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Molte delle preghiere che la Chiesa mette sulle nostre labbra dopo aver ricevuto la comunione nella celebrazione eucaristica, chiedono che il sacramento ricevuto ispiri, governi, e generi la vita che comincia a celebrazione terminata.
E’ una convinzione profondamente radicata nella tradizione. Esiste un nesso ed una reciproca compenetrazione tra fede, liturgia, ed ethos. Questo nesso è già chiaramente affermato nell’Alleanza sinaitica: l’ethos – le Dieci parole – è istituito all’interno dell’alleanza, celebrata con un solenne rito. I profeti hanno parole di fuoco contro chi tradisce nella vita ciò che celebra al tempio.
La Chiesa dunque pensa che esista soprattutto tra l’Eucarestia celebrata e la vita vissuta un legame intrinseco. In questa catechesi vorrei parlarvi di questa connessione.
1. I presupposti per comprendere questo discorso sono due strutture essenziali della proposta cristiana: il suo realismo e la sua dimensione sacramentale. La proposta cristiana è una proposta realista (a); è una proposta sacramentale (b).
(a) Quando parliamo di realismo intendiamo dire che nella persona che accetta la proposta cristiana accade qualcosa. Possiamo dire: la proposta cristiana è un avvenimento. Il S. Padre ha descritto il realismo cristiano nel modo seguente: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva [Lett. Enc. Deus Caritas est 1].
La proposta cristiana non è solo parola che informa o narra o istruisce. E’ proposta che realizza in chi l’accoglie ciò che dice.
Non è un racconto mitico, che attraverso narrazioni simboliche aiuta la persona a prendere coscienza di se stessa e della sua condizione esistenziale. E’ un racconto storico: i suoi contenuti sono semplicemente veri.
Essendo dunque un evento che accade nel nostro mondo, dentro alla nostra vicenda storica, esso la trasforma realmente. C’è un testo paolino, fra i molti che potremmo citare, che ci rivela il realismo del fatto cristiano.
“Difatti, ciò che era impossibile alla Legge, dato che essa era debole, a motivo della carne, Dio, inviando il proprio Figlio nella condivisione della carne del peccato e mirando al peccato, condannò il peccato nella carne” [Rom 8, 3].
L’uomo, ciascuno di noi, desidera vivere non una vita qualsiasi, ma una vita buona: vivere in una società giusta, costruire relazioni affettive durature, non essere ingannato dagli altri, e così via. In una parola: vivere nel possesso dei beni umani fondamentali: la giustizia, l’amore, la fiducia reciproca, per citarne alcuni.
Non è tuttavia necessario fare lunghe riflessioni per renderci conto che questo nostro profondo desiderio è smentito dalla realtà , dalla realtà che noi costruiamo con le nostre scelte. Siamo ingiusti e subiamo ingiustizie; siamo incapaci di costruire relazioni affettive durature; inganniamo gli altri e siamo ingannati. Perché? perché la nostra libertà è come ammalata, debole: “vedo il bene e lo approvo e faccio il male”. S. Paolo chiama questa condizione umana con una sola parola “carne”, oppure, “vita secondo la carne”. E’ possibile cambiare questa condizione? è possibile dare risposta ed attuazione al nostro desiderio di vivere bene?
Una prima via per raggiungere questo scopo – si può pensare – è l’insegnamento della legge morale; è dire all’uomo ciò che è bene e ciò che è male, ciò che deve fare e non deve fare. Oggi si preferisce dire: richiamando, insegnando, comunicando i valori. Non raramente accade che noi riduciamo il cristianesimo a questo.
Questa proposta, la proposta morale e quindi la riduzione del cristianesimo a morale, non cambia la condizione umana: non è realista. Perché? precisamente perché tu dici che cosa deve fare ad uno che è incapace di farlo. Sarebbe come se uno pensasse di aiutare chi soffre di una grave indigestione spiegandogli la chimica della digestione. L’apostolo dice tutto questo colle seguenti parole: “ciò che era impossibile alla Legge, dato che essa era debole a motivo della carne”.
Ciò di cui abbiamo bisogno pertanto è di essere liberati dalla nostra debolezza. Abbiamo bisogno che la nostra libertà sia liberata dalla sua congenita incapacità di fare il bene. L’apostolo dice che abbiamo bisogno che “il peccato sia condannato nella carne”. Cioè: che la forza del male che è in noi, sia detronizzata e non ci domini più.
La proposta cristiana consiste precisamente nel dare notizia all’uomo che è accaduto un fatto che ha precisamente guarito, rinnovato l’uomo. Quale fatto? “Dio inviando il proprio Figlio nella condivisione della carne del peccato e mirando il peccato, condannò il peccato nella carne”. Questo è il cristianesimo!
Realismo significa che la proposta cristiana ha realmente cambiato la condizione umana: in ré e non solo in spé; ora e non solo alla fine dei tempi. Significa che la vita umana rinnovata è già ora donata e non solo promessa.
(b) La proposta cristiana ha una struttura sacramentale. Questo fatto che ora ho brevemente narrato – il fatto che la vita umana è rinnovata – accade attraverso dei segni e quindi sotto il velo, per così dire, di segni. La cosa non è difficile da capire, poiché è molto adeguata alla nostra condizione umana: non siamo degli angeli, non siamo puri spiriti. Lo spiego partendo da un testo di un grande Padre della Chiesa, S. Ireneo.
“Non avremmo potuto conoscere i misteri di Dio, se il nostro maestro, che è il Verbo, non si fosse fatto uomo… D’altra parte non potevamo conoscerlo altrimenti se non vedendo il nostro maestro e percependo la sua voce con il nostro orecchio” [ Adv. Haereses 5, 1.1].
Dio si dona a conoscere nella e mediante l’umanità del Figlio-Dio; ascoltando la voce e la parola di Gesù ascolto la voce e la parola del Verbo-Dio. Io uomo seguendo Lui uomo, entro in comunione di vita con Dio stesso; condivido l’incorruttibile eternità di Dio. Attraverso l’umanità del Verbo divento partecipe della stessa vita divina.
Questa è la struttura sacramentale: “attraverso le cose visibili siamo rapiti alle realtà invisibili”, come dice la Liturgia. Non si tratta solo di un “espediente pedagogico”, di un aiuto dato alla nostra intelligenza. E’ il modo attraverso cui Cristo trasforma la nostra vita quotidiana, agisce realmente in noi.
Non posso ora sviluppare ulteriormente questa tematica, come meriterebbe. La struttura sacramentale appartiene all’essenza del cristianesimo. Non c’è vita cristiana senza sacramenti.
2. Il realismo e la struttura sacramentale della proposta cristiana raggiungono il suo vertice nell’Eucarestia, la sintesi di tutta la fede cristiana.
L’Eucarestia è la reale presenza di Cristo che dona Se stesso in sacrificio sulla croce, e pertanto mediante la celebrazione eucaristica noi diventiamo presenti all’evento della croce. Realmente, cioè non solo perché facciamo memoria di quell’evento. Al momento della consacrazione, i duemila anni che ci separano dalla croce sono aboliti: noi siamo ai suoi piedi come Maria e Giovanni.
Ogni volta che celebriamo l’Eucarestia, Cristo entrando dentro allo scorrere del tempo, immette nella nostra vicenda umana la potenza del suo atto redentivo, purifica le profondità della creazione attirando a sé tutti coloro che credono.
Questo evento, l’evento della celebrazione eucaristica, accade perché i credenti, coloro che celebrano il rito sacramentale, partecipino realmente all’atto di offerta di Cristo. Sono chiamati ad immergersi in esso per divenire partecipi della stessa carità che spinse Cristo a donare Se stesso sulla croce.
S. Tommaso scrive: “L’Eucarestia è il sacramento della passione di Cristo in quanto l’uomo è condotto alla perfetta unione con Cristo nella passione [perficitur in unione ad Christum passum]” [3,73,a. 3, ad 3um]. Mediante la partecipazione all’Eucarestia il credente viene come “cristificato”, e progressivamente trasformato in Cristo; ma nel Cristo che compie il suo supremo atto di amore, donando se stesso.
Realismo della Presenza; realismo di ciò che produce nel mondo e nella vicenda umana attraverso i credenti: questo è l’avvenimento eucaristico. Veramente, è l’Eucarestia che salva il mondo.
3. Da tutto quanto ho detto finora non è difficile comprendere il rapporto che esiste fra l’Eucarestia e la vita quotidiana. Provate a percorrere colla vostra mente i seguenti passaggi.
– Il Verbo venuto nella nostra condizione “carnale” ha distrutto la potenza del peccato che dominava in essa, mediante la sua morte e risurrezione.
– Mediante la celebrazione dell’Eucarestia partecipo a questa vittoria di Cristo perché sono reso partecipe della sua carità.
– La vita che inizia dopo la celebrazione dell’Eucarestia è la vita nuova in Cristo: l’Eucarestia rigenera la mia umanità, la mia libertà. Chiamiamola coerenza eucaristica.
Ovviamente uscito di chiesa posso non fare uso del dono eucaristico e vivere lunedì dimenticando ciò che ho celebrato e ricevuto domenica. Chiamiamola incoerenza eucaristica.
A questo punto potrei continuare la mia riflessione in due modi, dicendovi concretamente come si deve vivere se si vuole essere eucaristicamente coerenti, e non si deve vivere per evitare l’incoerenza eucaristica. Oppure mostrarvi come la grazia eucaristica, l’essere diventati partecipi della stessa carità di Cristo, trasformi dal di dentro la nostra vita. Preferisco la seconda via.
Vediamo più in particolare. La trama della nostra vita quotidiana è tessuta dai nostri affetti, dal nostro lavoro, dalle nostre sofferenze, dai nostri rapporti civici. La nostra vita è i nostri affetti, il nostro lavoro, le nostre sofferenze, la nostra città e nazione. Non posso ora vedere come l’Eucarestia trasforma e rigenera ciascuno di questi capitoli di ogni biografia umana. Mi limito solo a due: i nostri affetti e la nostra città e nazione.
3, 1. La nostra affettività. E’ un dato facilmente constatabile l’incapacità oggi di costruire da parte della nostra affettività rapporti interpersonali durevoli. Mi riferisco soprattutto al matrimonio e alla famiglia.
Donde deriva questa intrinseca debolezza? qual è la causa che estenua la naturale capacità di creare legami? l’uomo e la donna di oggi sono forse diventati anaffettivi?
Escludendo in linea generale questa ultima ipotesi, che denota una vera e propria patologia psichica e spirituale, sono portato a pensare che si tratta di una vera e propria disintegrazione della persona. Disintegrazione significa che il sistema connettivo delle varie parti che costituiscono la nostra persona si è spezzato. Ma voglio essere più preciso, partendo ancora una volta da un testo paolino.
“Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Perché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri!.. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri” [Gal 5, 13.15].
Esiste dunque un esercizio della libertà che è una vera e propria devastazione del rapporto interpersonale. Paolo usa immagini impressionanti per descrivere questa devastazione: ci si morde e ci si divora a vicenda, fino alla reciproca distruzione. Ma esiste anche un esercizio della libertà che crea comunione reciproca; è quando la libertà è messa in moto dall’amore che si esprime nel servizio reciproco.
Esistono dunque due modi di essere liberi: la modalità che è propria di chi vive per se stesso; la modalità propria di chi vive nell’amore. La prima genera divisione ed estingue la nostra capacità di creare comunione; la seconda crea la vera comunione interpersonale.
Ritorniamo alle domande iniziali. L’intrinseca debolezza della nostra affettività di creare legami duraturi deriva dalla nostra incapacità di amare. Paolo in un altro testo parla di una “fiacchezza esistenziale” che porta alla dissoluzione, non solo sessuale, di ogni legame vero e buono [cfr. Ef 4, 19].
La partecipazione all’Eucarestia, la partecipazione credente, rende il fedele capace di amare colla stessa capacità di amore che era in Cristo sulla croce. E’ questa carità che ristruttura intimamente la persona e la reintegra nella sua unità. L’Eucarestia quindi è dono: dono che Cristo mi fa della sua capacità di amare; ed è quindi compito: compito di vivere secondo questa carità, di mettere un atto questa capacità. E’ da questa messa in atto che gli affetti creano legami duraturi.
Mi rendo conto che ho appena accennato ad un problema molto complesso. I doni della grazia non sostituiscono mai i compiti della natura, e non ci dispensano da essi. Perché la carità, dono proprio dell’Eucarestia, penetri e purifichi ed elevi la nostra affettività, è necessaria un’educazione degli affetti. E’ mediante l’energia propria della ragione, guida degli affetti, che la carità compie la trasformazione degli affetti. Ma non posso ora fermarmi ulteriormente.
3, 2. La vita della città. Addentrandoci in questo aspetto del rapporto Eucarestia – vita quotidiana, non dobbiamo mai dimenticare neppure per un istante che l’Eucarestia crea un’unità di ordine soprannaturale; che la guarigione da essa operata nella nostra libertà ci rende capaci di un amore che non è puramente umano, ma divino.
Si tratta di un’unità che è un’opera divina, posta in essere dal Padre in Cristo mediante lo Spirito Santo per mezzo dell’Eucarestia. “Come la potenza della carne santa rende concorporei tra loro quelli che la ricevono, allo stesso modo, penso, l’unico Spirito che viene ad abitare in tutti li conduce tutti all’unità spirituale” [S. Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di Gv XI, 11].
Tutta questa realtà, questo evento di unificazione divina delle persone, non è un fatto che accade alla domenica quando celebriamo e riceviamo l’Eucarestia, ma che poi non ha alcuna rilevanza sulla vita associata che riprende al lunedì. L’evento eucaristico non sradica l’uomo dalla sua condizione umana. Colui che si lascia pervadere dalla logica eucaristica, lungi dal ritenersi slegato dai suoi legami naturali – l’appartenenza alla sua città, alla sua nazione – mette al servizio della società un’attività tanto più efficace quanto più libero ne è il principio.
Qual è il vero male della società umana, l’insidia più grave? La ricerca del proprio bene a prescindere o perfino a spese del bene dell’altro. E’ l’esercizio di una libertà non condivisa colla libertà dell’altro, come appare dalla definizione di libertà che oggi viene formulata normalmente colla categoria del limite: la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro. Detto in una sola parola: l’insidia più grave è la negazione che esista un bene umano comune.
E’ illusorio
pensare che questa malattia sia guarita dalle leggi. Queste sono diventate sempre più le regole del traffico dei singoli egoismi alla ricerca della propria felicità. E’ il legame ontologico fra le persone che va costruito. Questo è l’evento eucaristico.
Questo evento non può non avere rilevanza sulla vita associata. “Se dal basso verso l’alto la discontinuità [si intende fra l’unità eucaristica e la società naturale] è radicale, dall’alto in basso al contrario deve scendere l’influenza. Per conservarsi soprannaturale, la carità non è costretta a farsi disumana: come lo stesso soprannaturale, essa non si concepisce se non incarnata” [ H. De Lubac Cattolicesimo, Jaca Book, Milano 1978, 278]. Dalla qualità delle nostre celebrazioni liturgiche dipende la qualità della vita della nostra città e nazione.
Concludo. S. Ireneo scrive: “Due… sono le braccia perché due sono i popoli disseminati fino ai confini della terra, ma al centro c’è un solo capo perché c’è un solo Dio che è sopra tutte le cose, attraverso tutte le cose e in tutti noi” [Adv. Haer V,17, 4]. Quando celebriamo l’Eucarestia ci poniamo nel centro di tutti e di tutto, e tutta la realtà è sospesa a quella celebrazione, dalla quale solamente è impedita di ricadere nel nulla.
Mi rendo conto che ogni tema affrontato meritava ben più prolungata riflessione. Ma la presente catechesi aveva solo lo scopo di introdurci dentro alle grandi tematiche del Congresso Eucaristico.