ROMA, lunedì, 16 maggio 2011 (ZENIT.org).- Nella formazione affettiva in seminario occorre prendere in seria considerazione la cultura dominante ipereroticizzata da cui provengono i candidati, capace di anestetizzare le coscienze e investire l’intero ambito relazionale delle persone.
E’ quanto ha affermato in sintesi il Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, in occasione di una lezione tenuta martedì 10 maggio alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Torino su invito dei seminaristi di tutte le diocesi piemontesi e alla presenza dell’episcopato della regione, dei formatori e dei docenti.
Affrontando il tema del percorso formativo al sacerdozio ministeriale, il porporato ha sottolineato che al giorno d’oggi è impensabile non tener contto che “tutti coloro che sono nati dopo gli anni Settanta-Ottanta sono cresciuti in un clima culturale pansessualista e ipereroticizzato”, alimentato dall’“invadenza dei mezzi di comunicazione sociale”, che hanno prodotto una “’caduta di significato’ della affettività”.
Infatti, ha spiegato ancora, “l’aver artificialmente svincolato l’aspetto unitivo da quello fecondo, ha irrimediabilmente ridotto l’ampia sfera dell’affettività al solo esercizio della genitalità”. Ecco quindi che diventa necessaria “una progressiva e radicale assunzione di consapevolezza” per “combattere e vincere, in se stessi, quella che è una struttura antropologica mutuata dalla cultura dominante e da essa continuamente riproposta”.
La formazione affettiva al celibato
Come si può allora immaginare un percorso formativo efficace per i candidati al sacerdozio, che giungono da un tale contesto culturale? A questo proposito il porporato ha sottolineato innanzitutto
che “non è tollerabile che, nel tempo della formazione, si censuri o si affronti, solo tangenzialmente e superficialmente, la questione affettiva”.
Questo implica che i superiori del seminario siano “persone affettivamente mature, riconciliate con se stesse e con la propria dimensione psicoaffettiva, non frustrate e, perciò, almeno non tendenti a proiettare sugli altri i propri nodi non risolti”. Inoltre, è “sempre necessario mantenere chiara la distinzione tra educatori ed educandi”.
La purificazione della memoria
Per chi si prepara al sacerdozio, ha spiegato ancora il Cardinale Piacenza, è indispensabile poi intraprendere un percorso di purificazione della memoria, sia dal punto di vista spirituale, sia sotto il profilo morale e psicologico. Da qui la necessità, almeno nel foro interno, di “una disarmata narrazione della propria storia affettiva” che consenta al direttore spirituale “di conoscere realmente la storia personale del candidato”.
Infatti, la cultura contemporanea “tende letteralmente a ‘imbottire’ i giovani di immagini, e dunque di ‘memorie’ un tempo inimmaginabili’”. A questo proposito, ha evidenziato, “dall’esperienza dello studio delle tristi cause di dispensa dagli oneri decorrenti dall’ordinazione, mi pare di poter evincere che, nel cattivo uso per mezz’ora di Internet, si possa vedere ciò che, in passato, nemmeno in un’intera esistenza, era dato di incontrare!”.
“Tutte le memorie non purificate nel tempo della formazione – ha sottolineato in seguito – e le cattive abitudini non vinte, tornano al pettine, determinando seri problemi di equilibrio psicoaffettivo e, talvolta, dolorosissime situazioni spirituali, morali e psicologiche”.
Educazione del presente vissuto affettivo
Inoltre, ha proseguito, è necessario “educare il proprio presente affettivo, sia nella dimensione delle inclinazioni, sia in quella delle pulsioni, perché non accada di immaginare un futuro sacerdotale che, sotto il profilo psicoaffettivo-sessuale, sia radicalmente differente dal proprio presente seminaristico”.
“La consapevolezza che il carisma del celibato è un dono soprannaturale dello Spirito, impone che, nella formazione a esso, si riconosca il primato assoluto della grazia”. Perché nonostante il contributo importante delle scienze umane, in passato si è assistito all’uso errato quando non all’abuso di esse, tanto che la psicologia era considerata “la panacea di ‘tutti’ i mali per ‘tutti’ i candidati al sacerdozio”.
A contrario, “il dono del carisma celibatario fiorisce, è progressivamente accolto e matura, fino a definire la stessa personalità psicologica del sacerdote, unicamente nel rapporto intimo, prolungato, reale e interpersonale con Gesù di Nazaret, Signore e Cristo!”. Una intimità divina che si coltiva nella preghiera e nella celebrazine quotidiana dell’Eucaristia.
L’attesa orante del dono del sacerdozio
Ciascun seminario deve essere infine “una comunità di uomini che hanno incontrato Gesù Cristo e la cui vita è stata cambiata da quell’incontro”; “tutti i limiti possono essere abbracciati, sopportati e supportati dalla comunità del seminario”, che deve essere quindi “una comunità orante” che educa i futuri sacerdoti anche “alla preghiera personale, al silenzio, alla meditazione e agli spazi di reale intimità divina”.
“E’ necessario svegliarsi – ha incoraggiato –, la storia è andata avanti! Se oggi c’è un autentico problema, da tenere sempre ben presente, è quello della fragilità e dell’identità sacerdotale che, anche a causa di non poche fluttuazioni teologiche, non è sufficientemente delineata e, soprattutto, solo raramente coincide con la stessa identità psicologica del candidato”.