ROMA, lunedì, 16 maggio 2011 (ZENIT.org).- La sofferenza fa parte del popolo haitiano, afferma il Vescovo ausiliario Joseph Lafontant.
È una sofferenza che porta gli haitiani a immedesimarsi nelle sofferenze di Cristo e a sviluppare una particolare devozione per la Via Crucis.
Questa devozione e questa fede del popolo haitiano si sono ulteriormente ravvivate e rafforzate in seguito al terremoto del gennaio 2010. A un anno dal sisma, il Vescovo ha parlato al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.
Quali sono stati gli effetti psicologici derivanti dalla distruzione provocata dal sisma?
Monsignor Lafontant: La gente pensava che Haiti fosse finita. Questa è stata la reazione iniziale. Il popolo haitiano, tuttavia, possiede ciò che si chiama “vouloir vivre”, la voglia di vivere. Il pensiero è: “Allora, tutto questo è stato distrutto. Dobbiamo ricostruirlo”. Anzitutto hanno iniziato a pensare alle loro piccole case e non ai luoghi pubblici, anche se non tutte le piccole case sono state distrutte. Ma rimettere un tetto di mattoni alle case fa venire il panico. Per questo vivono ancora nelle tende, sotto dei tetti di plastica, perché hanno paura delle scosse di assestamento. Ce ne sono state molte di queste scosse, non dello stesso impatto, ma sufficienti a provocare feriti.
La gente si chiede perché sia capitato a loro?
Monsignor Lafontant: Questa domanda se la sono posta tutti: “Perché noi? Siamo un Paese così povero. Viviamo in condizioni così povere”. Ma alla fine la risposta è stata: “Così è stato. Questa è la natura. Ma noi dobbiamo mantenere la nostra fede in Dio, perché è Dio che ci guida, è lui che comanda. Per questo manterremo la nostra fede in Dio. Noi siamo vivi; molti sono morti. Se ci ha mantenuti vivi ci ha voluto dire qualcosa”. Fin dall’inizio la solidarietà è stata straordinaria nel Paese.
Tra la gente?
Monsignor Lafontant: Sì, per esempio, le persone che non sapevano come poter telefonare, si rivolgevano alla gente per strada che diceva: “Ecco un telefono, chiama i tuoi parenti”. Altri portavano via i corpi che giacevano per strada; anche la solidarietà fa parte di noi. La solidarietà fa parte della nostra cultura, ma adesso è ancora più forte.
Vorrei approfondire questo aspetto. La gente non si chiede se questo sia frutto dell’ira di Dio, se in qualche modo se lo è meritato, o se Dio la stia punendo per qualcosa? Esiste questo pensiero e qual è la risposta?
Monsignor Lafontant: Questo è stato prospettato da gente di altre Chiese. Noi cattolici abbiamo un altro approccio: “Dio non è uno che si vendica, che punisce. Al contrario, è uno che salva. Ma non blocca le leggi della natura”. Dopo il terremoto la gente ha iniziato a tornare nelle chiese. Ciò che abbiamo fatto, attraverso una stazione radiofonica, Radio soleil, è stato mandare in onda un sacerdote, tutti i giorni, per spiegare il fenomeno e non lasciare che la gente credesse o accettasse la spiegazione della punizione di Dio. No. Al contrario, in quelle occasioni, abbiamo spiegato alla gente: “Dobbiamo migliorare le persone perché siamo tutti nella stessa situazione”.
I ricchi come i poveri...
Monsignor Lafontant: I ricchi come i poveri. Per le sepolture non c’erano le bare: tutti erano allo stesso livello. Questo ha portato la gente a riflettere e alcuni mi hanno parlato direttamente. Mi dicevano: “Sa Monsignore, io sono diventato una persona diversa dopo il terremoto perché sono vivo e mi sono reso conto che i miei averi non sono nulla. Essere vivi vale molto di più di qualsiasi cosa io possieda. Per questo, da ora in poi non voglio più indossare gioielli. Non mi preoccuperò più di come appaio. Non mi preoccuperò di come appare la mia casa, il modo in cui vivo, perché la vita deve essere diversa”. Quindi è una sorta di rinnovamento che Haiti ha vissuto dopo il terremoto.
Vede una ripresa della fede?
Monsignor Lafontant: Non solo una ripresa, ma anche un rafforzamento della fede. È straordinario, se si considerano tutte le parrocchie in cui sono crollate delle chiese, la gente che vive in tenda o senza tetto. L’affluenza è stata particolarmente alta durante la Quaresima. La gente di Haiti nutre una particolare devozione per la Via Crucis del Venerdì Santo. E la cosa peculiare è che, durante le funzioni del Giovedì Santo, durante le confessioni, magari si confessavano di aver saltato tre stazioni della Via Crucis per tre venerdì di Quaresima e non di aver saltato la Messa tre volte.
Perché le stazioni della Via Crucis sono considerate così importanti?
Monsignor Lafontant: Perché nella Via Crucis essi rivedono se stessi. Si sentono in sintonia con le sofferenze di Cristo: essere calunniato, disprezzato, coperto di sputi, schiacciato. La sofferenza fa parte della loro storia e del loro essere, della loro identità, e quindi si immedesimano con essa. Alcuni persino si commuovono e piangono durante la Via Crucis.
La Chiesa ha sofferto una particolare Via Crucis. L’Arcivescovo di Port-au-Prince, il vicario generale, il cancelliere, religiosi, sacerdoti e 14 seminaristi sono morti. Come si riesce a superare queste perdite umane?
Monsignor Lafontant: Dobbiamo superarle perché quelli che sono ancora vivi devono andare avanti. Si prenda, per esempio, i seminaristi. Stiamo cercando di aiutarli a non perdere il loro anno accademico e con l’inizio del mese prossimo potranno tornare a studiare, anche se sotto le tende. Prima però li facciamo incontrare con uno psicologo, perché molti sono stati tirati fuori dalle macerie; a uno di loro, della nostra diocesi, è stata amputata una gamba e a un’altro è stato amputato un braccio. Ma continuano a voler vivere, a voler studiare, a voler andare avanti.
Ma hanno bisogno di un sostegno psicologico?
Monsignor Lafontant: Sì, assolutamente, e lo ottengono. Abbiamo un sacerdote della congregazione della Santa Croce che ha trascorso due ore con loro per parlare del loro trauma. Dopo due ore ha detto che dovrà seguire 10 di loro in particolare. Altre diocesi hanno fatto lo stesso. Hanno avuto incontri e uscite per cercare di liberare la loro mente.
Qual è il peso psicologico che grava su questi giovani? Si sentono in colpa di essere sopravvissuti e tratti vivi dalle macerie?
Monsignor Lafontant: No, non si sentono in colpa di essere sopravvissuti. Al contrario, si sentono privilegiati e come ho detto loro: “Se ti senti privilegiato devi – per te stesso e per le persone presso cui svolgerai un lavoro pastorale – essere un seminarista diverso, essere un sacerdote diverso”. E ai sacerdoti ho detto: “Ora vi trovare a vivere nelle stesse condizioni della gente, dentro le tende, senza cibo a sufficienza, alcuni di voi hanno perso ciò che possedevano e sono rimasti solamente con quanto avevano addosso”. E così gli dico: “A mio avviso, questa è una chiamata di Dio ad essere diversi. Dobbiamo essere un tipo di sacerdote diverso, che vive un po’ più con la gente e la capisce meglio”. Questo è importante.
Cosa l’ha toccata di più tra tutte le tragedie personali a cui ha assistito?
Monsignor Lafontant: Personalmente mi ha toccato di più la morte dell’Arcivescovo [Joseph Serge Miot]. Abbiamo lavorato insieme per lungo tempo. Siamo stati insieme alla Conferenza episcopale, prima che lui diventasse Vescovo. Siamo stati insieme in seminario, quando io ero il rettore di quel seminario maggiore. Quando lui è stato nominato abbiamo iniziato a lavorare insieme fino alla sua morte. Abbiamo lavorato insieme come fratelli. Avevamo un rapporto veramente ottimo e lui si fidava molto di me. Anche se io ero più anziano di lui nell’episcopato, nel sacerdozio e come età anagrafica, l’ho sempre considerato il mio Arcivescovo, il mio superiore. Lui mi c
onsiderava un buon collaboratore e questo è il motivo per cui è stato così difficile per me apprendere della sua morte. Quando è arrivata la prima scossa e la gente urlava e correva, lui è uscito sul balcone cercando di tranquillizzarli. Ma la seconda scossa l’ha fatto precipitare. È così che è morto. È stato brutto.
La gente haitiana ha un profondo amore per la Madonna, la Madonna del Perpetuo Soccorso. Le visite al santuario nazionale della Madonna del Perpetuo Soccorso sono aumentate. Perché questa Madonna è importante per la gente e perché si rivolgono a lei in questo momento di crisi?
Monsignor Lafontant: Anzitutto devo dire che una cosa che mi ha colpito, come ha colpito altri, è che il santuario è crollato e che la gente, nel tentativo di saccheggiarlo, ha innescato un incendio.
Haiti è sempre stata sotto la protezione della Vergine Maria, della Madonna del Perpetuo Soccorso. Il Paese è stato consacrato negli anni Quaranta e i Vescovi hanno rinnovato questa consacrazione negli anni Novanta. La madre, nella nostra cultura, è molto, molto importante. In molte famiglie haitiane, anche tra le famiglie di diritto civile, la madre è tutto. L’economia del Paese è retta dalle donne. Se un haitiano vede qualcosa di sbagliato dice: “bonjour maman”, buongiorno mamma. La madre è fondamentale in questa cultura. L’haitiano va sempre dalla madre perché la madre comprende. La madre, anche se è matta, aiuterà sempre. Sarà sempre presente. Il padre è quello che va in giro, ma la madre è sempre presente. Quando hanno bisogno di qualcosa vanno dalla madre. Lei sta lì per loro.
Per questo vanno dalla Madonna?
Monsignor Lafontant: Sì, e sa che lì dove le parrocchie ancora funzionano, la gente, centinaia a settimana, anziché chiedere la ricostruzione delle chiese, viene a chiedere i rosari. Io ne avevo ricevuti un certo numero e li ho dati al parroco e lui mi ha detto: “Non ne avrebbe ancora?”. La gente va a chiedere i rosari per pregare la Vergine.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per l’intervista integrale: www.wheregodweeps.org/video-audio/interview/haiti-earthquake
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Where God Weeps: www.wheregodweeps.org/countries/haiti