Sud Sudan: ombre di una nuova guerra

Khartoum occupa Abyei ed è una nuova emergenza umanitaria

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di Paul De Maeyer


ROMA, martedì, 31 maggio 2011 (ZENIT.org).- A meno di due mesi dalla sua nascita come Stato indipendente – in programma il 9 luglio prossimo -, l’ombra di un nuovo conflitto armato pesa sul Sud Sudan. Il governo del Nord ha inviato infatti sabato 21 maggio i suoi carri armati ad Abyei ed ha assunto il controllo del capoluogo della contestata regione che si trova a cavallo tra Nord e Sud. Lo mossa di Khartoum ha provocato la protesta da parte di Juba e della comunità internazionale, la quale teme un ritorno alla guerra su vasta scala.

La tensione nella regione di Abyei, che gode di uno statuto speciale, era salita alle stelle dopo un attacco sferrato venerdì 20 maggio contro un convoglio militare di soldati di Khartoum e scortato dai caschi blu della Missione delle Nazioni Unite nel Sudan (UNMIS). Il Nord ha accusato il Sud dell’attacco, una tesi che non è stata smentita da fonti diplomatiche occidentali. Secondo il New York Times (22 maggio), a maggio forze del Sud hanno teso almeno due volte un agguato a militari del Nord, provocando decine di vittime.

Secondo il quotidiano, la risposta del Nord all’ultimo attacco sembra essere stata “ben pianificata”. Aerei di Khartoum, partiti dalla famigerata base di El Obied, che giocò un ruolo chiave nella lunga guerra civile tra Nord e Sud, hanno bombardato venerdì punti strategici nella città e dintorni, preparando la strada all’arrivo delle truppe di terra, che hanno invaso Abyei la sera del giorno successivo con decine di carri armati e migliaia di soldati.

Un secondo gesto di sfida lanciato dal governo del presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir è un decreto che ha posto fine all’amministrazione mista che gestiva Abyei, frutto del “Comprehensive Peace Agreement” (CPA o Accordo Comprensivo di Pace) siglato il 9 gennaio del 2005 nella capitale keniota Nairobi tra il presidente sudanese e i ribelli sud sudanesi del Movimento/Esercito Popolare per la Liberazione del Sudan (SPLA/M).

Mentre la situazione lì è stata definita “volatile e tesa” (The New York Times, 29 maggio) da un portavoce dell’ONU ad Abyei, Kouider Zerrouk, l’accaduto conferma ciò che si sapeva già. Abyei è – come ha scritto Irene Panozzo, studiosa del Sudan presso la University of Durham – il “nervo scoperto” nel rapporto fra Nord e Sud, “una ferita mai realmente cicatrizzata” (la Repubblica.it, 28 maggio).

Nella regione di Abyei, ricca di petrolio ma anche di acqua, è saltato infatti un referendum speciale sulla secessione dal Nord che avrebbe dovuto svolgersi il 9 gennaio scorso in parallelo con la consultazione popolare organizzata nel Sud e conclusasi con la schiacciante vittoria (ben il 98,83% dei partecipanti) del “sì” alla creazione di un Sud Sudan indipendente. A provocare la revoca del referendum su Abyei sono stati i continui disaccordi tra Juba e Khartoum su chi poteva partecipare alla consultazione locale: soltanto la tribù dei Dinka Ngok, etnicamente legata al Sud, o anche i pastori “arabi” Misseriya, che portano stagionalmente il loro bestiame al pascolo nel distretto?

La decisione del governo sudanese di prendere il controllo di Abyei suscita sospetti sulle vere intenzioni del president al-Bashir, su cui pende ancora un mandato di arresto emesso dal Tribunale Penale Internazionale (ICC in acronimo inglese) de L’Aja, in Olanda. Dopo l’invasione di Abyei, l’uomo forte del Nord, il quale aveva rassicurato solo pochi mesi fa la comunità internazionale che avrebbe rispettato il risultato del referendum del gennaio scorso ed accettato la secessione del Sud, ha dichiarato infatti che – almeno per ora – Khartoum non ha alcuna intenzione di ritirarsi. “Abyei è territorio nord sudanese”, ha affermato al-Bashir (The Washington Post, 27 maggio). Dato che i principali pozzi petroliferi sudanesi (l’80% all’incirca) sono concentrati nel futuro Sud Sudan, Khartoum non vuole perdere anche le risorse naturali di Abyei, anche se la produzione locale di greggio ha già superato il suo picco.

Altrettanto netto è stato nei giorni scorsi un esponente del governo sud sudanese. “Senza Abyei sulle altre questioni non c’è dialogo: non perderemo tempo a discutere di debito estero, diritti di cittadinanza o proprietà del petrolio”, ha ribadito il ministro per la Cooperazione regionale, Deng Alor (Agenzia MISNA, 27 maggio). Più moderato il presidente del Sud, Salva Kiir Mayardit. Anche se ha detto che l’occupazione di Abyei da parte del Nord non è un incidente isolato e fa parte di uno scenario volto a creare scompiglio, ha dichiarato tuttavia che dopo decenni di guerra civile il Sud non vuole un nuovo conflitto. “Non torneremo in guerra, non accadrà”, ha detto Kiir (The Vancouver Sun, 28 maggio).

Come c’era da temere la nuova violenza ha creato l’ennesima emergenza umanitaria nella zona. Secondo l’Ufficio di Coordinamento per gli affari Umanitari (OCHA in acronimo inglese) delle Nazioni Unite, l’offensiva di Khartoum ha messo in fuga almeno 40.000 persone. Dalle immagini raccolte dal Satellite Sentinel Project (SSP) – un progetto di sorveglianza satellitare appoggiato da alcune stelle di Hollywood, fra cui George Clooney – emerge che circa un terzo di tutte le strutture civili della città di Abyei è stato raso al suolo. Anche un ponte strategico a sud della città è andato distrutto. L’ONG parla del resto di una vera e propria “pulizia etnica sponsorizata dallo Stato” (Agence France-Presse, 29 maggio).

Secondo l’amministratore Apostolico di Malakal (nel Sud Sudan), monsignor Roko Taban Mousa, la situazione umanitaria degli sfollati è “sempre più drammatica”. “Queste persone sono prive di assistenza, mancano cibo e medicine, anche perché le truppe nord sudanesi che hanno occupato Abyei si sono impadronite delle riserve alimentari conservate in città”, ha rivelato il presule all’agenzia Fides (27 maggio). “Continuano inoltre le piogge che flagellano e favoriscono, anche per la presenza di zanzare, l’insorgere di malattie come malaria e diarrea”, ha aggiunto.

La sfida che attende il nuovo Paese – il 54° del continente africano e il 193° del mondo – è già enorme. Cruciale per il Sud Sudan, definito da La Croix (1° aprile) un “immenso cantiere”, sarà il contributo dato dalla Chiesa cattolica e dalle varie organizzazioni non governative impegnate sul terreno. Lo ha ammesso il governatore dello Stato dell’Equatoria orientale, Louis Lobong Lojore. “Oggi, non si può fare a meno del sostegno della Chiesa e della comunità interenzionale”, ha dichiarato al quotidiano francese. La diocesi di Torit (la capitale dello Stato) spera di potere dedicare 9 milioni di dollari allo sviluppo quest’anno. Più di 400 ONG sono attive nel Sud Sudan, una terra – come ricorda La Croix – dove più di un bambino su dieci muore prima dei cinque anni e una donna su dieci muore durante il parto o per implicazioni relative.

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ZENIT Staff

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