L’ossigeno della cultura occidentale

L’Europa non può rinunciare ad essere cristiana

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di Rafael Navarro-Valls*

MADRID, mercoledì, 11 maggio 2011 (ZENIT.org).- Lo scorso 11 aprile, nel suo discorso al nuovo Ambasciatore della Croazia preso la Santa Sede, Benedetto XVI ha riaffermato nitidamente ciò che è stato un vero leitmotiv della predicazione di Giovanni Paolo II: “Affermare che l’Europa non ha radici cristiane equivale a pretendere che un uomo possa vivere senza ossigeno e senza cibo”. Questa immagine coincide sostanzialmente con ciò che molti anni prima aveva detto Arnold Toynbee: che per recuperare i valori spirituali della cultura europea occorreva tornare “a respirare ossigeno” nel patrimonio della cultura occidentale cristiana.

Un osservatore superficiale potrebbe intendere queste reiterate affermazioni degli ultimi Pontefici come sogni nostalgici di menti ancorate al passato, mentre la società generale prosegue il suo cammino attraverso altri percorsi. Ma si sbaglierebbe. Queste basi cristiane rimangono nei substrati della terra, come il petrolio nella pietra pomice, che subito riemerge sulla scena politica, sociale o culturale, come una molla compressa che salta per uno stimolo esterno.

Pensiamo a un solo esempio: il crollo dei sistemi ideologici che per più di settant’anni hanno retto i Paesi dell’Est europeo. Ciò che ha provocato quel monumentale sisma politico è stata la congiunzione di due forze, la cui vitalità era stata negata dagli ideologi più avveduti dell’una e dell’altra parte dell’Europa: religione e nazionalismo. Attraverso di esse, la nuova Europa ha riscoperto le vecchie forze che muovono la storia. L’eredità comune e i valori etico-spirituali hanno fatto riemergere questo insieme di diritti fondamentali su cui essa poggia.

Sotto una coltre di ghiaccio

In altre parole, la vecchia Europa può a prima vista essersi convertita in un deserto spirituale, su cui si abbattono le rigidità di un inverno che copre di ghiaccio la superficie della terra. Tuttavia, “sotto la coltre di ghiaccio permangono dormienti alcune radici cristiane, pronte a risvegliarsi dal loro letargo” (Orlandis).

Mi sia consentito, per spiegare ciò che voglio dire, un esempio poco tecnico ma significativo. In un romanzo di John Le Carré (“La spia che venne dal freddo”) in cui si svolge una torva conversazione tra un agente del MI6 (servizi segreti britannici) e uno del KGB sovietico, quest’ultimo chiede al britannico quale fosse l’ideologia del Cambridge Circus (sede del MI6). L’altro gli risponde che evidentemente chi lo frequenta non è marxista. Allora il sovietico afferma: “quindi sono cristiani”. E insiste, “se non siete marxisti, la società occidentale deve essere cristiana”. Si noti che per la mente agnostica dell’agente sovietico non vi sono alternative, in Occidente, ad una mentalità – almeno potenzialmente – cristiana.

Effettivamente, se si considera la complessa trama di relazioni tra Cristianesimo e istituzioni giuridiche occidentali, si nota che le nostre opzioni politiche fondamentali, le nostre speranze e reazioni più profonde, lasciano intravedere riflessi secolarizzati e democratizzati, che Moulin chiama “infrastrutture religiose”, che più di venti secoli di Cristianesimo hanno inscritto nel patrimonio socioculturale dell’Europa. L’influsso cristiano sulla nostra cultura è semplicemente dirompente: nell’architettura, nella musica (soprattutto classica), nelle arti figurative, nella letteratura o nella poesia. Come dice Weiler, “non è possibile eliminare il Cristianesimo dalla storia d’Europa, così come non si possono eliminare le croci dai cimiteri”.

Ha pertanto ragione la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (oggi incorporata nel Trattato di Lisbona), quando fa dipendere dal “patrimonio spirituale e morale” su cui si basa l’Europa – in altri termini sulla tradizione giudaico-cristiana – i valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.

Le radici del vecchi tronco

Si capisce che, quando qualche tempo fa, lo scorso 16 aprile, il nuovo Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede ha presentato le sue credenziali, il Papa ha espresso il suo stupore di fronte a “forme più sofisticate di ostilità contro la religione”, che in definitiva tendono al “rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini”.

L’impressione che si ha è che Benedetto XVI si trovi oggi al centro di una burrasca alimentata da due turbolenze radicali: quella dei fondamentalisti pseudoreligiosi, impegnati a fare la volontà di Dio, “che Dio lo voglia o no”, e quella dei laicisti di vecchio stampo, che propongono una versione stravagante – in chiave ideocratica – del cimitero della teocrazia: vietato pensare diversamente.

La risposta equilibrata del problema è di andare alla radice dell’albero della nostra civiltà, all’humus comune in cui si inserisce. Riscoprire “l’anima dell’Europa” implica, in definitiva, il nuotare tra le sue radici cristiane, per trovare l’ossigeno necessario a restaurare l’equilibrio. Ciò che, all’inizio di queste righe, ho descritto come la grande meta a cui punta oggi il Papa Ratzinger e ieri il filosofo della storia britannico.

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*Rafael Navarro-Valls è docente della Facoltà di diritto dell’Università Complutense di Madrid e segretario generale della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación spagnola.

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ZENIT Staff

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