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«Tu conferma la nostra fede»: il motto, scelto mesi fa per presentare la visita del Santo Padre nelle terre del Nordest si è dimostrato, in questo tempo di ferventi preparativi e di attesa, davvero adeguato a esprimere il valore che ha per noi, qui, oggi, questa visita straordinaria. Le sue semplici parole di radice evangelica, infatti, condensano il desiderio che ci anima e ci conduce all’incontro con Benedetto XVI: noi ci aspettiamo che il successore di Pietro ci documenti la «convenienza» che viene da una vita vissuta seguendo Gesù morto e risorto per noi, ci testimoni che Egli ci salva perché è realmente a noi contemporaneo.
Questo desiderio è bruciante perché percepiamo, ciascuno a partire dalle circostanze in cui vive, quanto abbiamo bisogno di qualcosa di solido su cui appoggiarci, un terreno sodo su cui camminare. «Tu conferma la nostra fede» rievoca il momento in cui Gesù affidò a Pietro il compito di sostenere i suoi fratelli, di essere guida per la Chiesa universale con tutta la sua persona, attraverso la sua testimonianza e con il suo insegnamento.
La preparazione a questo incontro davvero unico ci ha provocati a riscoprire quanto e come il ministero del successore di Pietro sia un fattore centrale, irrinunciabile, all’interno della vita di ogni Chiesa locale e abbia anche un posto speciale nel personale atto di fede di ciascuno. Vorrei dire ancora più esplicitamente: il Santo Padre viene per me, per te, per ciascuno di noi.
Dare del tu al Papa, come si legge nel motto, potrebbe sembrare un po’ azzardato. L’enfasi sul tu ci conduce però a un altro dialogo serrato e incalzante, quello tra Gesù e Pietro: «Mi ami tu?» chiede per tre volte Gesù all’apostolo. Questa domanda investe anche noi, ci ridesta e ci chiama a giocarci in prima persona. Perché la verità dell’io è la relazione. Non è possibile scindere l’io dal tu, non è possibile scindere la persona dalla relazione. L’incontro, lo sguardo che incontra l’altro sguardo, il faccia a faccia è insostituibile.
Per questo avere tra noi, a casa nostra, fisicamente, Benedetto XVI, sentirlo rivolgersi a noi come un padre in comunione diretta, partecipare alla celebrazione presieduta da lui nel grande parco San Giuliano che si affaccia sulla laguna di Venezia è un’esperienza insostituibile: all’evidente dimensione di coinvolgimento personale si intreccia una dimensione di partecipazione ecclesiale e comunitaria senza eguali.
Scrive Benedetto XVI nel suo ultimo Gesù di Nazaret: «L’Eucaristia è il visibile processo del riunirsi, un processo che nel luogo e attraverso tutti i luoghi è un entrare in comunione col Dio vivente, che dall’interno avvicina gli uomini gli uni agli altri. La Chiesa si forma a partire dall’Eucaristia».
Da questa visita tutto il Nordest attende una nuova carica di energia. Queste nostre città e comunità in dinamica evoluzione — che conoscono la prova di una crisi economica mondiale manifestatasi anche qui in modo drammatico nella perdita di troppi posti di lavoro, che hanno vissuto le ferite profonde inferte dalla recente alluvione, che ogni giorno sono a contatto con quel processo storico definibile come meticciato di civiltà e culture data la presenza sempre più imponente di immigrati — sono tutte provocate a ripensarsi.
Esse devono fare i conti con l’eredità lasciata loro da Aquileia — snodo originario, crocevia di popoli dell’est e dell’ovest — che oggi si offre non più solo come motivo di memoria e passione archeologica, ma come chiave per riprogettare insieme il prossimo futuro. Da Aquileia viene il patrimonio di una tradizione che va riscoperta, vagliata in tutte le sue componenti per estrarne quelle pietre preziose che sappiano rilanciare la vita oggi.
Le nostre terre possono diventare il punto di incontro non più solo tra popoli germanici, slavi e latini come in passato, ma sempre di più anche tra popoli del nord e del sud del pianeta. Quella domanda irrinunciabile di libertà, di pace, di lavoro e di dignità che si leva dai Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente giunge, attraverso il mare Adriatico, a scuotere le nostre città e raggiunge il cuore della vecchia Europa.
Benedetto XVI viene come una persona che ci è familiare, entra fisicamente in questa nostra singolare storia e ci «stana». Costringendoci a riscoprire la nostra antica origine per viverla oggi come vocazione sempre nuova.