ROMA, martedì, 10 maggio 2011 (ZENIT.org).- “Immigrare, voce del verbo sperare” è il titolo della canzone di uno dei 30 gruppi che sono saliti sul palco della ventesima edizione della Festa dei Popoli, svoltasi domenica 8 maggio in Piazza San Giovanni in Laterano a Roma.

“La Festa dei Popoli vuole far vedere il lato positivo dell’immigrazione”, ha spiegato il portavoce e responsabile diocesano dell'evento, padre Gaetano Saracino, ricordando che “l’Italia è stata un Paese di emigrati”.

“Questa è una festa di integrazione – ha proseguito - che non vuole dare lezioni a nessuno, ma che indica come l’immigrazione sia un fenomeno irreversibile e strutturale della nostra società, al di là di qualsiasi propaganda politica”.

“Se si può prescindere dall’immigrazione, qualcuno ci spieghi come si fa”, ha proseguito padre Saracino. “Non si può evitare perché la mobilità umana esiste”.

L'immigrazione, ha aggiunto il portavoce della Festa dei Popoli, può quindi essere colta “come un'opportunità o come un fenomeno che bisogna subire”.

Questo non significa “dimenticare che è necessaria un’assistenza per l’immigrazione meno fortunata. Lo sappiamo, basta vedere gli sbarchi in Sicilia”, ha detto.

“C’è bisogno, però, di contestualizzare il fenomeno, ed è necessario prendere misure responsabili senza illudersi che l’immigrazione sia soltanto un fenomeno passeggero o di persone che si parcheggiano per essere barboni nelle strade”.

“Non è vero e lo dico come parroco – ha concluso padre Saracino –, perché ci sono persone che venivano alla nostra mensa e oggi lavorano, producono e creano ricchezza per questa città”.

La festa è iniziata al mattino. A mezzogiorno c’è stata la Messa nella Basilica presieduta da monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, alla quale hanno partecipato 25 gruppi, di altrettante lingue.

Nella sua omelia, monsignor Crociata ha affermato che “nella varietà delle razze, delle culture, delle lingue” si mostrano “la bellezza, la ricchezza e l’unità della Chiesa”.

“Le differenze non sono cancellate, ma rese capaci di convivere e di arricchirsi reciprocamente”, ha osservato.

Rivolgendosi agli immigrati, ha detto che non si ignorano “le fatiche e le difficoltà” del loro arrivo e dell'inserimento nel tessuto sociale. “Tutti abbiamo ancora tanta strada da fare: per creare condizioni giuridiche e sociali più giuste nei vostri confronti, ma anche per attendere da voi una assimilazione sempre più leale e cordiale dei valori fondamentali della nostra convivenza, così come sono fissati nella nostra carta costituzionale e nella nostra tradizione e cultura”.

“La nostra comune fede cattolica, celebrata e vissuta nella città che ospita il successore di Pietro, costituisce uno straordinario motore di unità, più forte della stessa identità di razza e di nazione”.

“Ciò che conta è comportarsi con timore di Dio, cioè vivere già fin d’ora come cittadini del cielo”, ha affermato monsignor Crociata. “Allora la nostra comunione non solo abbatterà tutte le frontiere, ma anticiperà la nostra gioia in cielo”.

Dopo la celebrazione religiosa, 22 cucine etniche hanno preparato 5.000 piatti tipici dei loro Paesi per i presenti.

La festa è stata promossa dalla Famiglia e dai Missionari Scalabriniani, dagli uffici Migrantes e Caritas della Diocesi di Roma, in collaborazione con le Acli provinciali, le comunità etniche, la Regione Lazio, la Provincia e il Comune di Roma.

Hanno partecipato persone di 58 etnie e al primo pomeriggio i presenti erano già 6.000. In seguito 30 gruppi tra folcloristici e musicali hanno portato la festa fino all’imbrunire.

La prima Festa dei Popoli si è svolta vent'anni fa nella parrocchia degli Scalabriniani a Val Melaina, quando l’immigrazione non era considerata ancora un fenomeno.

In Piazza San Giovanni questa domenica c’erano 60 stand, dalla Caritas all’Agenzia Nazionale per l’Immigrazione, dall’équipe del Dossier Statistico Caritas Migrantes alle colorate comunità etniche con i loro vestiti e prodotti artigianali.