La Chiesa invita a sviluppare “un'autentica cultura dell'accoglienza”

“Gesù Cristo è morto per ogni persona senza alcuna distinzione”

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, martedì, 10 maggio 2011 (ZENIT.org).- Di fronte al fenomeno oggi sempre più diffuso delle migrazioni, è necessario promuovere “un’autentica cultura dell’accoglienza”, sostiene il Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, l’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò.

Questo mercoledì, il presule affronterà il tema della mobilità umana rivolgendosi a Sydney ai Vescovi australiani durante la loro Riunione Plenaria. Monsignor Vegliò si trova nel Paese dell’Oceania per compiere una visita pastorale e incoraggiare la Chiesa cattolica nell’azione pastorale per i migranti e i rifugiati.

L’Australia ha una popolazione di circa 21 milioni di abitanti, di cui circa 5 milioni sono lavoratori migranti, 22.500 rifugiati e 2.350 richiedenti asilo.

“La migrazione non è una scelta semplice”, sottolinea il presule, osservando che “anche la mobilità umana più volontaria implica un certo grado di sradicamento”.

Di fronte a questo fenomeno, la Chiesa è sempre stata sollecita, come dimostra l’Istruzione “Erga migrantes caritas Christi”, in cui si offrono le risposte ecclesiali “alle sfide e ai rischi presentati dalle migrazioni attuali”.

“La Chiesa vuole essere là dove sono i migranti, per condividere con loro le gioie e le speranze, così come il dolore e le sofferenze della migrazione”, indica l’Arcivescovo.

“L’aiuto umanitario e la solidarietà, l’azione sociale e la difesa, la formazione e la formazione cristiana sono tutte parti del ministero della Chiesa tra quanti sono coinvolti nella mobilità umana”, osserva. “Non sono altro che varie espressioni della sua missione fondamentale: la proclamazione della Buona Novella che Dio è amore”.

Per monsignor Vegliò, “un’autentica cultura dell’accoglienza accetta i valori realmente umani degli immigrati al di sopra di ogni difficoltà provocata dal fatto di vivere insieme a persone diverse”, e “non fa alcuna distinzione tra migranti, rifugiati o altre persone sfollate, qualunque siano la nazionalità, il colore e il credo”.

L’accoglienza, infatti, “si basa sull’amore per Cristo, nella certezza che il bene fatto per amor di Dio al nostro prossimo, soprattutto al più bisognoso, è fatto a Lui”.

Lunga preparazione

La Chiesa, aggiunge, “è anche chiamata ad accompagnare i potenziali migranti nel loro processo decisionale e a prepararli per la vita da migranti all’estero”.

Quando una persona inizia a pensare all’emigrazione, è importante fornire “le informazioni corrette sui possibili Paesi di destinazione: le leggi, e non solo la legislazione lavorativa, i costumi, le tradizioni religiose, le condizioni esistenti relative a libertà e democrazia…”.

“Visto che le agenzie di impiego e perfino parenti e amici non sono sempre fonti affidabili o obiettive di informazioni al riguardo, è importante per la Chiesa poter fornire, attraverso le sue reti, dati attendibili prima della partenza”.

Quando una persona decide di emigrare o di richiedere asilo, è poi necessario “incoraggiarla a contattare la Chiesa e le sue strutture e organizzazioni nel Paese di destinazione, dov’è possibile avvalersi di assistenza pastorale, inclusa l’assistenza sociale e legale, se necessaria”.

La risposta della Chiesa richiede inoltre “cooperazione tra le Chiese locali”. “Se è compito della Chiesa nel Paese di destinazione offrire assistenza pastorale a tutti i fedeli nel suo territorio”, infatti, “è importante per i migranti, rifugiati, richiedenti asilo e altre persone sfollate essere accompagnati da sacerdoti e/o altri agenti pastorali con un background culturale simile al loro, o che hanno svolto attività missionarie nel loro Paese o area d’origine”.

Questa collaborazione aiuterà anche i migranti “a diventare parte integrante della Chiesa locale, in cui nessuno è straniero e dove ciascuno è benvenuto, perché Gesù Cristo è morto per ogni persona senza alcuna distinzione”.

Dialogo

Nel mondo della mobilità umana, rileva monsignor Vegliò, “il dialogo a vari livelli è un ‘must’” e “l’antidoto” alla tensione provocata in passato dalla “fusione di culture, religioni e costumi come conseguenza della mobilità umana”.

“Il dialogo a tutti i livelli” – “dialogo ecumenico e interreligioso, così come dialogo con quanti non hanno un credo religioso, e dialogo interculturale” – “porta al riconoscimento dei valori in comune e a un atteggiamento di rispetto per le differenze senza perdere la propria identità”.

Secondo l’Arcivescovo, il modo più comune e diretto di dialogare è attraverso il cosiddetto “dialogo di vita”, “con semplici gesti quotidiani di rispetto, solidarietà, fraternità e amore”.

Ciò, commenta, “può produrre un autentico cambiamento nelle relazioni interpersonali, che è fondamentale”.

Il presule ricorda quindi che la Chiesa in Australia sta rispondendo in modo molto attivo alle sfide rappresentate dall’immigrazione e dalle richieste di asilo, in particolare attraverso l’Australian Catholic Migrant and Refugee Office (ACMRO), ringraziando “per la coraggiosa difesa” di quanti si trovano in difficoltà.

L’Arcivescovo ringrazia anche Dio e tutta la Chiesa in Australia per la recente canonizzazione di Mary MacKillop, la prima santa cattolica australiana.

“Ispirati al Magistero del Santo Padre e dall’esempio di Mary MacKillop – conclude –, auspico che possiamo essere strumenti nella realizzazione dell’unica famiglia umana, anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio”.

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ZENIT Staff

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