ROMA, giovedì, 5 maggio 2011 (ZENIT.org).- Le nuove tecnologie pongono alla Chiesa una grande sfida, quella di evangelizzare con nuovi linguaggi e nuovi atteggiamenti. Lo ha affermato questo mercoledì a Roma monsignor Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
L’occasione è stata un seminario di studio promosso dall’Azione Cattolica italiana in vista della
sua prossima assemblea nazionale, che avrà luogo nella capitale dal 6 all’8 maggio.
“Le nuove tecnologie mettono di fronte a noi delle possibilità inimmaginabili”, ma allo stesso tempo “creano una cultura digitale, nella quale bisogna arrivare all’uomo con questo stesso linguaggio per convogliare nel suo interno il messaggio evangelico”, ha spiegato il presule.
Per questo, ha precisato, è fondamentale “comunicare in un atteggiamento rispettoso e non di imposizione aggressiva”. Si tratta “della sfida maggiore che stiamo affrontando”.
Circa l’incontro realizzatosi lunedì in Vaticano con bloggers di tutto il mondo, monsignor Celli ha commentato che si è trattato di “una presa di consapevolezza” “dell’importanza che la blogosfera oggi ha nella contestualità globale e culturale”, e ha ricordato che “mentre si svolgeva l’incontro in Vaticano con i bloggers allo stesso tempo si realizzava un incontro parallelo, quello dei twitters”.
Il Presidente del dicastero vaticano ha quindi citato Benedetto XVI a Lisbona lo scorso anno, quando ha indicato che “nel mondo di oggi si deve dialogare in un modo rispettoso con la verità degli altri”.
Monsignor Celli ha aggiunto che ora si è in una fase di “apprendistato”, perché molti blog “anche nella difesa della propria fede sono incapaci di riuscire a instaurare un dialogo”. E’ un punto molto importante, ha sottolineato, perché “il Papa non ci invita né a un proselitismo né a una forma di difesa aggressiva di quello che crediamo”.
Il presule ha poi indicato alcuni punti da rispettare nella comunicazione, come la consapevolezza di appartenere a una Chiesa “che non fa solamente comunicazione, ma che è comunicazione. Non di concetti intellettuale come se fosse un’ideologia, ma che sostanzialmente è comunicazione dell’amore di Dio, di un Dio che ama l’uomo e lo ricerca con un amore instancabile”.
Ma attenzione, ha indicato, perché “le nuove tecnologie danno origine a una nuova cultura, quella chiamata digitale”, che sta influenzando la nostra maniera di vivere e sulla cui influenza dieci università dell’America Latina stanno svolgendo un’indagine da circa due anni.
Purtroppo, ha commentato, “ancora vi è dentro la Chiesa una visione strumentale dei mezzi di comunicazione”, mentre Giovanni Paolo II aveva già capito “che le nuove tecnologie davano origine a una nuova cultura”.
In Uruguay, ha osservato monsignor Celli, 400.000 bambini della scuola primaria hanno un portatile per studiare. “Dalla prima elementare imparano a relazionarsi e a conoscere con un computer in mano, e per una ricerca vanno a Wikipedia, così come si collegano da casa con i loro amici”.
“Un bambino che vive in connessione con gli altri capisce cosa vuol dire essere in comunicazione”, e potrà anche “capire meglio cosa sia il corpo mistico di Cristo” perché capirà meglio cosa significa essere in comunicazione con la Chiesa.
Il problema di fondo è capire “in che misura io so dialogare con la cultura digitale, con la realtà giovanile, in che misura la Chiesa è capace di comunicare e di annunciare il Vangelo in una cultura digitale”.
“Dobbiamo chiederci in che misura esercitiamo una pastorale nel campo digitale, e dobbiamo capire in maniera molto esplicita che siamo manchevoli”, ha rilevato monsignor Celli.
Ma qui, ha spiegato, esiste un paradosso, perché “mentre si è molto collegati allo stesso tempo si è molto soli”. A titolo di esempio, ha ricordato come in media un ragazzo ogni giorno invia 60 SMS.
“A voi giovani spetta di far sì che i valori del Vangelo siano permeanti nella cultura digitale di oggi”, ha sottolineato.
Un altro punto importante indicato dal Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali è quello riguardante il “linguaggio”, e quindi “non soltanto quello tecnologico”.
A suo avviso, ci vuole una “mediazione culturale nella contestualità di questo mondo digitale”, la quale ha bisogno di avere “una dimensione antropologica del linguaggio, e quindi bisogna capire le problematiche dell’uomo di oggi”. Al contrario, potranno esserci bellissime affermazioni tecnologiche ma che non arrivano.
E’ dunque necessario, ha concluso, “un linguaggio che possa essere compreso in modo da convogliare al suo interno il messaggio evangelico”.