di Chiara Santomiero

TORINO, martedì, 31 maggio 2011 (ZENIT.org).- “Sono 11 milioni i musulmani in Europa: la loro presenza è un dato di fatto nei paesi e nelle parrocchie, così come molte esperienze di dialogo che vanno condivise per trovare una linea comune di orientamento”. Ha spiegato in questo modo mons. Duarte da Cunha, segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, le motivazioni del secondo incontro dei delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con i musulmani in Europa apertosi il 31 maggio a Torino.

“Il Ccee – ha aggiunto da Cunha nella conferenza stampa che ha preceduto l’inizio dei lavori – ha scelto in particolare di affrontare i due temi del rapporto tra Chiesa, Stato e Islam in Europa e dell’islamofobia, cioè del pericolo di diffusione tra gli europei di un senso di paura e di intolleranza nei confronti dell’Islam”.

L’incontro, ha precisato il segretario del Ccee, “ha un carattere prettamente pastorale, in quanto il dialogo teologico viene portato avanti dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e con l’obiettivo di una riflessione intraecclesiale, differenziandosi dai molti altri incontri organizzati in passato insieme a rappresentanti di altre confessioni cristiane e comunità musulmane”.

“E’ necessario cogliere un processo in atto – ha affermato il segretario della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale del Piemonte- Valle d’Aosta, don Andrea Pacini intervenendo alla conferenza stampa – che è quello dell’inserimento in maniera matura delle comunità musulmane nel contesto europeo”.

L’Europa rappresenta “una grande occasione affinché l’Islam possa ri-acquisire e ri-esprimere la sua identità prettamente religiosa al di là di quella politica, giuridica e sociale”. Le comunità musulmane, infatti “si trovano a vivere in un contesto in cui non hanno da esprimere, come avviene nei paesi a maggioranza islamica, una dimensione politica ma si confrontano, all’interno di spazi già istituzionalmente definiti, su come potersi esprimere come religione”.

Questo “costituisce una sfida per l’Islam ma interessa molto anche le diverse componenti della società civile europea e le chiese perché, all’interno degli Stati europei nei quali la libertà religiosa è assicurata e si cerca di costruire società tendenzialmente pluraliste, è importante intessere rapporti tra comunità religiose in modo da concorrere quanto più possibile ad una convivenza pacifica e armoniosa di tutta la società”.

Ci sono, tra l’altro, anche “risvolti molto pratici, come la condivisione di cappellanie ospedaliere, militari, penitenziarie e universitarie che offrono occasioni di dialogo concreto e non occasionale da sviluppare”. A ciò si aggiunge che “l’inserimento che rivaluta il proprium religioso implica un ripensamento dell’identità e la necessità, come è stato affermato, che l’Islam sviluppi una ‘teologia dell’inculturazione’ mettendosi in dialogo con gli spunti di riflessione offerti dal contesto europeo”.

“L’Islam – ha affermato l’arcivescovo di Tunisi, mons. Maroun Lahham, chiamato ad intervenire sui rapporti tra cristiani e musulmani nel Medio Oriente e nell’Africa del nord – non è un blocco monolitico e le differenze sono molte a seconda dei contesti”. “E’ più facile che io mi intenda con il muftì di Hebron che con il vescovo di Stoccolma – ha proseguito –, in quanto palestinese e arabo cristiano la condivisione di 15 secoli di storia con i musulmani in Medio Oriente ci rende consapevoli di appartenere ad una stessa cultura e mentalità e questo è un forte fattore di coesistenza”. “Per un arabo cristiano, per esempio – ha sottolineato Lahham – il fatto che l’Europa si neghi all’accoglienza è qualcosa di contrario alla sua cultura”.

Il risvolto negativo di questa convivenza secolare è “il malinteso che equipara il cristiano all’occidente e alle sue scelte politiche ed economiche”. In questo campo “la famiglia, la moschea e la scuola – le tre principali istituzioni del mondo islamico – non fanno molto per dire cosa sono i cristiani. Non si parla nemmeno di cristiani ma di ‘non musulmani’”.

A proposito di pregiudizi va sottolineato che “il Medio Oriente non è un focolaio di terrorismo e i movimenti non sono creati contro i cristiani ma a causa della situazione politica”. Va salutata in maniera molto positiva, secondo Lahham, “la ritrovata unità del popolo palestinese perché così l’interlocutore del processo di pace sarà uno solo” ma “occorre che da parte di Israele ci sia una volontà politica in questo senso” e che “non abbia paura della pace”.

Fiducia è stata espressa dal vescovo di Tunisi anche nei confronti dei movimenti rivoluzionari del nord Africa “portati avanti da giovani colti, abili nell’usare Internet e che non sopportavano più i regimi che li dominavano”. “Bisogna sempre guardare con ottimismo a questi movimenti per la democrazia – ha concluso Lahham – ed essere fiduciosi sulla situazione che si prospetta per i cristiani, sicuramente in Tunisia ma anche in Egitto. Sono convinto che non si deve aver paura”.