ROMA, mercoledì, 18 maggio 2011 (ZENIT.org).- In un mondo globalizzato occorre globalizzare anche la giustizia sociale se si vuole dare una risposta alle sfide attuali, rispettare nuove regole per evitare la concorrenza sleale tra Paesi e creare sistemi previdenziali e sociali nelle Nazioni in cui le aziende delocalizzano.
Sono questi alcuni degli argomenti affrontati nella seconda giornata del congresso internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e in svolgimento dal 16 al 18 maggio per i 50 anni dell’Enciclica Mater et Magistra.
I lavori si sono svolti per aree continentali – Africa, America, Asia ed Europa – su tematiche precise e profonde come società del lavoro e bene comune, stili di vita, paradigma dello sviluppo, pluralità di imprese e dignità e diritti dei lavoratori.
Sono stati trattati anche il lavoro, la valorizzazione e remunerazione, le politiche sociali, la sussidarietà e la giustizia sociale. Di non minore importanza la tematica sulla terra come ambiente di vita, condizioni climatiche, risorse materiali, sviluppo integrale e anche demografia e bioetica.
Verso la fine della giornata sono state esposte in modo succinto le conclusioni delle relazioni dei coordinatori per aree geografiche.
Prima della Messa conclusiva della giornata, monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha approfondito i problemi degli squilibri tradizionali che si ripresentano oggi e come per risolverli il punto centrale resti la giustizia sociale nel contesto di un mondo globalizzato.
“Una giustizia globale che ha come punto di riferimento il bene comune, perché la giustizia sociale è la giustizia relativa al bene comune”, ha ricordato. E questo implica che “sul piano nazionale – e ci si augura anche sul piano internazionale – vi siano delle politiche unitarie, politiche economico-sociali, fiscali, di sviluppo e di salvaguardia dell’ambiente, perché in un contesto di globalizzazione l’unitarietà sia dell’economia come delle relazioni fra i vari settori economici e fra le varie regioni è necessario che cresca”.
Mons. Toso ha ricordato che la lettura della Mater et Magistra “ci sollecita a praticare la giustizia sociale dentro gli squilibri che si aggiungono oggi a quelli tradizionali”, e si è chiesto “come uscire da questa situazione”.
“Una delle vie indicate da Benedetto XVI è la rinascita del pensiero morale; poi occorre ancora una riflessione sull’unitarietà dell’economia mondiale e sulla globalizzazione dell’economia sociale”, ha affermato.
E così, come la Mater et Magistra cinquant’anni fa parlava di un’equa remunerazione, oggi esiste “l’esigenza del bene comune sul piano mondiale”, e quindi ci sono altri parametri, come “evitare una concorrenza sleale tra le economie dei diversi Paesi, favorire la collaborazione tra le economie nazionali con intese feconde e cooperare allo sviluppo delle comunità politicamente ed economicamente meno progredite”.
Occorre, dunque, “una seria riflessione sull’unitarietà dell’economia mondiale e sulla globalizzazione dell’economia sociale”, e quindi “una democrazia sostanziale, sociale e partecipativa”.
Un punto centrale è il fatto che “oggi, a fronte della liberalizzazione dei mercati e della delocalizzazione di molte imprese, se si vuole realizzare lo sviluppo integrale ed armonico non si devono erodere o considerare superflui i diritti sociali”.
In più, visto che “i diritti non si possono disgiungere dagli altri diritti civili e politici, è necessario concorrere a realizzarli anche dove si delocalizzano le imprese. I sistemi di protezione e di previdenza”, come afferma anche la Caritas in veritate, “devono essere riformati nei Paesi più ricchi in senso societario e partecipativo, così si risparmiano energie e si possono aiutare i Paesi più poveri”.
I sistemi di protezione e previdenza vanno poi “istituiti e diffusi negli altri Paesi meno sviluppati”.
“Sempre per realizzare una giustizia sociale globale – ha aggiunto monsignor Toso – occorre che la democrazia globalizzata sia sorretta da un ethos aperto alla trascendenza, animato dalla fraternità e dalla logica del dono. Si poggia anche su un quadro giuridico ed etico certo, ossia su diritti e doveri radicati nella legge morale universale e non sull’arbitrio, e occorre anche che la giustizia sociale mondiale non sia fondata su un mero consenso sociale, ma sul riconoscimento del bene umano universale”.
Altro punto importante indicato dal segretario di Giustizia e Pace è quello non del governo, ma della governance: “Che la giustizia sociale sia attuata dalla e nella società civile, dalla e nell’economia di mercato. In tutte le fasi dell’economia, quindi, dalla e nella società
politica, sul piano nazionale e internazionale”.
Questo “mediante una ‘governance’ mondiale di collaborazione su un piano di multilateralità,
ma anche mediante un vero e proprio ‘governement’ di decisione e di controllo super partes, mediante la costituzione di una autorità politica mondiale, poliarchica, sussidiaria, mediante la riforma dell’Organizzazione delle Nazione Unite e la sua democratizzazione, nonché la creazione di una nuova architettura economica e finanziaria internazionale”.
E’ inoltre necessario “ripensare l’intervento dello Stato nell’economia, diverso dalla concezione statalista o liberista imposta negli ultimi anni. La realizzazione di un’economia sociale, un equilibro tra economia sociale e finanza, in modo che la finanza sia al servizio dell’economia reale e l’economia reale ritrovi la sua finalità, che è quella di essere al servizio del bene comune”.
“Occorre – ha concluso – un’adeguata politica fiscale per la redistribuzione equa della ricchezza prodotta, non applicata in maniera indiscriminata ma secondo la capacità di ciascuno di portare i pesi”. Questo senza dimenticare “nuove politiche agricole, industriali, ambientali, del lavoro, specie per i giovani”.
Intervendo il primo giorno del convegno, il Cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga ha detto che “non esiste una dottrina sociale della Chiesa diversa nelle differenti parti del mondo. Se uno abita in America Latina, Africa o Europa, i principi della dottrina sociale che si applicano alle nostre realtà sono sempre gli stessi. Non c’è una forma di solidarietà o di sussidiarietà per un continente diversa da quella che vale per un altro”.
Ciò, però, non toglie che “la realtà sulla quale si applicano i principi della dottrina sociale sia una realtà locale. E’ la situazione sociale, culturale, economica e politica che vive ciascuna comunità ecclesiale”.
Il porporato ha ricordato che “un Papa scrive un’Enciclica non soltanto perché considera importante parlare di un argomento sociale attuale. Riceve i contributi dei Vescovi, che a loro volta sono motivati dai contributi dei fedeli laici”.
Si tratta, quindi, “di un processo continuo e dinamico. Evidentemente la dottrina fondamentale non cambia: la Sacra Scrittura continua ad essere la base della nostra fede, e i principi che si deducono per l’azione come il bene comune, la solidarietà e la destinazione universale dei beni sono universali”.
Nella conclusione della relazione, il Cardinale ha ricordato che una dimensione costruttiva della predica del Vangelo è “l’azione in favore della giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo”.
Oltre all’impiego degli strumenti delle scienze sociali e umane per capire le cause strutturali dei problemi, ad ogni modo, ci vuole “una spiritualità che sia la nostra guida”, anche “se il messaggio del mag
istero sociale non è in se stesso una spiritualità”.
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