La vita è un arcobaleno sulle nubi del dolore

Domenica 1 marzo 2009, I Domenica di Quaresima / B

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di padre Angelo del Favero*  

ROMA, venerdì, 20 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: ‘Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo’” (Mc 1,12-15).

A differenza di Matteo e di Luca, l’evangelista Marco non racconta le tentazioni di Gesù, a tu per tu nel deserto con Satana. L’omissione permette a Marco di concentrare in tre parole un carico immane: “tentato da Satana!

Come se il Pronto Soccorso fosse stato avvisato dall’ambulanza in questi termini: “arriviamo con un uomo caduto dal decimo piano”; oppure: “…travolto fino a valle da una valanga”.

L’uomo è dunque avvisato. Non creda di avere a che fare solo con se stesso, e gli altri, nel combattimento spirituale: il solito orgoglio, l’egoismo della natura, la fragilità dei sensi… L’avversario è Satana.

Solamente per “quaranta giorni”? No, i quaranta giorni non sono la durata del combattimento, ma dell’allenamento. Il combattimento dura quanto la vita intera. Ora, nessuno che intenda vincere un avversario lo affronta senza aver cercato di conoscerne la forza, la strategia, le astuzie e i punti deboli.

Perciò, nonostante siano vere queste rassicuranti parole di un monaco esperto: “La Quaresima non è un tempo di castigo, ma di guarigione. V’è senza dubbio gioia e letizia nel digiuno e nell’astinenza del cristiano, il quale mangia e beve di meno affinché la sua mente possa essere più chiara e ricettiva, più pronta ad accogliere il sacro nutrimento della Parola di Dio che la Chiesa annuncia e medita nella liturgia di ogni giorno del periodo quaresimale” (T. Merton, Tempo di celebrazione, p. 97), è necessario ascoltare quelle inquietanti di un altro grande combattente spirituale: il Papa Paolo VI.

Così egli parla di Satana in una catechesi del 15 novembre del 1972: “Il demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. E’ l’insidiatore sofistico dell’equilibrio morale dell’uomo. E’ lui il perfido e astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni.

La nostra dottrina si fa incerta, oscurata com’è dalle tenebre stesse che circondano il demonio. Ma la nostra curiosità, eccitata dalla certezza della sua esistenza molteplice, diventa legittima con due domande. Vi sono segni, e quali, della presenza dell’azione diabolica? E quali sono i mezzi di difesa contro così insidioso pericolo?

La risposta alla prima domanda impone molta cautela, anche se i segni del maligno sembrano talora farsi evidenti. Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente, contro la verità evidente – Eluana! -, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele – Eluana! –, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle, dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito,- Eluana! –  dove la disperazione si afferma come l’ultima parola, ecc..

Altra domanda: quale difesa, quale rimedio opporre all’azione del demonio? Potremmo dire: tutto ciò che ci difende dal peccato, ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La grazia è la difesa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza. E poi ciascuno ricorda quanto la pedagogia apostolica abbia  simboleggiato nell’armatura di un soldato le virtù che possono rendere invulnerabile il cristiano (cfr Rm 13,12; Ef 6,11.14.17; 1Ts 5,8).

Il cristiano deve essere militante; deve essere vigilante e forte; e deve talvolta ricorrere a qualche esercizio ascetico speciale per allontanare certe incursioni diaboliche; Gesù lo insegna indicando il rimedio “nella preghiera e nel digiuno” (Mc 9,29). E l’Apostolo suggerisce la linea maestra da tenere: ‘Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male’” (Rm 12,21; Mt 13,29).

Su questa stessa linea si trova anche il messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2009: “Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannodare l’amicizia con il Signore. Il vero digiuno è finalizzato a mangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre”. 

La prima lettura di oggi traduce e concentra questi pensieri in una sola parola, una sola immagine, quella dell’arcobaleno: “Dio disse: questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra” (Gen 9,12-13).

L’arcobaleno è uno spettacolo meraviglioso, che lascia incantati a guardarlo. E’ significativo il fatto che lo possiamo ammirare solamente sullo sfondo di nubi tanto basse, nere e turbolente da far accendere i lampioni delle strade come di notte. Eppure, mentre una giornata serena ci dona quella bianca luce che tutto illumina e fa risplendere, la tempesta che si scatena sulle case e nella campagna, assieme all’arcobaleno ci dona di più: la luce stessa del giorno scomposta nei colori che la costituiscono invisibilmente.

Ce ne viene uno stupore ed una gioia che la pura luce bianca non può dare, simile alla differenza tra una nota sola e le sette note con le quali si compone la musica. Ed ecco il rasserenante messaggio: proprio quando sembra andarsene la luce della vita e tutto piomba nel buio del dolore e del non-senso, viene generata e manifestata, alla luce della fede, la sovraeminente ricchezza della vita, visibile solo allo sguardo che fissa Gesù. E’ Lui “La Luce”, è Lui l’ “Arco sulle nubi”, che non sta lassù, distaccato dalla terra, ma quaggiù, in mezzo a noi, assieme a noi nelle tempeste della vita.

Sì, l’arcobaleno non è soltanto un simbolo della nostra esistenza, tanto dolorosamente segnata da quella sofferenza che addensa le sue nuvole nere sul capo di tutti, ma indica il dono della fede, offerto a tutti coloro che levano il capo per riconoscere l’esistenza del Dio dell’alleanza, il Dio-Amore che “ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione, con la consolazione con cui siamo noi stessi consolati da Dio” (2 Cor 1,4).

Il segno quaresimale della cenere sul capo, non è un richiamo alla morte, ma alla vita. La cenere è nera come le nubi della tempesta, ma anch’essa nasconde ed indica l’arcobaleno luminoso della vita, poiché è segno a sua volta della brace che ricopre nel camino, e che mantiene capace di riaccendersi in fiamma viva.

La mortificazione esteriore dell’imposizione della cenere sul capo chino, sta a significare che se ci sottomettiamo umilmente a Dio, accettando e facendo la Sua volontà, “permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e la sete di Dio”(Benedetto XVI, idem).

Ed ecco, infine, una mia esperienza…professionale.

Agli inizi del mio lavoro come cardiologo ospedaliero, visitai dal Pronto Soccorso un ragazzo di 17 anni, orfano dei genitori sin dal primo anno di vita.

Dom
enico s’era accorto da qualche mese che consegnare ed installare a domicilio le  bombole del gas, era diventato sempre più faticoso. La diagnosi fu tanto facile quanto inesorabile: miocardiopatia dilatativa in grave e irreversibile scompenso. Unica possibilità di sopravvivenza: il trapianto cardiaco, che però allora in Italia nessun Centro era abilitato a fare. Contattai Christian Barnard a Città del Capo, Sudafrica, l’uomo che effettuò il primo cardiotrapianto della storia, e Domenico fu posto in lista d’attesa.

Nel frattempo peggiorava di settimana in settimana, e la sua vita era come una bombola che perde senza rimedio. Lo sosteneva solo una disperata voglia di vivere e l’affetto dei suoi amici: il cardiologo e l’intero reparto.

Non fui io ad iniziare in quei giorni un singolare protocollo terapeutico, per preparare Domenico ad un altro imminente trapianto, dato che quello atteso si faceva sempre più lontano… La nostra caposala, la cui bellezza non solo spirituale aveva affascinato Domenico, cominciò a parlargli di Dio, a farlo pregare la Madonna, a leggergli pagine del Vangelo. Notai così che lo sguardo esausto e spento di Domenico si andava a poco a poco rischiarando, come per l’affiorare nella sua anima di una luce soprannaturale, una luce a colori: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26).

Non dimenticherò mai la notte della sua morte; tra le lacrime, fu la gioia di un evento “natalizio”. Circondavamo Domenico tutti coinvolti nell’ultima terapia, quella della preghiera; e fu per lui più che palliativa, a giudicare dal volto radioso e soffuso di bellezza che ci ha lasciato in ricordo appena giunto a Domicilio.

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* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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