Le staminali del cordone nella lotta alle malattie epatiche

di Paolo De Lillo*

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ROMA, domenica, 22 maggio 2011 (ZENIT.org).-Sono ormai numerose le sperimentazioni coronate da successo con le staminali del cordone ombelicale anche in settori medici in cui in passato si credeva avessero un ruolo minore, come il fegato e le malattie epatiche.

Nel numero di febbraio 2011, la rivista scientifica World Journal of Gastroenterology pubblica un’interessante ricerca del professor Fang-Ting Zhang, realizzata insieme al suo team del Central Laboratory presso il Peking University Shenzhen Hospital, a Shenzhen (Cina). Lo scopo è sperimentare il trapianto intraperitoneale di micro-capsule di cellule simil-epatiche, ottenute da staminali cordonali, per la terapia dell’insufficienza del fegato nei ratti. Le micro-capsule sono formate da Alginato-Poli-L-lisina-Alginato (APA) e permettono di evitare i casi di rigetto GVHD, del resto già molto rari utilizzando le staminali del cordone ombelicale umano.

Attraverso una selezione cellulare basata su un metodo immuno-magnetico, vengono isolate staminali del cordone ombelicale, che esprimono il cluster di differenziazione CD(34)+, glicoproteina di superficie, mediatrice dell’ adesione delle cellule al midollo osseo e marker delle staminali, oltre che dei precursori dei linfociti B e dei megacariociti. Nell’ esperimento in vitro, le staminali cordonali CD(34)+ selezionate sono amplificate e spinte a differenziarsi in cellule simil-epatiche in coltura, per mezzo di una combinazione di Fibroblast Growth Factor 4 e Hepatocyte Growth Factor. Nello studio in vivo, le cellule simil-epatiche sono incapsulate e trapiantate nella cavità addominale di ratti, affetti da insufficienza epatica acuta, 48 ore dopo l’ induzione della patologia.

Al sedicesimo giorno viene riscontrata nella coltura con fattori di crescita un alto contenuto di albumina umana (il 30%), specifica delle cellule epatiche, in cui si sono trasformate le staminali cordonali. Essa non è presente nel controllo, privo di FGF4 e HGF. Lo stesso discorso vale per l’ alfa-fetoproteina (24%).

Comparato con il gruppo non incapsulato, il tasso di mortalità risulta significativamente più basso nei ratti trasfusi con cellule simil-epatiche, derivate dalle staminali cordonali, incapsulate: 42,1%, contro 65% delle prime e 75% dei controlli. In questo gruppo i parametri biochimici ematici, alanina aminotransferasi, aspartato aminotransferasi e bilirubina totale, sono notevolmente migliorati; risultati confermati dalla colorazione ad immunofluorescenza.

Tra la prima e la seconda settimana dopo l’infusione, vengono osservate nel liquido di lavaggio peritoneale microcapsule libere, con una struttura rotondeggiante ed una superficie liscia. Le cellule, sopravvissute all’ interno, sono individuate con una colorazione trypan blue; ma alcuni tessuti fibrosi, intorno alle micro-capsule, vengono scoperti anche nel grande omento, grazie alla colorazione con ematossilina ed eosina.

Zhang giunge alla positiva conclusione che il trapianto di micro-capsule contenenti cellule simil-epatiche, ottenute dalla differenziazione di staminali del cordone ombelicale umano, possono alleviare i sintomi dell’ insufficienza epatica acuta, riducendo nettamente i tassi di mortalità. Ciò può avere grande importanza di fronte al suo continuo aumento, a causa della cirrosi e dell’ epatocarcinoma. La terapia cellulare potrebbe offrire un supporto metabolico, quando la funzione del fegato è danneggiata, ed aumentare il possibile tempo d’ attesa, nella ricerca di un donatore di fegato, per un trapianto. Le staminali del cordone ombelicale hanno il vantaggio di una minore immunogenicità e di risultare più immature, oltre alla facilità di prelievo.1

Un approccio,in parte, differente da quello di Zhang, ma che conferma la grande importanza delle staminali cordonali in questo campo medico, si riscontra nelle ricerche del Professor Y.J. Moon e della sua equipe del Biomedical Research Institute, LifeCord Inc., presso Suwon, a Kyonggi (Corea del Sud), e del  Department of Life Science, presso la Chung-Ang University, a Seoul (Corea del Sud). Nel Dicembre 2009, su Transplantation Proceedings, Moon ha sostenuto che le staminali cordonali presentano vantaggi pratici ed etici nella cura delle malattie epatiche. In un precedente studio aveva individuato una nuova popolazione di staminali adulte, ottenute da quelle cordonali umane, che aveva denominato Cellule Progenitrici Multipotenti derivate dal Sangue Cordonale Ombelicale (UCB-MPCs). Aveva dimostrato che sono in grado di differenziarsi in cellule simil-epatiche in vitro.

Allo scopo di valutare tale capacità in vivo, è stato generato un modello murino di danno del epatico, usando il carbon tetra-cloruro (CCI(4)), con successivo trapianto delle UCB-MPCs nel fegato. Esse sono state incorporate con successo nel tessuto epatico dell’ animale ricevente e si sono differenziate in cellule simil-epatiche funzionali, che hanno espresso markers specifici per le cellule del fegato, come il CK-18, la citocheratina-18, e l’ albumina, che è stata individuata nel sangue dei ratti trasfusi. Questi dati hanno indicato che le progenitrici, derivate dalle staminali cordonali, sono state capaci di mostrare caratteristiche simili a quelle delle cellule epatiche funzionali del fegato ricevente.

Le UCB-MPCs, le cellule progenitrici multipotenti, derivate dalle staminali del cordone ombelicale, potrebbero essere messe alla prova, per diventare una utile e riproducibile alternativa alle cellule progenitrici, di origine epatica, nelle applicazioni sia sperimentali, che terapeutiche.2

Le prime ricerche di notevole rilievo sull’ azione terapeutica delle staminali del cordone ombelicale umano nella cura delle malattie epatiche, si sono realizzate all’ inizio del secolo e sono state pubblicate nel 2003.

Nel mese di Gennaio la rivista scientifica Gastroenterology aveva presentato un articolo del Professor Phil Newsome e dei suoi collaboratori del Department of Hepatology, Chancellor’s Building, presso la University of Edinburgh, a Edinburgo, in Scozia (Regno Unito). I loro studi avevano dimostrato che le staminali cordonali erano caratterizzate da  un’ inaspettata plasticità e che potevano differenziarsi in un gran numero di linee cellulari non ematopoietiche nei roditori. Il loro scopo era di dimostrare, per la prima volta, che le staminali del cordone ombelicale potessero essere in grado di differenziarsi in cellule del fegato, quando infuse in topi con immunodeficienza e diabete severo (NOD-SCID). Volevano anche stabilire se tali cellule simil-epatiche fossero il risultato di una fusione cellulare oppure di una vera e propria trans-differenziazione delle staminali cordonali.

Preparazioni di cellule mononucleari, non selezionate, del sangue cordonale umano erano state infuse in topi (NOD-SCID), che erano stati irradiati in modo subletale.

Gli studiosi di Edimburgo dimostravano che le staminali del cordone ombelicale avevano la proprietà di attecchire nel fegato NOD-SCID e di diventare epatociti maturi, per mezzo  dell’ uso di markers specifici e dell’ ibridizzazione in situ fluorescente (FISH), per il DNA umano e murino. Non erano in grado di identificare alcuna differenziazione in senso biliare o endoteliale. Inoltre non era stata individuata alcuna prova di fusione cellulare in nessuna delle cellule umane, individuate nel fegato murino, suggerendo che le staminali cordonali avevano la capacità in vivo di trans-differenziarsi completamente in epatociti.

Newsome concludeva che le cellule del fegato potevano derivare dalle staminali del cordone ombelicale, in assenza di fusioni.

La dimostrazione che la differenziazione di queste importanti staminali potesse avvenire in questo modello murino, permetteva di far partire studi più ampi sulla plasticità in vivo delle staminali del cordone ombelicale umano.3

Sempre nel 2003, il Dottor Sei Takinuma portava a termine uno studio con il suo team della Graduate School, presso la Tokyo Medical and Dental U
niversity, a Bunkyo-ku (Giappone). Veniva pubblicato sul numero di Marzo di Stem Cells, dove affermava di voler stabilire le capacità delle staminali cordonali riguardo i tessuti endodermici ed, in particolare, investigare le loro potenzialità per il fegato danneggiato, sia in vitro, che in vivo. Ricercava le più efficienti condizioni per portare le staminali del cordone ombelicale a produrre albumina (ALB), importante marker degli epatociti.

Le staminali cordonali erano state espanse in un innovativo sistema colturale primario, integrato con una combinazione di diversi fattori di crescita e differenziazione, tra cui FGF-1 (Fibroblat Growth Factor-1), FGF-2, LIF (Leukemia Inhibitory Factor), SCF (Stem Cell Factor), HGF (Hepatocyte Growth Factor) e OSM (Oncostatin M). In 21 giorni di coltura circa il 75% delle staminali del cordone ombelicale avevano espresso l’ albumina ed il 50% contemporaneamente anche i markers della linea di differenziazione degli epatociti. Per la sintesi dell’ albumina era indispensabile la presenza sia di staminali cordonali, che esprimessero il CD34 (CD34+), che prive di questa caratteristica (CD34-).

Questo tipo di staminali ALB(+) riuscivano a proliferare nel sistema colturale, come confermato da una doppia immuno-colorazione.

Per di più, nel modello murino, caratterizzato da grave danno epatico ed immunodeficienza, almeno il 50% delle staminali cordonali trapiantate si differenziavano in epatociti funzionali, secernendo albumina nel sangue del ricevente. La maggior parte era stata individuata nella zona periportale         dei lobuli del fegato 20 settimane dopo l’ infusione. Queste cellule mostravano chiaramente l’ aspetto morfologico di quelle del parenchima del fegato, avendo un grande nucleo rotondeggiante ed un ricco citoplasma. Questa era la prima volta in cui veniva dimostrata la possibilità delle staminali cordonali di produrre cellule di derivazione endodermica ed, in particolare, cellule progenitrici epatiche trapiantabili, che avrebbero potuto supportare le funzioni di un fegato danneggiato o alleviare le malattie epatiche scompensate.

Ciò avrebbe potuto realizzarsi in modo ancora più efficace sull’ uomo, rispetto a ratti, dove erano presenti i  problemi del trapianto xenogenico, di un micro-ambiente non adatto alla proliferazione e differenziazione di staminali cordonali umane e del rigetto di molte cellule infuse, aprendo la strada ad innovative opzioni terapeutiche per l’ insufficienza epatica.4

1)  Zhang FT, Wan HJ, Li MH, Ye J, Yin MJ, Huang CQ, Yu J.  – Transplantation of microencapsulated umbilical-cord-blood-derived hepatic-like cells for treatment of hepatic failure  – World J Gastroenterol. 2011 Feb 21;17(7):938-45.

2)  Moon YJ, Yoon HH, Lee MW, Jang IK, Lee DH, Lee JH, Lee SK, Lee KH, Kim YJ, Eom YW.   – Multipotent progenitor cells derived from human umbilical cord blood can differentiate into hepatocyte-like cells in a liver injury rat model.  – Transplant Proc. 2009 Dec;41(10):4357-60.

3)   Newsome PN, Johannessen I, Boyle S, Dalakas E, McAulay KA, Samuel K, Rae F, Forrester L, Turner ML, Hayes PC, Harrison DJ, Bickmore WA, Plevris JN.  – Human cord blood-derived cells can differentiate into hepatocytes in the mouse liver with no evidence of cellular fusion.  – Gastroenterology. 2003 Jun;124(7):1891-900.

4)   Kakinuma S, Tanaka Y, Chinzei R, Watanabe M, Shimizu-Saito K, Hara Y, Teramoto K, Arii S,Sato C, Takase K, Yasumizu T, Teraoka H.   –  Human umbilical cord blood as a source of transplantable hepatic progenitor cells.  –  Stem Cells. 2003;21(2):217-27.

* Paolo De Lillo è dottore in Farmacia.

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ZENIT Staff

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