ROMA, giovedì, 26 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della lectio tenuta questo giovedì sera nella Cattedrale di Vicenza dal Card. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, in occasione dellaVII edizione del Festival Biblico – in corso a Vicenza dal 20 al 29 maggio sul tema «Di generazione in generazione».
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Le generazioni che incarnanoil tempo che scorre sulla terra non sono solo una ribalta in cui è all’opera il Signore Salvatore. Sono anche l’orizzonte nel quale l’umanità custodisce e trasmette la sua fede e offre a Dio la sua risposta di lode e di ringraziamento «Una generazione se ne va, una generazione subentra su una terra eternamente ferma». È Qohelet-Ecclesiaste, in apertura al suo libro sapienziale realistico e amaro (1,4), a descrivere il flusso incessante delle generazioni: l’ebraico dôr probabilmente presuppone qualcosa di circolare come un accampamento di tende nomadiche (non per nulla in arabo la stessa radice lessicale definisce sia la “circonferenza” sia l’“abitazione”). L’immagine dell’antico sapiente biblico è, comunque, potente: la terra, «eternamente ferma» e uguale, assiste indifferente alla morte delle creature viventi e alla nascita di nuovi esseri in un circolo ininterrotto. Essa è come un palcoscenico fisso sul quale si passa costantemente dalla tragedia alla festa, dalla fine all’inizio. Non a caso, nelle lingue semitiche orientali come l’accadico, lo stesso termine dôr designa la “durata” della realtà, che è paradossalmente finita per i viventi e interminabile per le cose. Eppure la scelta biblica di riconoscere proprio nel tempo e nella storia la teofania, cioè la rivelazione divina, rende il flusso generazionale una sorta di terra santa vivente. È per questo che curiosamente, come insegna il parallelismo rigoroso che regge il passo di Genesi 1,27, l’“immagine di Dio” a tutti disponibile è l’umanità in quanto maschio e femmina, vale a dire nella sua capacità generativa: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». La rappresentazione più luminosa dell’opera creatrice di Dio è, quindi, nella procreazione umana: si spiega in tal modo perché la cosiddetta Tradizione Sacerdotale (VI secolo a. C.) – una delle strutture testuali del Pentateuco – costruisce la storia della salvezza su una sequenza di genealogie (chi vuole averne una prova, legga di seguito questi passi: Genesi 1,28; 2,4; 9,1.7; 10; 17,2.6.16; 25,11; 28,3; 35,9.11; 47,27; 48,3-4). È ancora in questa linea che si colloca il contenuto reiterato della promessa divina fatta ad Abramo e ai patriarchi: «Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle! Tale sarà la tua discendenza…Renderò la tua discendenza come la sabbia che è sulla spiaggia del mare» (Genesi 15,5; 22,17). Non si dimentichi, poi, che l’ingresso di Cristo nel mondo è affidato da Matteo (c.1) e Luca (c.3) a una genealogia che procede di anello in anello lungo la storia biblica. Ma le generazioni che incarnano il tempo che scorre sulla terra non sono solo una ribalta in cui è all’opera il Signore Salvatore. Sono anche l’orizzonte nel quale l’umanità custodisce e trasmette la sua fede e offre a Dio la sua risposta di lode e di ringraziamento. Emblematica, in questo senso, è la narrazione della Pasqua ebraica, così come è descritta nei cc. 12-13 dell’Esodo e come sarà ancor più marcata nella successiva haggadah giudaica, ossia nel racconto della liberazione dalla schiavitù egiziana durante il seder, il rituale pasquale, attraverso un dialogo tra padre e figlio, cioè tra le due generazioni. Per il sacrificio dell’agnello pasquale, si legge nell’Esodo: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne… Quando i vostri figli vi chiederanno: Che significato ha per voi questo rito?, voi direte loro: È il sacrificio della Pasqua del Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case» (12, 14. 26-27). Poi, per il rituale dei pani azzimi, si ripete la stessa formulazione: «In quel giorno spiegherai a tuo figlio: È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall’Egitto» (13,8). Infine, per la prassi del riscatto del primogenito di ogni famiglia si ribadirà: «Quando tuo figlio un domani ti chiederà: Che significa ciò?, tu gli risponderai: Con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile» (13,14). La trasmissione della fede avviene, dunque, attraverso il filo vivente delle generazioni ed è mirabile a questo riguardo la lunga strofa d’apertura del Salmo 78 che, prima di elencare gli articoli di fede della storia salvifica e quindi del Credo di Israele, esalta la catechesi generazionale, per cui veramente i padri sono «i primi maestri della fede» per i loro figli, come suggerirà il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium n.11). Ecco soltanto alcune battute di questa lunga premessa del Salmo che contiene una teologia della “tradizione” autentica: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, narrando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie da lui compiute… perché le conosca la generazione futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarle ai loro figli perché ripongano in Dio la loro fiducia…» (si legga il Salmo 78,3-8). La generazione antica trasmette, dunque, il messaggio della salvezza a quella più giovane in una catena viva e ininterrotta, sorretta dallo Spirito del Dio creatore e salvatore. «Si parlerà del Signore alla generazione che viene… perché Dio mantiene la sua alleanza per mille generazioni» (Salmo 22,31; Deuteronomio 7,9). Dio e uomo s’incontrano proprio su quel fiume generazionale che è la storia stessa della vita umana.