpo della donna è il campo e il seme è quello che deriva dall’unione con l’uomo.

Prendiamo ora l’affermazione che sottolineo di Papa Benedetto (“Attraverso la vita di tutti i giorni, Dio ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza”) e riferiamola ai primi nove mesi della vita umana, intendendo con “tutti i giorni” l’intero arco della gravidanza, dal concepimento al parto: ebbene, quest’arco prodigioso lo possiamo definire “la meravigliosa parabola del grembo”.

Essa è evidentemente una realtà notissima, ma per coglierne il mistero che traspare non basta di per sé la conoscenza scientifica. Infatti, ai molti che vivono oggi nella presunzione cieca e sorda dell’“inesistenza” di Dio, Egli dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete; guarderete, sì, ma non comprenderete” (Mt 13,14).

E la parabola del grembo è questa: per mezzo degli eventi biologici che riguardano la vita del concepito, da quando Dio la crea in un punto-istante preciso tra le pieghe mucose della tuba uterina, al momento-luogo della sua fusione con la parete materna pochi giorni dopo, al tempo successivo dell’architettura-crescita del corpo del bambino nel grembo fino al parto (cfr il Salmo 139/138), Dio ha voluto rivelare per similitudine la verità divina della vita umana, quale progetto eterno di felicità “in Cristo” (come il figlio nella madre), e libera predestinazione ad essere progressivamente conformati alla “sua immagine” (la crescita di mese in mese), mediante “l’adozione a figli” nella Chiesa, Madre dei credenti (Ef 1,3-5).

Nel Figlio di Maria, infatti, Dio stesso si è fatto Soggetto e Verità della meravigliosa parabola del grembo umano  (Lc 1,26-38).

Il suo messaggio è tale da mostrarci e farci capire qualcosa che è impossibile vedere e comprendere con la sola ragione.

Non si tratta solamente della dignità e del valore divino di ogni vita umana, comunque concepita, ma del lieto annuncio che non esiste ciò che potrei chiamare il “fallimento della vita prima di nascere”, vale a dire l’apparente non-senso dell’esistenza di quei figli che muoiono prematuramente nel grembo, o per causa naturale, o per l’iniqua mano dell’uomo. Lo stesso vale per le innumerevoli morti umane dov
ute alle gelide e perverse tecniche della fecondazione artificiale.

Per il cristiano, infatti, ilfallimentonon è il male maggiore, perché in definitiva, non esiste nemmeno. Chi, infatti, ha fallito la sua vita più del Figlio di Dio Gesù Cristo, crocifisso come un malfattore sul Calvario? Eppure a quelfallimentoè legata la salvezza di tutti noi, quelfallimentoci ha restituiti alla pace di Dio Padre, alla pienezza perduta della vita.

Se accettiamo e vediamo i nostri fallimentiesistenziali nella luce della fede, come partecipazione al Mistero della Morte salvifica di Gesù, essi diventano un prolungamento del suo fallimentoignominioso, diventano suoi, e da essi, come dal grano di frumento che marcisce entro la terra, nasce, per la forza di Cristo Risorto, il molto frutto della Vita eterna.

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione